In ricordo di Nanda Vigo

Scomparsa a metà maggio, Nanda Vigo era uno di quei casi luminosi di “artista per artisti”. Mentre riapre la grande retrospettiva di Termoli, che la stessa Vigo aveva seguito a distanza, vi proponiamo il ricordo appassionato di Laura Cherubini.

Nanda Vigo (Milano, 1936-2020) ci ha lasciato. Sembra impossibile, considerando la sua energia, il suo attaccamento alla vita, la sua caparbia volontà di continuare a lavorare. Ricordo quando l’avevo invitata a Brera il 31 marzo 2016: era arrivata in taxi, avevo saputo poi che aveva firmato in clinica per uscire, ci teneva a venire a parlare agli studenti con i quali infatti ebbe un incontro bellissimo.

UN’ARTISTA A TUTTO TONDO

Nanda Vigo è stata geniale artista, architetto e designer, era artista a tutto campo, come nella grande tradizione storica italiana. Gian Lorenzo Bernini, il regista del barocco, quello che ha ridisegnato il volto urbano di Roma, era pittore, scultore, architetto, autore di commedie… progettava trionfi da tavola, arredi urbani e apparati effimeri per le feste della città. I grandi artisti italiani hanno sempre disegnato la vita.
Il lavoro di Nanda Vigo investe sempre l’intero ambiente. Sin dall’inizio nella sua opera ha un ruolo dominante il tema della luce, vero e proprio filo conduttore. Questo discorso nasce da un’attenta osservazione dell’architettura contemporanea, lei stessa ha spesso raccontato di come da piccola fosse rimasta molto colpita vedendo a Como la razionalista Casa del Fascio di Terragni, l’equilibrio dei volumi, il movimento della luce che filtra. Il concetto di spazio e quello di luce “vanno in contemporanea”, come diceva lei.

AZIMUT, IL GRUPPO ZERO E LA CURATELA

Vigo si accosta giovanissima agli ambienti artistici, è vicina al gruppo di Azimut, Enrico Castellani, Vincenzo Agnetti, Piero Manzoni (di cui è la compagna); poi entra a far parte del Gruppo Zero, con il quale non solo espone in molte mostre, ma di cui cura una rassegna nello studio di Lucio Fontana. Anche in questo si rivela anticipatrice, in particolare di quella tendenza che vede molti artisti di oggi farsi curatori.
Non solo ha fatto parte di gruppi d’avanguardia, ma lo ha fatto da donna, cosa certamente non facile in quegli anni. Con Fontana ha avuto una importante collaborazione, come anche con Gio Ponti (“Allora era disprezzato, anche dai giovani, perché non avevano capito niente di cosa stava facendo e per insultarlo usavano questa parolaccia volgarissima: eclettismo”).

Macte, la mostra di Nanda Vigo

Macte, la mostra di Nanda Vigo

L’INTERVENTO ALLA TRIENNALE DI MILANO NEL 1973

Un episodio centrale e importantissimo, a mio parere, ha luogo nel 1973 quando viene invitata a intervenire nell’atrio della Triennale, solitamente usato in senso monumentale, e lei non solo interviene artisticamente, architettonicamente (ne fa uno spazio semplicissimo ma efficace, completamente aperto, con pavimenti e pareti rivestiti di piastrelle di ceramica bianca, utilizzando lo scalone come la gradinata di un teatro greco), ma trasforma questa occasione in un grande programma di performance: tra suoni e arti del comportamento, l’evento musicale di Franco Battiato (allora sconosciuto) viene interrotto dalla polizia.
Ha davvero precorso molti fatti e ha collaborato sempre con altri artisti che a volte la chiamano per l’architettura delle loro case. La definirei quindi, con il felice termine coniato da Hans Ulrich Obrist, “artista di artisti”, che credo sia la cosa più importante, avere la stima degli altri artisti, il più grande riconoscimento che un artista possa avere.

A TERMOLI, ALL’INIZIO E ALLA FINE DELLA CARRIERA

Vigo ha avuto molti riconoscimenti e premi, anche all’inizio della sua carriera. Uno di questi è stato nel 1976 il Premio Termoli, che vince con l’opera Sintagma.
‘Sintagma’ è una parola greca che indica la composizione; il grande linguista Ferdinand de Saussure ne fa la definizione di una unità linguistica articolata, “la combinazione di due o più elementi linguistici linearmente ordinati”.
Questa opera in vetro, specchio e neon torna protagonista dopo quarantaquattro anni nell’ultima mostra progettata da Nanda Vigo al MACTE di Termoli, il museo nato lo scorso anno dalla raccolta delle opere del Premio. È l’ultimo Light Project di Nanda Vigo, un allestimento di cui l’opera del ’76 è al tempo stesso il nucleo generatore e la chiave di lettura. Nell’ambiente fatto di luce si dispongono due gruppi di opere: Trigger of the space (di cui fa parte lo stesso Sintagma) introduce a un viaggio attraverso soglie luminose verso avventure cosmiche, mentre Light Progressions, Trilogy riunisce gli omaggi a Gio Ponti, Lucio Fontana e Piero Manzoni. La relazione tra i due gruppi si compone a partire da una grande attenzione all’architettura del museo.
La mostra, appena riaperta, è stata inaugurata a fine febbraio. Si profilava già una situazione difficile e per Nanda Vigo non è stato possibile arrivare a Termoli, ma ha diretto passo passo l’allestimento che aveva progettato vedendo in diretta lo spazio al telefono di Allegra Ravizza e ci ha stupito tutti per la lucidità, la rapidità e la determinazione delle decisioni. L’estate scorsa aveva avuto una grande mostra retrospettiva a Palazzo Reale a Milano curata da Marco Meneguzzo.

NANDA VIGO, POLEMICA E GENTILE

La più internazionale di tutti per via della sua cultura”, secondo Lea Vergine, “personalità polemica, ma intimamente gentile”. E Hans Ulrich Obrist: “Lo studio di Nanda Vigo era un’opera d’arte totale, un Gesamtkunstwerk. Si poteva esperire come arte e vita fossero per lei inseparabili”. La sua vita, i suoi incontri e i suoi scontri con gli altri artisti sono testimonianza di questo. Nanda Vigo raccontava di una grande solidarietà tra artisti negli anni Sessanta, poi venuta a mancare.
Le ultime parole di Nanda Vigo su Telescope sono state: “Tutti possono costruirsi l’isola che non c’è”. Arrivederci Nanda, chissà dov’è la tua Isola che non c’è…

Laura Cherubini

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