Ipotesi per trasformare il Real Albergo dei Poveri di Napoli in un grande polo museale

Il Real Albergo dei Poveri in Piazza Carlo III a Napoli è uno dei più grandi edifici settecenteschi d'Europa. Potrebbe forse diventare uno spazio dove esporre le migliaia di capolavori custoditi nei depositi museali della città partenopea?

Il Real Albergo dei Poveri di Napoli è un enorme edificio di pianta rettangolare che misura 389 metri di lunghezza e 140 metri di profondità, con un’area coperta di 55mila metri quadrati. I 103mila metri quadrati di superficie utile sono distribuiti su sette piani fuori terra per un totale di 440 tra sale e gallerie, mentre il volume stimato è di 830mila metri cubi. L’edificio confina con istituzioni culturali come l’Orto Botanico, il museo di Paleobotanica ed Etnobotanica, l’osservatorio astronomico, il parco e il Museo Nazionale di Capodimonte. Il Real Albergo ha una serie di potenzialità turistiche e inespresse davvero fuori dal comune. Cosa farne, dunque?

Real Albergo dei Poveri. Copyright Architetto Francesca Brancaccio RTP Croci Repellin. Elaborati realizzati per il Comune di Napoli

Real Albergo dei Poveri. Copyright Architetto Francesca Brancaccio RTP Croci Repellin. Elaborati realizzati per il Comune di Napoli

LA STORIA DEL REAL ALBERGO DEI POVERI

La vicenda storica della sua costruzione è particolarmente significativa e vale la pena ripercorrerne rapidamente le tappe principali: nel 1751 re Carlo di Borbone incaricò l’architetto fiorentino Ferdinando Fuga di erigere un grande edificio pubblico destinato all’accoglienza e all’assistenza dei derelitti del Regno. In seguito alla morte del Fuga nel 1782 i lavori passarono nelle mani di Carlo Vanvitelli. Da qui in poi la vicenda costruttiva del gigantesco complesso si complica sempre di più: a un primo stop del 1803 segue un ravviarsi dei cantieri nel 1819 per poi arenarsi definitivamente nel 1829, lasciando incompiuta gran parte della struttura. Seguono quasi due secoli di crolli, degrado e infelici utilizzi parziali della struttura. Nel 1995 l’edificio entra nella porzione di città considerata dall’Unesco Patrimonio dell’Umanità: la cittadinanza inizia a riscoprirne l’immenso valore patrimoniale.

Rendering Palazzo Fuga, progetto RAM Rinascita Artistica del Meridione. Copyright Architetto Francesca Brancaccio RTP Croci Repellin. Elaborati realizzati per il Comune di Napoli

Rendering Palazzo Fuga, progetto RAM Rinascita Artistica del Meridione. Copyright Architetto Francesca Brancaccio RTP Croci Repellin. Elaborati realizzati per il Comune di Napoli

IL REAL ALBERGO DEI POVERI DIVENTA UN MUSEO?

L’idea di utilizzarlo come spazio museale nasce proprio in questi anni: già nel 1995 l’economista romano Alessandro Leon fu interpellato dal Comune di Napoli per la realizzazione di uno studio di fattibilità sulle destinazioni d’uso di Palazzo Fuga con la società Cles srl (Centro di Ricerche e studi sui problemi del lavoro, economia e sviluppo). Il frutto fu una relazione da 173 pagine pubblicata nel 1996 dove prese piede la proposta di realizzare un grande Museo del Mediterraneo, di taglio antropologico. I fondi necessari per l’allestimento, stimati in 500 miliardi di lire dell’epoca, secondo l’allora ministro dei Beni Culturali Walter Veltroni, sarebbero dovuti arrivare dal gioco del Lotto, e i lavori sarebbero durati dieci anni. La proposta non mancava di una certa arguzia storica, in quanto fu proprio Carlo di Borbone a legalizzare il Lotto a Napoli nel 1734. Recentemente interpellato dal giornale partenopeo La Mattina, ecco come Alessandro Leon, oggi professore all’Università di Roma Tre e allo IULM, rievoca quella vicenda: “Siamo nel 1996, l’Unione europea come è strutturata oggi non era ancora nata, Napoli sembrava destinata a fare da ponte […]. Si pensò a un luogo dove si lavorasse operativamente sui musei di tutti i paesi affacciati sul Mediterraneo. Girai per le soprintendenze e mi resi conto che c’erano depositi culturali, archeologici e relativi ad altre materie: si poteva costruire un grande museo tematico”.
Nel 1997 il grande Federico Zeri parla dell’Albergo dei Poveri con toni accorati all’interno del suo leggendario programma A come Arte. “L’Albergo dei Poveri potrebbe diventare un centro di carattere internazionale […]. Napoli è una città piena di iniziative: ci potrebbe essere anche nell’Albergo dei Poveri per esempio un Centro della Canzone Napoletana, non mancano gli argomenti a Napoli. Io farei addirittura un museo della Cucina Napoletana con un grande ristorante: sono tutti fatti culturali”, affermava Zeri nel 1997. Per curiosità, ricordiamo che nel programma appariva anche il celebre economista Paolo Leon, padre del già menzionato Alessandro. L’idea era dunque in qualche modo affine a quello che sarebbe in seguito diventato il MuCEM di Marsiglia (il Musée des civilisations de l’Europe et de la Méditerranée), inaugurato nel 2015 e premiato lo stesso anno dal Consiglio d’Europa come Museo Europeo dell’Anno.

