Le Muse inquiete. La Biennale di Venezia ha inaugurato la mostra dedicata alla sua storia

Posticipata al 2021 la Biennale di Architettura per effetto dell’emergenza globale, l’istituzione veneziana ha deciso di fare i conti con la storia – la propria e quella con la “s” maiuscola – raccontandosi nella mostra appena inaugurata al Padiglione Centrale dei Giardini, a 125 anni dall’inizio delle sue attività. Un excursus cronologico e corale, sostenuto dalla curatela congiunta dei sei direttori in carica nelle rispettive discipline che strutturano la Biennale.

Guardare negli occhi la Storia non è impresa semplice, specie quando la contemporaneità sfodera gli artigli e getta il mondo intero nel gorgo di una pandemia che non risparmia latitudini né confini. A misurarsi con una sfida così ardua è la Biennale di Venezia, costretta a rivedere il proprio calendario e a posticipare di un anno esatto le rassegne di Architettura e Arte per effetto dell’emergenza sanitaria. Durante una preview stampa contingentata e di non facile fruizione – stanti le norme dettate dal distanziamento sociale ‒, la mostra Le Muse inquiete. La Biennale di Venezia di fronte alla storia, allestita nel Padiglione Centrale dei Giardini, ha alzato il sipario su un racconto a più voci, che riecheggia i punti di vista e le chiavi di lettura forniti dai sei curatori ‒ nonché direttori in carica delle sezioni Arte, Cinema, Teatro, Danza, Architettura e Musica ‒ eccezionalmente riuniti per dare forma a una ricognizione innestata sul punto di contatto fra la storia della Biennale come istituzione e la macro Storia ‒ politica, sociale, economica – del mondo a cui appartiene.

Le Muse inquiete, Padiglione Centrale dei Giardini della Biennale, Venezia 2020, photo Arianna Testino

Le Muse inquiete, Padiglione Centrale dei Giardini della Biennale, Venezia 2020, photo Arianna Testino

LA BIENNALE DI VENEZIA E LA STORIA

Cecilia Alemani, Alberto Barbera, Antonio Latella, Marie Chouinard, Hashim Sarkis e Ivan Fedele hanno dato voce alle rispettive discipline, “muse inquiete” e parte attiva di avvenimenti che hanno segnato i destini di popoli e generazioni – dal fascismo ai due conflitti mondiali, dalla Guerra Fredda al ’68, senza tralasciare le turbolenze degli Anni Settanta, la postmodernità e la globalizzazione. A scandire i tempi narrativi sono oltre mille documenti ‒ oggetti, fotografie, lettere, estratti video ‒ custoditi dall’ASAC – Archivio Storico delle Arti Contemporanee della Biennale di Venezia e dai principali archivi di settore – Luce e Rai Teche, per citarne alcuni ‒, che intrecciano epoche e linguaggi artistici, cambiamenti e rivoluzioni, usando la Biennale come “perno” attorno a cui costruire un itinerario cronologico suddiviso in dodici sale, nelle quali gli allestimenti, ideati da Formafantasma, restituiscono le battute d’arresto, le spinte e i cambi di rotta della Storia.

Le Muse inquiete, Padiglione Centrale dei Giardini della Biennale, Venezia 2020, photo Arianna Testino

Le Muse inquiete, Padiglione Centrale dei Giardini della Biennale, Venezia 2020, photo Arianna Testino

LA MOSTRA AL PADIGLIONE CENTRALE DEI GIARDINI

Dalla labirintica sala in due parti che fa da cardine della mostra, e condensa i rutilanti decenni inclusi fra l’avvento del fascismo e i nuovi ordini mondiali in seguito alla tragedia bellica e alla Guerra Fredda, si raggiungono le atmosfere in penombra dell’ambiente dove “esplodono” le proteste del ’68, con gli scatti di Ugo Mulas che registrano gli scontri con la polizia in piazza San Marco e le proteste degli artisti in risposta al clima di violenza in cui la Biennale stava per avere luogo. E ancora: il nuovo statuto della Biennale datato 1973 e finalmente sostituito a quello fascista sottolinea l’urgenza di “attività sul territorio”, trovando un’eco importante nelle esperienze del Living Theatre, che conquista diverse aree della città e regala alla manifestazione un volto inedito. Azioni che spianano la strada a nuovi modi di intendere la macchina espositiva, come poi messo in evidenza dalle curatele di Harald Szeemann, Germano Celant e Achille Bonito Oliva, ma anche del “teatro senza spettacolo” di Carmelo Bene, autore di una non-Biennale che ha generato un salutare punto di non ritorno.

Le Muse inquiete, Padiglione Centrale dei Giardini della Biennale, Venezia 2020, photo Arianna Testino

Le Muse inquiete, Padiglione Centrale dei Giardini della Biennale, Venezia 2020, photo Arianna Testino

MEMORIA, CULTURA, FUTURO ALLA BIENNALE

Sono molti e interconnessi i fili della narrazione offerta dalle Muse inquiete e la brochure-pamphlet che la accompagna risulta essere uno strumento imprescindibile per coglierne dettagli e rimandi interni, altrimenti fagocitati dallo scorrere della Storia. Una Storia giunta oggi a un nuovo punto di rottura, complice la diffusione di un virus che richiama alla memoria altre pandemie, passate e recenti, di fronte al quale “il guardare in prospettiva” cui allude Cecilia Alemani per definire il senso di questa “mostra-archivio” può rappresentare uno strumento interpretativo delle dinamiche odierne e un tassello da inserire nel mosaico culturale di domani. La domanda che resta sospesa nell’aria, alla quale solo il tempo potrà dare risposta, è: quale sarà l’apporto della Biennale di oggi al dibattito del prossimo futuro? Quale prospettiva sarà in grado di offrire a chi, nei decenni a venire, dovrà fare di nuovo i conti con la Storia?

Arianna Testino

www.labiennale.org/it

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Arianna Testino

Arianna Testino

Nata a Genova nel 1983, Arianna Testino si è formata tra Bologna e Venezia, laureandosi al DAMS in Storia dell’arte medievale-moderna e specializzandosi allo IUAV in Progettazione e produzione delle arti visive. Dal 2015 a giugno 2023 ha lavorato nella…

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