Arata Isozaki vince il Pritzker Architecture Prize 2019

A quarant’anni dalla sua istituzione, il più rilevante riconoscimento internazionale del settore architettura è stato assegnato all’architetto giapponese, classe 1931. Ancora una volta, la “scuola nipponica” si conferma leader nel mondo.

Un anno dopo il conferimento del “Nobel per l’architettura” all’architetto indiano Balkrishna Doshi, al quale il Vitra Design Museum sta dedicando la retrospettiva Balkrishna Doshi: Architecture for the People, visitabile fino all’8 settembre prossimo, la giuria internazionale del Pritzker Architecture Prize 2019 ha conferito il più significativo riconoscimento internazionale in ambito architettonico ad Arata Isozaki. Stephen Breyer, André Corrêa do Lago, Richard Rogers, Kazuyo Sejima, Wang Shu, Benedetta Tagliabue, Ratan N. Tata e Martha Thorne hanno scelto l’architetto giapponese riconoscendo in lui non solo “una delle figure più influenti nell’architettura mondiale contemporanea”, ma anche un progettista che “non ha paura di cambiare e provare nuove idee. La sua architettura si basa su una profonda comprensione, non solo dell’architettura stessa, ma anche della filosofia, della storia, della teoria e della cultura.” A Isozaki viene in particolare riconosciuta la capacità di aver riunito Oriente e Occidente, attraverso “nuove strade”.

CHI È ARATA ISOZAKI

Originario di Ōita, nella zona nord-orientale dell’isola giapponese di Kyūshū, Isozaki è nato nel 1931. Lo scoppio della seconda guerra mondiale e il dramma delle bombe atomiche sganciate su Hiroshima e Nagasaki lo segnano profondamente: “La mia prima esperienza dell’architettura è stata l’assenza dell’architettura”, ha affermato a proposito della sua adolescenza e degli inizi, ricordando di aver iniziato da subito a ragionare sul modo in cui le persone avrebbero potuto ricostruire le loro case e le città. Si è formato alla University of Tokyo, dove si è laureato nel 1954; ha quindi intrapreso la carriera professionale con un apprendistato nello studio di uno dei maestri indiscussi dell’architettura giapponese: Kenzo Tange, a sua volta insignito del Pritzker Architecture Prize nel 1987. Bisogna attendere il 1963 per la fondazione della società Arata Isozaki & Associates, con la quale si è inizialmente dedicato alla realizzazione di interventi in patria; tra questi la Prefita Prefectural Library (1962-1966 a Ōita), l’Expo ’70 Festival Plaza (1966-1970 a Osaka), il Museum of Modern Art (1971-1974 a Gunma), e Kitakyushu Municipal Museum of Art (1972-1974 a Fukuoka). Agli anni Ottanta si fa risalire la “svolta verso Occidente”, con il primo importante incarico negli Stati Uniti, dove tra il 1981 e il 1986 costruisce il Museum of Contemporary Art di Los Angeles. Si tratta dell’inizio di una serie di interventi che lo consacreranno come un antesignano della tendenza a lavorare ben oltre la propria terra d’origine, condizione che lo renderà anche un punto di riferimento nel dialogo tra Oriente e Occidente.

ARATA ISOZAKI E L’ITALIA

Varcati i confini giapponesi, Isozaki realizza decine di edifici in tutto il mondo; è il caso del Palau Sant Jordi (1983-1990) di Barcellona, in occasione dei Giochi olimpici estivi del 1992; del Team Disney Building in Florida (1987-1990); dello Shenzhen Cultural Center (1998-2007); del Qatar National Convention Center di Doha (2004-2011); dela Shanghai Symphony Hall (2008-2014), della Central Academy of Fine Arts e Art Museum di Beijing (2003-2008); dell’Hunan Provincial Museum (2011-2017), anch’esso in Cina. Non privo di difficoltà il rapporto con l’Italia, dove Isozaki lega il proprio nome al Pala Alpitour di Torino (2002-2005), ultimato per i Giochi olimpici invernali, e alla più recente Allianz Tower di Milano, compresa “nell’operazione Citylife“. Nel nostro Paese, tuttavia, Isozaki finisce per scontrarsi anche il “triste fenomeno” delle controversie che talvolta si accompagnano ai concorsi di progettazione. Il progetto con il quale, in team con il collega italiano Andrea Maffei, si era aggiudicato la competizione a inviti per la nuova uscita della Galleria degli Uffizi, a Firenze, resta ad oggi irrealizzato. A più di venti anni da quel concorso, il caso “Isozaki-Uffizi” continua a essere al centro del dibattito e, anche in seguito ai recenti fatti di Ferrara, molte voci si sono sollevate in sua difesa.

