Genova è pronta a ripartire puntando sulla cultura?

Dal recupero del Waterfront di Levante, su progetto di Renzo Piano, alla recente nomina di Beppe Costa alla presidenza della Fondazione Palazzo Ducale, l’architetto Emanuele Piccardo prende la parola per esaminare criticità e potenzialità della nuova strategia culturale di Genova

La città “più vecchia d’Italia”, il centro storico “più grande d’Europa”, la città di Cristoforo Colombo, Eugenio Montale, Vittorio Gassman, Renzo Piano, Fabrizio De André, Bruno Lauzi, Gino Paoli, Lele Luzzati, Germano Celant, Ida Gianelli, Giulio Paolini, Emilio Prini, Claudio Costa e la città dei figli adottivi Edoardo Sanguineti ed Eugenio Battisti: sono le immagini iconiche che raccontano Genova, la città in crisi da trent’anni. Genova ha avuto una storia dell’arte importante nel decennio Sessanta-Settanta, quando le gallerie portavano in città gli artisti americani Allan Kaprow, Gordon Matta-Clark, Robert Morris, Andy Warhol, Maria Nordman, le sperimentazioni dell’Arte Povera e di Fluxus. Oggi ha, forse, un’occasione per gettare le fondamenta di un rinnovato interesse per l’arte contemporanea, rappresentata dalla nuova governance della Fondazione Palazzo Ducale, con la sostituzione (finalmente) del comico Luca Bizzarri con il manager Beppe Costa. Componente dell’omonima famiglia di armatori Costa Crociere (successivamente ceduta), è il proprietario dell’Acquario di Genova, nonché presidente della società Opera20 (che gestisce gli Uffizi, i Musei Vaticani, la Reggia di Caserta…). Costa, insieme al vice presidente Francesco Berti Riboli, noto collezionista d’arte contemporanea, avrà il compito di rinnovare il Ducale. Tuttavia queste nomine hanno fatto storcere il naso a molti, timorosi che la “libertà” acquisita dalla direzione attuale di Palazzo Ducale potesse venire meno per la presenza del privato (che viene visto sempre come il male assoluto, salvo chiamarsi Getty).

Porto di Genova. Photo Daniele d'Andreti via Unsplash

Porto di Genova. Photo Daniele d’Andreti via Unsplash

GENOVA FRA NOSTALGIA E CONTEMPORANEO

Ma in una città che fa suo il mantra di Gino Paoli “eravamo quattro amici al bar“, che non riesce a uscire mediaticamente dai suoi confini e che non ha nessun appeal per l’arte contemporanea, che orienta il suo mercato su Artissima e miart, è urgente ripensare il modello culturale. D’altra parte non esistono neanche realtà indipendenti così forti che possano proporre un programma culturale diverso e quelle poche che ci sono resistono faticosamente. Su questo la politica non ha ancora dato risposte esaurienti. In tal senso appare fondamentale uscire dal gorgo della nostalgia che tiene Genova ancorata alla sua storia, il “mitico” secolo d’oro dei genovesi, attraverso le mostre sul Barocco – non ultima quella su Rubens – escludendo le altre arti come ad esempio l’architettura. Infatti l’ultima mostra di architettura al Ducale risale alla monografica del 2006 su Ignazio Gardella, non certo un giovane! Si potrebbe sintetizzare che a Genova l’architettura si fa, ma non si racconta. Eppure c’è voglia di architettura, altrimenti non si spiega il successo di Maledetti architetti, i tour guidati organizzati dalla Fondazione Ordine Architetti Genova insieme al Comune, alla scoperta delle architetture del Novecento con una grande partecipazione popolare. Ma torniamo al progetto culturale, dove permane una sfiducia nell’investire nel contemporaneo soprattutto da parte degli enti pubblici e da parte dei collezionisti, che non riscontrano credibilità nei musei per affidargli le loro preziose collezioni. Tuttavia, quando Ilaria Bonacossa era curatrice di Villa Croce, la strepitosa collezione di Rosa Barabino (da Warhol a Oppenheim) era stata presentata alla città. Dopo, il buio.

Porto di Genova. Photo Erin Doering via Unsplash

Porto di Genova. Photo Erin Doering via Unsplash

PRENDERE ESEMPIO DA TORINO E FIRENZE

Eppure gli esempi a cui ispirarsi non mancano. Impariamo da Torino, che ha investito nella cultura basandosi su un nucleo di collezionisti e galleristi attivi sul mercato internazionale, con il supporto delle fondazioni bancarie cittadine (San Paolo e CRT). Proprio la Compagnia di San Paolo finanzia la cultura e il terzo settore in Liguria, senza il cui supporto molti programmi ideati, ad esempio, dal Teatro della Tosse, dal Palazzo Ducale o dalla cooperativa sociale Il Ce.Sto non si potrebbero realizzare. D’altronde Genova è sempre stata una città che ha beneficiato dell’aiuto di Stato in molti settori e non ha mai avuto una capacità autonoma di investire risorse economiche nei progetti. Non occorre fare molta strada per individuare realtà simili al Palazzo Ducale. A Firenze opera Palazzo Strozzi, nato nel 2006 da una unione pubblica-privata con la Fondazione CR Firenze e ovviamente Intesa Sanpaolo, oltre al Comune e alla Regione. Strozzi è promotore di mostre di grande qualità, non solo dei grandi pittori rinascimentali, ma con un’attenzione ai contemporanei Bill Viola e Olafur Eliasson che non appartengono certo alla categoria delle mostre blockbuster.

