Il modello delle Gallerie d’Italia di Intesa Sanpaolo e l’evoluzione degli spazi espositivi

Per il polo museale di Intesa Sanpaolo, oggi presente a Vicenza, Milano, Torino e Napoli, è arrivato il momento di tracciare un bilancio, definendo al contempo gli obiettivi futuri. Una riflessione andata in scena a Torino, utile per ragionare in termini più ampi di impresa culturale

Diciotto mesi. Tanto è passato dall’arrivo di Gallerie d’Italia a Torino (in Palazzo Turinetti), più o meno in concomitanza con il trasferimento di Gallerie d’Italia Napoli dagli spazi – affascinanti, ma fin troppo angusti per le esigenze sopraggiunte negli anni – di Palazzo Zevallos Stigliano al “transatlantico” di via Toledo, nel monumentale edificio dell’ex Banco di Napoli progettato da Marcello Piacentini. Entrambe disegnate dall’architetto Michele De Lucchi, le due sedi museali, che hanno ampliato e approfondito il consolidato impegno di Intesa Sanpaolo nella dimensione dell’imprenditoria (e del mecenatismo) culturale, condividono la capacità di farsi piazza aperta sulla (e per la) città. Un punto di partenza che è insieme prospettiva per il futuro del polo museale dell’istituto bancario torinese presente anche a Vicenza e Milano, impegnato a definire un modello di museo moderno, che mette il pubblico al centro. Per tracciare un bilancio di quanto fatto sin qui e riflettere sulla possibilità di sistematizzare buone pratiche, proprio Palazzo Turinetti, al piano nobile dell’edificio affacciato su piazza San Carlo che custodisce gli inizi collezionistici della Compagnia di San Paolo, ha ospitato una tavola rotonda condotta dal direttore di Artribune Massimiliano Tonelli dal titolo L’evoluzione degli spazi espositivi nella contemporaneità.

Gallerie d'Italia, Palazzo Turinetti, Torino, esterni © Filippo Bolognese
Gallerie d’Italia, Palazzo Turinetti, Torino, esterni © Filippo Bolognese

Il museo “nuovo” e il modello Gallerie d’Italia

Un momento che ha visto confrontarsi i vicedirettori delle Gallerie d’Italia di Torino e Napoli, ma anche Ilaria Bonacossa – direttrice del nascente Museo dell’arte digitale a Milano – per concludersi con le linee guida in materia di creazione e gestione di uno spazio culturale del futuro, indicate dal professor Lucio Argano. A introdurre i lavori, il direttore del polo museale Michele Coppola: “C’è un disperato bisogno di investire in cultura, anche in ottica di sviluppo occupazionale, economico e territoriale. Intesa Sanpaolo, in questi anni, sta cercando di capire come farlo nel modo più efficace. E la sinergia tra pubblico e privato, in Gallerie d’Italia, ha dato vita a un unicum italiano che ci rende orgogliosi, confermato dalla partecipazione delle città in cui siamo presenti. Dobbiamo ringraziare per questo le soprintendenze, con cui il dialogo è sempre stato facile: abbiamo trovato un sistema pubblico che ci ha accolto, permettendoci di sviluppare quella pluralità di iniziative che sono alla base della nostra idea nuova di museo”. Questo processo di evoluzione, spiega Coppola, non può prescindere dalla formazione di professionalità che innovano e approfondiscono: “Sempre dalla prospettiva di un’impresa privata che ha il dovere di fare qualcosa per la società, vogliamo dare a chi si occupa di cultura gli strumenti per essere più bravi e più preparati”. 
A Torino e nella nuova sede di Napoli, il modello Gallerie d’Italia può ancora considerarsi una start up culturale. E come tale si presenta sul palco di Palazzo Turinetti per il suo primo check up – potenziato dal confronto orizzontale tra le due sedi – evidenziando due linee di indirizzo portanti, come la ricerca e l’inclusione, con l’obiettivo di lavorare, nel biennio 2024-25, ancor più sulla dimensione dell’innovazione (soprattutto digitale) incrociandola con il tema della ricerca. In fatto di inclusione, come dimostrano a più riprese le testimonianze portate in tavola rotonda, si sono invece già raggiunti obiettivi incoraggianti. 