Real Albergo dei Poveri. Copyright Architetto Brancaccio RTP Croci Repellin. Photo Luca Loffredo

Real Albergo dei Poveri. Copyright Architetto Brancaccio RTP Croci Repellin. Photo Luca Loffredo

IPOTESI D’USO DEL REAL ALBERGO DEI POVERI

Oggi (grazie anche ai fondi in arrivo dal PNRR) i tempi sono diversi, e per l’Albergo dei Poveri vengono proposti degli utilizzi legati al mondo della fruizione culturale che forse potrebbero essere ospitati in edifici contemporanei realizzati ad hoc: ad esempio ne è stato proposto l’utilizzo come nuovo edificio della Biblioteca Nazionale di Napoli, attualmente ospitata presso Palazzo Reale, oppure come sede dell’Archivio Storico Comunale. Ci si potrebbe chiedere se non sarebbe forse meglio realizzare strutture moderne, luminose e comode per la consultazione ottimale del patrimonio librario e documentario della città partenopea. A Roma, Parigi e Londra le rispettive Biblioteche Nazionali si sono dotate di strutture di fattura recente ben più idonee allo scopo.
Le idee che arrivano dalla società civile su come utilizzare i 100 milioni di euro messi a disposizione per il Palazzo Fuga dal PNRR sono invece quanto mai ambiziose. Una, in particolare, è decisamente visionaria e in qualche modo si pone in contiguità con il mai realizzato Museo del Mediterraneo. L’ipotesi di lavoro è quella di trasformare l’Albergo dei Poveri in grande contenitore museale che sia dedicato interamente a esporre un’ampia selezione dei tesori contenuti nei depositi dei musei napoletani. I propugnatori dell’iniziativa suggeriscono che l’edificio si trasformi in un grandioso ‒ citando la loro colorita espressione ‒ “Louvre napoletano”. Ovviamente a Napoli, si sa, di musei di ottimo livello ce ne sono almeno un paio: Capodimonte per la pittura degli antichi maestri e per le arti decorative e il Museo Archeologico Nazionale per il patrimonio archeologico. Quest’ultimo, in particolare, con la sterminata collezione di 270mila opere in gran parte custodite nei depositi, avrebbe bisogno di un ampliamento degli spazi espositivi.
Forse il Real Albergo dei Poveri potrebbe aiutare a risolvere la congestionata condizione museale napoletana? È un’idea che prende spunto da numerose best practices a livello europeo, come la recente apertura del Depot Museum Boijmans von Beuningen di Rotterdam: un intero edificio destinato a ospitare i depositi del museo, intesi come visibili e visitabili. Iniziative simili si susseguono con sempre maggiore frequenza, come nel caso del Louvre Conservation Centre di Liévin, ma anche nelle Sale Studio del Museo Nazionale di Palazzo Venezia o nella possibilità di visitare i depositi della Galleria Borghese (allestita come una quadreria con ben 260 dipinti esposti), la famosa “Gallery A” al piano terra della National Gallery di Londra che ospita le opere non esposte, nonché, tra i mille esempi a disposizione, anche la Studiengalerie alla Gemäldegalerie presso il Kulturforum di Berlino, in cui le opere dei depositi sono state musealizzate.
Tutte buone pratiche che a Napoli potrebbero essere imitate e trovare una degna sede nel contesto della riqualificazione del Real Albergo dei Poveri come struttura museale. Il sogno è quello di dare visibilità agli innumerevoli capolavori custoditi nei depositi del Museo Archeologico, del Museo di Capodimonte, ma anche alle circa 900 opere dell’Ottocento napoletano non esposte al Museo Nazionale della Certosa di San Martino, per non parlare delle arti decorative non incluse nel circuito espositivo del Museo Nazionale della ceramica Duca di Martina, delle opere del Tesoro di San Gennaro, del quale si riesce a esporre presso la struttura museale in via Duomo neanche il 10% del patrimonio conservato. L’obiettivo di Dario Marco Lepore, presidente del movimento RAM Rinascita Artistica del Meridione, è quanto mai ambizioso.

