Porto Design Biennale 2021: tutte le anticipazioni

La scoperta di Porto e Matosinhos a piedi, secondo una riflessione che parte dalle intuizioni dei situazionisti, l’attivazione di luoghi dimenticati delle due città grazie al design emergente, le nuove dinamiche “glocali”: ecco le prime anticipazioni sui temi dell’edizione 2021 della rassegna portoghese.

A giugno si aprirà la seconda edizione della Porto Design Biennale, curata da Alastair Fuad-Luke. Dopo l’interessante prima edizione che ebbe respiro anche storico, e nella quale l’Italia fu ospite d’onore, il progetto prosegue con nuove riflessioni sull’attualità sociale. Già a partire dal titolo, ALTER-REALITIES: Designing the Present, è evidente la volontà di incidere nel dibattito sulla capacità del design nel rispondere alle multiple sfide della contemporaneità, dalla necessità di rimodellare il paesaggio urbano in maniera più inclusiva e “amichevole” nei confronti dei pedoni al grande tema della cura. Nell’attesa di conoscere il programma, che sarà svelato nel dettaglio ad aprile, abbiamo parlato con il curatore.

Lei parla di un ruolo del design nel riorientare la percezione della città, influendo quindi sul modo di viverla. Nello specifico, a cosa si riferisce?
Ognuno di noi costruisce la percezione della città in cui vive sulla base delle proprie esperienze attraverso nano-  micro- meso- e macro-infrastrutture, situazioni spaziali, sistemi sociali, norme culturali, oltre che sulla base delle proprie abitudini quotidiane di movimento, consumo, lavoro e tempo libero. In tempi di crisi variegate e complesse, credo che sia importante sperimentare nuove percezioni della città come mezzo per adattarsi alle evoluzioni provocate dai cambiamenti climatici, dallo sviluppo economico neoliberista e dalle realtà contingenti della pandemia di SARS-COV-2, per citare solo alcune delle crisi. Guy Debord ha delineato la sua teoria della deriva nel 1956 ‒ successivamente ripresa e ampliata dall’Internazionale Situazionista negli Anni Sessanta ‒ per incoraggiare i cittadini a “buttarsi” in incontri casuali per esplorare nuovi incontri psicogeografici all’interno dell’ambiente urbano. Con la Porto Design Biennale 2021 porremo la mobilità a propulsione umana, in particolare l’atto di camminare, come parte integrante della diversa “esplorazione” delle città di Porto e Matosinhos, perché una nuova visione della città avviene in modo più potente attraverso l’esperienza diretta e l’incontro con l’altro.

Concretamente, come svilupperete questa idea?
Gli artisti hanno da tempo compreso il potere del cammino come pratica quotidiana, ma questa non è sempre sufficiente, da sola, per consentire un profondo riorientamento percettivo che si traduca in azioni. Ciò richiede una partecipazione attiva. Sia perché gli attori sono elementi stimolatori nel tradurre concretamente le differenze (in senso deleuziano); sia perché sono “spettatori” come li intendeva Augustus Boal. Questo è il motivo per cui siamo attualmente impegnati in dialoghi con professionisti e ricercatori dai diversi punti di vista, che possano approfondire la percezione della città assieme ai cittadini stessi, incrociando dati diversi per rivelare le dimensioni (in)visibili. A tal proposito, il lavoro del MIT SenseAble City Lab, guidato da Carlo Ratti e colleghi, è esemplare. Abbiamo anche bisogno di (co)creare esperienze locali, di vicinato e di comunità che esplorino altri modi di essere (insieme) così come nuove modalità di produzione e consumo per cambiare quella che Jacques Rancière chiamava la “distribuzione del sensibile”, per dirigere la percezione e il pensiero verso un nuovo agire e produrre. Qui vediamo agenzie interdisciplinari che uniscono pratiche basate su design, arte e architettura per creare nuove esperienze materiali, spaziali, o di altro tipo. Ad esempio, una nuova generazione di soggetti che sfidano la pratica. La percezione è cambiata attraverso un coinvolgimento che porta alla “creazione di un nuovo mondo, rifacendo il vecchio”, come afferma Nelson Goodman.

