È Fabio Troisi il nuovo direttore dell’Istituto Italiano di Varsavia. L’intervista

Dagli Stati Uniti all’Africa, fino alla Polonia. Fabio Troisi, nuovo direttore dell’IIC di Varsavia, racconta i programmi e le sfide che lo attendono in Europa

Una scena dell’arte contemporanea vibrante, una nuova fiera per le gallerie locali, una società che investe in cultura e negli artisti emergenti: così è la Polonia vista dall’Italia. Ma come è l’Italia invece vista dalla Polonia? A raccontarcelo è Fabio Troisi, che dopo le esperienze di attaché culturale all’Istituto Italiano di Cultura a New York e all’IIC di Pretoria, in Sudafrica, come direttore, approda alle redini dell’IIC di Varsavia. Ecco cosa farà.

Cosa significa promuovere la cultura italiana all’estero? Chi è il target di riferimento e attraverso quali azioni opera l’IIC?
Dopo anni passati a occuparmi esclusivamente di questo, posso dire che promuovere la cultura italiana può significare molte cose diverse: in primo luogo, in una prospettiva di semplice “servizio” nei confronti di artisti e intellettuali, dare la possibilità ai produttori di contenuti culturali di vario tipo di trasmettere i loro prodotti all’estero.

E poi?
C’è, ad esempio, la promozione del “sistema paese” in tutte le sue componenti, uno degli elementi essenziali del “soft power” di un paese all’estero; ciò è particolarmente importante per l’Italia, riconosciuta a torto o a ragione come una “superpotenza culturale”, soprattutto (ma non solo) da noi stessi. Infine, c’è la forma di promozione di stimolante e, secondo me, più importante: operare da una posizione istituzionale per creare dei ponti tra culture, linguaggi e contesti differenti; favorire gli scambi tra artisti, per permettere la crescita reciproca e una maggiore consapevolezza del proprio e dell’altrui lavoro; stimolare la formazione di reti, che possano restare attive e operanti al di là e oltre il nostro contributo.

Di cosa dispongono gli IIC per raggiungere questi scopi?
Prima di tutto di risorse umane e finanziarie, ma anche di strutture e spazi per realizzare iniziative legate in vari modi alla cultura italiana a beneficio del pubblico delle proprie aree di riferimento; un pubblico che sempre più è costituito non solo da italofoni o “italofili”, ma anche e soprattutto da individui che a vario titolo hanno un ruolo attivo nel mondo culturale locale.

Fabio Troisi

Fabio Troisi all’epoca della direzione dell’Istituto Italiano di Cultura di New York

Nel tuo curriculum ci sono l’Africa e Stati Uniti. Cosa ti porti a Varsavia di queste esperienze?
Moltissimo. Sicuramente New York è stata la mia palestra, il luogo in cui mi sono formato rispetto a questa professione e in cui ho avuto la possibilità di conoscere dozzine di artisti di artisti di tutti i settori, scrittori, accademici; ma anche colleghi e funzionari che mi hanno insegnato moltissimo e che mi hanno permesso di crescere, anche umanamente. È stata per me una seconda casa, un luogo di riferimento totale: da lì mi porto non solo una rete infinita di contatti e relazione coltivate nel tempo, ma anche un immenso bagaglio di esperienze che hanno costruito la mia essenza professionale e umana.

E del Sudafrica?
Ugualmente, pur più breve e segnata dall’esperienza della pandemia, l’esperienza in Sudafrica mi ha lasciato delle impronte indelebili: soprattutto, l’importanza di relativizzare, di mettere in discussione le proprie idee e le proprie convinzioni; un presupposto fondamentale, nel campo della cultura, per poter entrare nella logica dello “scambio” e della collaborazione a cui ho accennato.

Com’è l’Italia vista dalla Polonia? Qual è la reputazione culturale del nostro Paese?
L’Italia è un punto di riferimento costante per pubblico e artisti polacchi. Ovviamente, ci giochiamo la “carta” (sempre vincente) del nostro immenso patrimonio storico e culturale; tuttavia, in queste prime settimane ho notato una grande attenzione nei confronti delle nostre produzioni artistiche recenti, anche in settori in cui non ce lo aspetteremmo.
Inoltre, ho notato l’altissimo livello dell’italianistica in Polonia: la nostra lingua, oltre che le espressioni artistiche e culturali, esercita da decenni, persino da secoli, una grandissima attrazione, che ha portato gli studi e le ricerche nella filologia e nella linguistica italiana a un livello di eccellenza. Devo dire che, dal punto di vista della mia professione, questo mi lusinga e allo stesso tempo mi genera un certo timore: proporre dei contenuti culturali per un pubblico di riferimento di questo livello è una sfida notevole.

Che idea ti sei fatto del panorama culturale e artistico polacco?
Di grande vivacità, di apertura, di curiosità. La situazione politica polacca, paradossalmente, stimola il dibattito e persino forme di “resistenza” o comunque di opposizione sul piano propriamente culturale. C’è da dire che nelle grandi città la maggioranza è antigovernativa, mentre nelle campagne la proporzione è capovolta; gli intellettuali e gli artisti, poi, per loro natura tendono a disallinearsi con il potere.
Inoltre, in questo momento c’è il tema della guerra alle porte: la situazione in Ucraina è vissuta con grande partecipazione qui in Polonia, e gli artisti e gli intellettuali non possono non confrontarsi con questa realtà. In generale poi, in alcuni settori la Polonia esprime delle vere e proprie eccellenze, come nella musica, nel teatro, nella letteratura, nel cinema. Diciamo che gli stimoli locali e le possibilità di dialogo non mancheranno.

In che modo l’arte contemporanea rientra nei vostri programmi e come dialogherete con la scena locale?
L’arte contemporanea è uno dei settori in cui intendo lavorare in maniera più profonda, intessendo relazioni che già ho iniziato a sviluppare, e soprattutto sempre nella logica dello scambio. Stiamo partendo con un progetto importante già quest’anno, poi vogliamo rendere gli spazi dell’Istituto di standard museale per permetterci di ospitare esposizioni di maggiore respiro, e poi naturalmente c’è il tema delle residenze, anche “incrociate”. Infine, senza “spoilerare” troppo, c’è da lavorare sull’Arte Povera, che in Polonia ha lasciato un’impressione profonda fin dagli anni Settanta e che, soprattutto, secondo Celant ha origine anche dal teatro sperimentale polacco.

Torniamo alle risorse…
Negli ultimi anni, grazie al lavoro fatto dal Ministero, le risorse a favore della promozione della cultura italiana all’estero sono incrementate considerevolmente; parliamo comunque sempre di somme limitate, ma rispetto al passato è già un passo avanti. Inoltre, gli Istituti Italiani di Cultura contano su risorse proprie, soprattutto i profitti dei corsi di lingua italiana: in Polonia gli studenti sono già un buon numero, ma c’è spazio per incrementarli ancora.
Tuttavia, ho imparato in questi quasi 15 anni di lavoro che più che le risorse economiche, nel nostro lavoro contano le risorse umane, con il loro patrimonio di idee, di impegno, di fantasia. Anche solo con questo, si può fare molto.

Santa Nastro

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Santa Nastro

Santa Nastro

Santa Nastro è nata a Napoli nel 1981. Laureata in Storia dell'Arte presso l'Università di Bologna con una tesi su Francesco Arcangeli, è critico d'arte, giornalista e comunicatore. Attualmente è vicedirettore di Artribune. È Responsabile della Comunicazione di FMAV Fondazione…

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