L’architettura di Rem Koolhaas, al di là del bene e del male 

A cinquant’anni dalla fondazione dello studio OMA, Rem Koolhaas si conferma tra gli architetti più influenti e divisivi della sua generazione. Vincitore del Pritzker Architecture Prize 2000, è al centro di un recente saggio dello storico Marco Biraghi

Ho sempre avvertito una grande curiosità nei confronti di ciò che rappresenta Rem Koolhaas. A iniziare dall’affascinante mondo da cui proviene: l’allegra Rotterdam e le nebbie londinesi. Non tanto per proporre un nuovo look, del resto già adottato da Jean Nouvel e dai suoi replicanti. Né per il fatto che Stefano Boeri si sia prestato a fargli da supporto. Troppi ne abbiamo visti! Piuttosto mi incuriosito per la sua capacità di ribaltare i modelli consolidati e per quel mix che Rodo Tisnado di Architecture Studio chiama “mescola”, ossia il saper tenere insieme la riflessione teorica e il modo di progettare. 

Non solo architetto: Rem Koolhaas come “filosofo e pragmatico, teorico e profeta” 

Nella sua produzione, sotto traccia si avverte la capacità di inventare degli architetti russi visionari: El Lissitzky, Leonidov, Rodčenko e Tatlin. Ritorna nei progetti che la mia generazione ricorda assai bene come Villa dall’Ava a St. Cloud e la Maison Lemoine a Bordeaux. Le ha ridisegnate, carpendone i particolari senza comprendere a fondo la filosofia, o meglio il gioco combinatorio che le ispirava. A ciò si aggiungono quelli documentati in S, M, L, XL, la mastodontica monografia dedicata al suo lavoro. La si può trovare in tutti gli studi a testimone di un frettoloso aggiornamento. Per i testi: come non amare Delirious New York? Quel pamphlet della fine degli Anni Settanta che svela le bizzarrie di quel cuore pulsante, come il Luna Park di Coney Island. Spiega il perché, quasi senza alcun piano, sia divenuta un modello del nostro tempo, in barba alle utopie dei maestri del Movimento Moderno. 

Rem Koolhaas. L'architettura al di là del bene e del male
Rem Koolhaas. L’architettura al di là del bene e del male

Il libro di Marco Biraghi su Rem Koolhaas 

Il volume che propone lo storico dell’architettura Marco Biraghi, accurato e puntualmente documentato, ci conduce in un lungo viaggio che attraversa oltre mezzo secolo per arrivare ai nostri giorni. Analizza le diverse fasi del lavoro di Koolhaas, autore, come recita il titolo in cui si evoca la filosofia di Friedrich Nietzsche, di un’architettura al di là del bene e del male. Consistente è il lascito rivolto al futuro, fatto di nuovi modelli per la vita delle persone e la cultura della città. All’autore, a cui si devono testi importanti – tra gli altri. L’architetto come intellettuale – va riconosciuto il merito di essersi misurato con una materia così febbricitante, senza concedere nulla agli stilemi che di solito contornano gli esponenti dello star system. Anzi, Biraghi coglie a pieno il suo spietato realismo quando in The Berlin Wall as Architecture segnala nel muro la potenza significante espressa nei 165 chilometri di estensione per riconoscere in esso che «la bellezza dell’architettura era direttamente proporzionale al suo orrore».  

Rem Koolhaas e i cinquant’anni dello studio OMA Office for Metropolitan Architecture 

Quando ho avuto l’opportunità non ho perso l’occasione di visitare le sue realizzazioni, mentre conservo il rammarico di non essere stato solidale, nella giuria di concorso per Nuova Tirana, con Elia Zenghelis, suo sodale e insegnante all’Architectural Association School. Proprio non condividevo l’ipotesi elaborata da Bolles-Wilson che contraddiceva la bella immagine iniziale: il pavimento della moschea, composto dai diversi tappeti. La facciata per la Strada Novissima, a Venezia del 1980, non mi ha emozionato; più seducente quella dello studio GRAU. La sua mostrava un sipario azzurro traslucido tra due colonne, trafitto da un’asta rossa mentre in un angolo si notava la scritta al neon OMA (Office for Metropolitan Architecture). Qui «il passato e la contemporaneità sono messi in rapporto e fatti coesistere». Ho invece amato la Kunsthal a Rotterdam. Per contraltare occorre chiudere gli occhi di fronte a quell’enorme muraglia di cemento e acciaio rappresentata da De Rotterdam (1997-2013), che viene gabellata come riqualificazione di Wilhelminapier, il vecchio quartiere portuale dove adotta il modello americano dell’edificio per uffici degli Anni Cinquanta, già proposto da Skidmore, Owings & Merrill (SOM). Ho avuto modo di visitare, appena terminato e ancora con le tracce del cantiere, il Centro Congressi a Eurolille, del tutto privo di dettagli e destinato ad un rapido invecchiamento. La scheda nel volume di Biraghi rivela che è «quasi naif nella rappresentazione che ne dà attraverso i disegni, come se le immense vastità, difficoltà, complessità del progetto potessero essere ‘tenute a bada’ da raffigurazioni volutamente semplificanti, garbatamente ironiche, volutamente apotropaiche, sostanzialmente smitizzanti». E questo è.  

Rotterdam, Porto, Pechino e Milano: le più note architetture di Koolhaas 

Per la Casa da Música di Porto sembrano volati via tutti gli impacci che intralciano la realizzazione di una buona architettura, inserita nel suo «isolamento volontario» che è ben diverso rispetto dal modo di rapportarsi di questa tipologia, solitamente risolto con la banale scatola di scarpe. Curioso e intrigante l’impiego del variopinto insieme per i rivestimenti che non dimentica gli azulejos. Connotano la sintonia col luogo. All’intervento per il CCTV a Pechino si giunge anche con la metro. Sede della tv di stato, di taglio costruttivista, dai locali viene chiamata la mutanda: si estende per 500.000 metri quadri ed è stata realizzata nonostante le critiche di Xi Jinping verso le forme bizzarre e le soluzioni del tutto estranee al contesto. Per la Fondazione Prada a Milano, l’urbanista Elena Granata ritiene che non generi «beni comuni e collettivi», in contrasto con la natura stessa dell’arte contemporanea. Vero è che il personaggio possiede tutte le caratteristiche per emergere nei nostri anni dell’incertezza segnati dal tramonto di verità che sembravano assolute e il sorgere di teorie che galleggiano sul vuoto. O, come a ragione ritiene Biraghi, ovvero che Koolhaas sia colui che ha condizionato in modo significativo le vicende dell’architettura del nostro tempo grazie alla capacità di esprimere un pensiero di sicura rilevanza. E proprio per questo va conosciuto per tutte le sue potenzialità, senza negarne i limiti.  

Mario Pisani  

Marco Biraghi, Rem Koolhaas. L’architettura al di là del bene e del male 
Piccola Biblioteca Einaudi, Torino 2024 
Pagg. XIV – 234, € 22.00 
ISBN 9788806264284 
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Mario Pisani

Mario Pisani

Mario Pisani (Roma, 1947) laureato a La Sapienza in Architettura con 110 e lode e pubblicazione della tesi, ha insegnato Storia dell'Architettura Contemporanea, Storia del Design e Storia del Giardino e del Paesaggio all'Università della Campania Luigi Vanvitelli dal 1990…

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