Magda Seifert e Alastair Fuad Luke. Courtesy Esad Idea. Photo Bruno Mesquita

Magda Seifert e Alastair Fuad Luke. Courtesy Esad Idea. Photo Bruno Mesquita

DESIGN E SOSTENIBILITÀ

Lei parla anche di “modalità di produzione che possono rinvigorire comunità, quartieri, artigiani, industrie su piccola scala, produzione alimentare locale, habitat urbani e altro ancora”, un circolo virtuoso che appunto interessi anche la produzione e che abbiamo visto molto presente, per esempio, nel palinsesto di Lille Capitale del Design. Si può quindi parlare di aperta rottura della globalizzazione, con la ricerca di una dimensione più locale e sostenibile. Quali suggerimenti concreti porterà la Biennale 2021 per combattere questa battaglia?
Le tensioni tra la localizzazione e la globalizzazione sono state espresse per due o tre decenni, ma l’uso popolare più casuale del termine “glocal” implica che c’è una spinta a trovare un equilibrio fra questi concetti (contrastanti, complementari?). Nelle relazioni quotidiane, a molti cittadini dei Paesi occidentali e occidentalizzati sembra che la dimensione globale detenga il potere dominante e le infrastrutture, nonostante ci siano molte iniziative di sostenibilità pubbliche, locali e collaborative (si pensi alle Transition Towns, Alternative Food Networks (AFNs), Makerspace, Cooperative di co-working, Società di interesse comunitario e altro). La Biennale 2021 ha fissato un’agenda per prendersi più cura delle nostre località, per esplorare come le comunità potrebbero produrre in modo diverso e come generare nuovi mezzi di sussistenza ‒ quest’ultima è un’attività fondamentale in questi tempi di pandemia. Siamo quindi in conversazione con diverse agenzie di design interdisciplinari, tra cui Assemble di Londra, per avviare progetti direttamente con i cittadini di Porto e Matosinhos per sperimentare nuove modalità di produzione e modalità di organizzazione sociale. Qui possono avere un peso gli approcci del design all’innovazione sociale e l’attivismo per il design. La nostra speranza è ispirare intervenendo, offrendo strumenti e mostrando risultati concreti.

Nel presentare la sua idea di Biennale, parla giustamente dei diritti delle donne, e del fatto che il design debba essere pensato anche per andare incontro alle loro specifiche esigenze. Ciò detto, poiché le donne non sono soltanto fruitrici del design, ma anche progettiste, la Biennale 2021 avrà una nutrita presenza di designer donne?
Rispondo con un enfatico “sì!”. La Biennale ha già una presenza significativa di donne attraverso il suo direttore, Magda Siefert e l’assistente curatore, Raquel Pais; il team è composto per l’81% di donne, il consiglio per il 56%, la metà dei designer selezionati per la seconda fase dell’Open Call for Graphic designer sono donne, così come la metà dei co-curatori con cui stiamo attualmente sviluppando altri eventi.

Alastair Fuad Luke. Courtesy Esad Idea. Photo Bruno Mesquita

Alastair Fuad Luke. Courtesy Esad Idea. Photo Bruno Mesquita

IL PROGRAMMA DELLA PORTO DESIGN BIENNALE 2021

Può anticiparci qualcosa del programma? Ad esempio, quale sarà il Paese ospite? Ci saranno seminari e incontri con i grandi nomi del design portoghese e internazionale?
Il programma principale è ancora in fase di compilazione, ma attualmente include già diverse mostre, workshop, una serie di incontri aperti, dialoghi e altro, su piattaforme fisiche e/o digitali, insieme a un importante contributo della Francia (il Paese ospite) co-curato da Caroline Naphegyi e Sam Baron. È nostra intenzione attivare spazi, luoghi e locali nelle città di Matosinhos e Porto dalla nanoscala alla macroscala, dalle zone ben note a quelle dimenticate o trascurate delle due città. L’attenzione si concentra maggiormente sui designer emergenti ma, ovviamente, saranno presenti alcuni noti designer portoghesi e internazionali, ricercatori di design e discipline affini.

Ci sarà spazio anche per le realtà produttive nate su basi cooperativistiche, di commercio equo-solidale, di sostenibilità ambientale?
Sì, è molto probabile che nell’Invito a presentare proposte avremo proposte da parte di soggetti che adottano modelli di organizzazione più collaborativi, cooperativi o basati sui beni comuni. Alcuni dei progetti o eventi commissionati, associati all’attuale programma, saranno avviati attraverso organizzazioni o individui che hanno valori di sostenibilità al centro del loro modus operandi. Nella squadra della Biennale è già stato adottato il principio di non sprecare o di ridurre al minimo gli sprechi.

È ovvio che una Biennale non può, da sola, cambiare il mondo. Però può contribuirvi. Quale messaggio si augura resti nella mente dei visitatori, quando la Biennale chiuderà i battenti?  
Sì, vogliamo i visitatori, ma vogliamo anche che sempre più visitatori della Biennale abbiano un ruolo nel plasmare l’esperienza e le sue conseguenze. La maggior parte delle nostre attività pianificate comporta un qualche tipo di partecipazione perché crediamo che agire consenta il cambiamento nel presente. Il nostro messaggio chiave potrebbe essere che il compito fondamentale della Biennale è fornire un catalizzatore per la speranza e l’azione dei cittadini di Porto e Matosinhos, così come per ispirare i cittadini di tutto il mondo. Ci auguriamo inoltre che i designer coinvolti nella Biennale e coloro che la visitano siano stimolati a cercare nuovi mezzi di sussistenza in lavori significativi creando realtà “altre”.

Niccolò Lucarelli

https://portodesignbiennale.pt/en

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Niccolò Lucarelli

Niccolò Lucarelli

Laureato in Studi Internazionali, è curatore, critico d’arte, di teatro e di jazz, e saggista di storia militare. Scrive su varie riviste di settore, cercando di fissare sulla pagina quella bellezza che, a ben guardare, ancora esiste nel mondo.

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