Depositi del MANN, dal profilo Facebook del Museo (3)

Depositi del MANN, dal profilo Facebook del Museo

IL PUNTO DI VISTA DI DARIO MARCO LEPORE

Ne parliamo proprio con Dario Marco Lepore, che della rinascita dell’Albergo dei Poveri ha fatto un’autentica missione. “La nostra esigenza è quella di rendere visibili i capolavori di pittura, di scultura, di arti decorative, di ceramica: sono innumerevoli i tesori che non sono esposti e che spesso per qualità non sono affatto inferiori ai capolavori esposti. Dai cataloghi da noi consultati risulta che il Museo Archeologico Nazionale ha un totale di 1500 affreschi provenienti dai siti di Pompei, Ercolano, Oplontis, Stabia e Boscoreale. Di questi solo trecento hanno trovato una loro collocazione all’interno delle gallerie del museo: esporre 1200 affreschi significherebbe realizzare la più grande pinacoteca di arte romana presente al mondo. Molti affreschi nei depositi sono meraviglie assolute: quando si scavava ai tempi dei Borbone spesso venivano asportati i brani d’affresco di qualità migliore. I depositi del Museo Archeologico Nazionale sono dunque ricchissimi di opere capitali che i visitatori conoscono solo al 20%”.
Una sorta di grande presentazione dei capolavori presenti nei depositi, quindi? Non solo.
Il progetto del Real Albergo dei Poveri non è semplicemente un’operazione di esposizione dei depositi”, spiega Lepore. “Nelle nostre intenzioni si tratterebbe di un vero e proprio museo universale, di taglio enciclopedico, costituito da varie sezioni messe a disposizione ai musei partecipanti e da loro curata come se si trattasse di un’altra ala. Una particolare attenzione sarà rivolta al Tesoro di San Gennaro, composto da ben 21000 capolavori. Per essere accettata, la donazione doveva infatti superare un controllo di qualità che ne certificava il valore artistico. Un contenitore vuoto da una parte e migliaia di opere d’arte nei depositi dei musei dall’altra: basta far combaciare domanda e offerta per ottenere qualcosa di davvero unico”.
Anche per quanto riguarda quelli che la legge Ronchey chiamava i cosiddetti “servizi aggiuntivi” Dario Marco Lepore ha le idee chiare. In strutture come il British Museum, il Metropolitan o la Tate Modern si è quasi sopraffatti dalla quantità di ristoranti e di servizi a disposizione del pubblico. “Nei 103mila metri quadri dell’edificio”, afferma Lepore, ipotizzando una struttura simile al Carrousel du Louvre, la grande galleria commerciale prossima all’ingresso al museo parigino, “sarebbe possibile anche dotare il museo non solo di qualche bookshop, gift shop o ristorante/caffetteria, ma di un intero spazio al di fuori del circuito museale che stimiamo possa essere di circa diecimila metri quadrati, aperto anche alla città e dedicato all’artigianato campano di qualità di oggi, dalle porcellane realizzate a Capodimonte alla lavorazione di coralli e cammei di Torre del Greco, dalle sete di San Leucio alle ceramiche di Vietri e Ariano Irpino, un focus dedicato alla gioielleria realizzata in Borgo Orefici fin dal Trecento, nonché di servizi di ristorazione di grande livello, librerie tematiche, biblioteche specializzate, auditorium e sala conferenze”.
Fanno comunque ben sperare le recenti dichiarazioni del ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, che ha affermato: “Ne ho parlato […] con il direttore del MANN. Possiamo pensare che il Museo archeologico di Napoli abbia un secondo spazio a Palazzo Fuga. Sarebbe un’opera utile”.

Thomas Villa

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