Gallerie d'Italia Napoli - ph. Roberto della Noce
Gallerie d’Italia Napoli – ph. Roberto della Noce

Gallerie d’Italia a Torino e Napoli. Un confronto

A Torino, spiega il vicedirettore Antonio Carloni, si è investito sul museo “come luogo di relazioni, distribuendo sapere, ma anche producendolo. Il momento delle committenze è il momento della responsabilità, ed è una costante nella storia di Sanpaolo. A Gallerie d’Italia Torino, abbiamo scelto di lavorare sull’immagine, coinvolgendo grandi fotografi e artisti contemporanei con il compito di raccontare ciò che succede oggi, custodendo la memoria del passato (ben rappresentata dall’Archivio Publifoto, ndR) e insieme costruendone una per il futuro”. A questo importante lavoro di produzione, che accresce costantemente una delle più ricche collezioni corporate d’Europa, si associa l’impegno per rendere tutto ciò accessibile: “Il museo torinese ha portato una trasformazione urbanistica, diventando estensione di piazza San Carlo, ma anche un’apertura progettuale e multidisciplinare espressa da una ricco Public program, per rendere questo luogo un hub della città, che, al momento, sembra aver percepito a pieno le potenzialità dello spazio”. C’è una componente importante di rischio imprenditoriale, nella costruzione di questo modello. Che, per esempio, lavora sulla creazione di servizi integrati, destinati a diventare asset strategici per la crescita del museo, come la ristorazione (a Torino con il restauro del Caffè San Carlo e il ristorante Scatto, a Napoli con l’ecosistema gastronomico sviluppato dallo chef Giuseppe Iannotti), modulata senza timore di lavorare su un alto profilo dell’offerta. 
Del resto, come sottolinea il vicedirettore di Gallerie d’Italia di Napoli Antonio Denunzio, prendendo in prestito le parole di Gropius, “un museo deve rispecchiare l’orgoglio civile della collettività”. Nel palazzo dell’ex Banco di Napoli – che per la sua natura architettonica “ci ha messo a disposizione tante opportunità e altrettante difficoltà di allestimento” – ora è esposta una collezione di oltre 800 opere, dall’archeologia all’arte contemporanea, c’è spazio per la ristorazione, per una biblioteca aperta al pubblico, per aule didattiche in grande quantità. “La nostra sfida è stata quella di comunicare che quell’edificio nato con l’idea di essere cassaforte diventava uno spazio aperto, in un continuum tra interno ed esterno. Il principale elemento di novità che portiamo sta nella socializzazione del museo, anche in relazione con altre istituzioni cittadine come il MANN”. 

12 linee guida per i luoghi culturali del futuro

A tirare le somme, sintetizzandole in dodici linee programmatiche, è Lucio Argano, impegnato per Intesa in un lavoro di follow up di progettazione, che vuole studiare e consolidare alcune pratiche perché possa irrobustirsi l’intera attività d’impresa culturale della Banca. L’idea di museo espressa da Gallerie d’Italia, oggi, concretizza innanzitutto un cambio di funzioni, “secondo il modello dell’offerta arricchita che crea un centro di servizi”. I luoghi culturali diventano dunque “agorà, dove le persone non hanno più un ruolo passivo, ma diventano attori e coautori. Per questo il sistema di offerta è composito e articolato, e beneficia di un ripensamento delle modalità di fruizione, per quel che riguarda orari, liturgie, riti, logica dei prezzi, con maggiore attenzione alla dimensione del quotidiano”. Si sta lavorando, al contempo, “sull’uso duttile e multiforme dello spazio fisico, sulla creazione di sistemi reticolari di collaborazione esterni, su un nuovo modello di produzione e cattura di valore, che non contempli solo lo storytelling, ma anche lo storydoing”. Mentre il prossimo futuro dovrà prevedere un rafforzamento del processo di transizione digitale e green della “macchina museo”. Su tutto, vige il macrotema delle competenze, in stretta connessione con l’attività formativa del polo. 
Così” chiosa il professor Argano “si sta concretizzando un’idea di rischio imprenditoriale inteso come opportunità, anziché minaccia, che lavora sulla modularità di contenuti, oltre che degli spazi, immaginando anche una collaborazione competitiva con gli altri soggetti culturali”. Con la volontà di proporsi sulla scena nazionale come incubatori di esperienze.

Livia Montagnoli

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