UN PIONIERE DELL’ARCHITETTURA LOCALE E GLOBALE

Vincitore Leone d’Oro alla Biennale di Architettura di Venezia nel 1996, in qualità di curatore del Padiglione del Giappone, insignito in Spagna del Gran Cruz de la Orden del Mérito Civil (1997), in Italia dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana (2007) e del Lorenzo il Magnifico Lifetime Achievement Award, assegnatogli all’ultima edizione della Florence Biennale, Isozaki è membro onorario della Royal Academy of Arts, dell’American Academy of Arts and Letters, nonché della Japan Arts Academy. Fu scelto come membro della giuria del Pritzker Prize nella prima edizione, datata 1979, incarico che ha continuato a ricoprire per i successivi cinque anni. Significativa anche la sua produzione teorica e critica; come visiting professor ha insegnato alla Columbia University, ad Harvard e a Yale. Alla sua carriera, lunga sei decenni e incline alla contaminazione con discipline come la filosofia, il teatro, la musica, il cinema, il design, oltre che con le arti visive, sono state dedicate mostre in tutto il mondo. La cerimonia di consegna è in programma alla Reggia di Versailles, dove nel 1995 era stato premiato un altro architetto giapponese: Tadao Ando. Con il Pritzker Architecture Prize a Isozaki sale a otto il numero dei progettisti nipponici che hanno ricevuto il prestigioso premio. L’ultimo, in ordine di tempo, era stato Shigeru Ban nel 2014, preceduto nel 2013 da Toyo Ito; nel 2010 era stata la volta della coppia formata da Kazuyo Sejima e Ryue Nishizawa; nel 1995 dello già citato Ando; nel 1993 di Fumihiko Maki; nel 1987 dell’architetto e urbanista Kenzo Tange.

IN MEMORIA DI KEVIN ROCHE

Aveva ricevuto il Pritzker Architecture Prize 1982, l’architetto Kevin Roche, scomparso all’età di 96 anni nei giorni scorsi. Originario di Dublino, ma naturalizzato statunitense è stato omaggiato in queste ore proprio sul sito ufficiale del premio Pritzker, che ha voluto ricordato i principali successi ottenuti nel corso della carriera e la motivazione con cui si aggiudicò il riconoscimento. Non è un uomo facile da descrivere – scrissero di lui i giurati di quell’edizione, formata tra gli altri da Cesar Pelli, dallo stesso Isozaki e da Philip Johnson – “è un innovatore che non segue l’innovazione fine a se stessa, un professionista indifferente alle tendenze, un uomo calmo e umile che concepisce e realizza grandi opere, un uomo generoso…”. Quarto architetto a ricevere il Pritzker Architecture Prize in ordine di tempo, in oltre sei decenni di carriera Roche si è occupato del masterplan del Metropolitan Museum of Art, nel 1968 – e di gran parte della successiva espansione dell’edificio -; ha realizzato l’Oakland Museum of California (1965), la Ford Foundation a New York (1968), la sede generale di General Foods a Rye Brook (1982) e la sede della JP Morgan Bank a New York (1990). Il suo studio – Kevin Roche John Dinkeloo and Associates – con sede a Hamden, nel Connecticut – fu fondato insieme al collega Dinkeloo nel 1966, a cinque anni dalla scomparsa di Eero Saarinen: entrambi i soci avevano infatti lavorato con il grande architetto e designer finlandese naturalizzato statunitense.

-Valentina Silvestrini

https://www.pritzkerprize.com/

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Valentina Silvestrini

Valentina Silvestrini

Dal 2016 coordina la sezione architettura di Artribune, piattaforma per la quale scrive da giugno 2012, occupandosi anche della scena culturale fiorentina. È cocuratrice della newsletter "Render". Ha studiato architettura all’Università La Sapienza di Roma, città in cui ha conseguito…

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