Villa Croce, Genova

Villa Croce, Genova

LA STRATEGIA CULTURALE DI GENOVA E IL CASO VILLA CROCE

In questo senso è auspicabile un cambio di strategia culturale tra le due Genova, quella passata e quella futura. Una città che guarda al passato glorioso (che è finito) e una che è proiettata nel futuro con il progetto del recupero del Waterfront di Levante a opera di Renzo Piano grazie alla tenacia del sindaco Bucci, che ha risolto i pasticci della precedente giunta di centrosinistra. Al momento sopravvive il fu Museo d’arte contemporanea di Villa Croce, che non riesce più a essere uno spazio per il contemporaneo: ha bisogno di dimensioni diverse ma anche di capitale umano e finanziario e, nonostante tutto, è presente in città. D’altronde la genesi di Villa Croce è legata al periodo fertile dell’arte, quando il sistema non codificato istituzionalmente delle gallerie, da Martini&Ronchetti a Forma, da Unimedia alla Bertesca fino alla Samangallery, ha proiettato Genova nel mercato internazionale dell’arte con rapporti prestigiosi con Leo Castelli e Ileana Sonnabend. Così l’allora assessore alla cultura, Attilio Sartori, aveva avviato il riconoscimento dell’arte come bene comune proprio con la fondazione del secondo museo d’arte contemporanea italiana dopo Rivoli. Ma il rapporto con il contemporaneo negli Anni Sessanta è stato conflittuale e in tal senso occorre ricordare il famoso episodio del rifiuto da parte della città a tenere la collezione dello storico dell’arte Eugenio Battisti, inventore con Rodolfo Vitone della rivista Marcatré e grande animatore culturale, finita a Torino nella nascente GAM. Come si può uscire dalla crisi?

Biblioteca Universitaria Genova

Biblioteca Universitaria Genova

RIPARTIRE DAGLI ARCHIVI ANCHE DI FOTOGRAFIA E ARCHITETTURA

Villa Croce ha una sola opzione: la sua trasformazione in un centro studi e archivi legato sia alle opere della sua collezione, sia agli archivi delle gallerie storiche, da far convergere in questa sede. Fra quelli andrebbe compreso l’archivio dell’ADAC dell’Università di Genova fondato dal critico Franco Sborgi, gestito dai suoi allievi Paola Valenti e Leo Lecci, la cui accessibilità è ancora troppo frammentaria. Un archivio che raccoglie materiali preziosi come il Fondo Paolo Minetti della Galleria Forma, le riviste sperimentali degli Anni Sessanta e le tesi degli studenti, una risorsa importante per la città. L’archivio è il tema che non riguarda solo l’arte, ma anche la fotografia e l’architettura. Infatti non esiste un luogo unico dove raccoglierli, ma realtà private come l’agenzia fotografica Publifoto che ha raccontato gli ultimi cinquant’anni di Genova o, come nel caso del fotografo di cronaca Francesco Leoni, le cui fotografie sono state donate al Museo del Mare. Sul fronte degli architetti la tendenza è tenere in casa i disegni, dagli architetti storici Daneri, Grossi Bianchi e Sibilla, ai contemporanei; un patrimonio che merita una sede attivando modalità simili a quello che Rivoli ha fatto per l’arte, implementando le strutture che già esistono, come Villa Croce e l’Archivio di Architettura della Biblioteca nella Scuola Politecnica dell’Università di Genova.
Risulta dunque necessario che le varie anime della cultura genovese si confrontino per elaborare un progetto complessivo che da Palazzo Ducale possa irradiarsi nella città valorizzando il patrimonio materiale e immateriale. Allora il cambio di governance è una sfida per gli amministratori e per la città tutta, ovvero dimostrare che questo luogo può agire da vero hub culturale, ripensando il modello culturale che possa generare opportunità di studio, di lavoro e di crescita rendendo Genova una città del XXI secolo.

Emanuele Piccardo

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Emanuele Piccardo

Emanuele Piccardo

Emanuele Piccardo è architetto, critico di architettura, fotografo e filmmaker. Ha fondato nel 2002 la rivista digitale elettonica scientifica archphoto.it. È stato invitato a tenere lezioni a New York, Princeton, Los Angeles, Roma, Torino, Milano, Venezia, Firenze. La sua ricerca…

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