Archeologia e futuro. Intervista a Emilija Škarnulytė

Fra i protagonisti della XXII Triennale di Milano, la lituana Emilija Škarnulytė racconta origini ed evoluzioni della sua ricerca artistica.

Emilija Škarnulytė è un’artista e filmmaker lituana, nomadica: nata a Vilnius nel 1987, studia a Milano all’Accademia di Brera, per poi proseguire in Norvegia, alla Tromsø Academy of Contemporary Art. Il suo lavoro è stato presentato in numerosi festival e mostre internazionali, tra cui la prima Riga International Biennial of Contemporary Art (2018), il Baltic Pavillion (Estonia, Latvia e Lituania) per la 15esima Biennale di Architettura di Venezia (2016), Manifesta 10 a San Pietroburgo e la Biennale di São Paulo (2014). Tra le collettive recenti: Hyperobjects al Ballroom Marfa, Texas, Moving Stones alla Kadist Art Foundation, Parigi, una nuova commissione per Bold Tendencies, Londra (tutte 2018); e un solo show al Kunstlerhaus Bethanien a Berlino (2017).
Pochi giorni fa è stata annunciata vincitrice della decima edizione del prestigioso Future Generation Art Prize 2019, dedicato ad artisti under 35, che le aggiudica, oltre a un generoso sostegno in denaro, una mostra personale presso il PinchukArtCentre di Kiev, nel 2020.
Il 5 aprile ha inaugurato la sua partecipazione nazionale all’interno della XXII Triennale di Milano, commissionata da Julija Reklaitė. Costruendo atmosfere surreali e post-umane, l’artista affronta temi attuali e complessi come quello della denuclearizzazione e del cambiamento climatico. I suoi lavori video e film oscillano tra documentario e finzione, scienza e credenza, scandagliando le pieghe di un tempo dilatato e profondo.

Emilija Škarnulytė, Sirenomelia, 2017, still da video

Emilija Škarnulytė, Sirenomelia, 2017, still da video

L’INTERVISTA

Manifold, il progetto di videoinstallazione che hai portato alla Triennale di Milano, tocca argomenti fondamentali in questo periodo storico, i cambiamenti climatici e il futuro della nostra specie, ma con un atteggiamento che spazia dal cosmico al geologico, dall’ecologico al politico, lasciando aperte diverse domande. Da cosa nasce il tuo interesse per questi temi?
Per me è impossibile ignorare queste domande. Maggiore è la sensibilità che investi nell’analizzarle, maggiore è la comprensione della complessità del soggetto umano in generale. Lo studio presso l’Accademia di Tromsø, in Norvegia, ha molto influenzato la mia formazione: la presenza del dipartimento di “Landscape Architecture” mi ha permesso di vedere cosa succederà sul territorio in futuro. Centinaia di nuove perforazioni sono previste nel sottosuolo dei fiordi: ciò mi ha impressionato e indotto a pensare al concetto di “perforated landscape” traslato da Kjerstin Uhre. Un Paese che appare ecological aware, ma che invisibilmente si comporta alla stregua della Corea.
Il video Manifold evoca una sensazione di angoscia contemplativa provocata dall’incontro con tutto ciò che è più grande di noi, bigger than life ‒ una catastrofe climatica incombente, fenomeni naturali, costruzioni ideologiche, strutture scientifiche massicce e conoscenze umane che lasciano cicatrici indelebili sul pianeta.

Afferma il filosofo Timothy Morton nel testo di accompagnamento alla personale presso il Künstlerhaus Bethanien: “Il Manifold di Škarnulytė parla di un nuovo, strano e molto liberatorio tipo di olismo in cui le parti non sono mai completamente dissolte nel tutto. […] Tu sei dentro le cose e queste sono dentro di te. Chi sta misurando chi?”.
La scala è sempre molto importante. Misurare gli eventi intorno a noi secondo diversi tipi di scale, sia umane che non. A volte assumo il mio corpo come unità di misura, come un mediatore. “Chi sta misurando chi?” pone l’accento sulla misura, mentre io vorrei proporre un nuovo sistema che non sia metrico o empirico, che sia lontano dagli stereotipi ideologici, che abbia una diversa provenienza rispetto al mondo classico a cui siamo abituati.
Nei film degli ultimi dieci anni, ho ricercato principalmente luoghi in cui le questioni politiche contemporanee fossero messe in scena tra mondi umani e non umani, al confine tra le forze ecologiche e quelle cosmiche. Voglio assaporare tutti i tipi di grandezze non-umane e post-umane, nelle profondità dello spazio e del tempo, usando il mio corpo come misura.
Attualmente mi sto muovendo verso punti di vista più femministi, queer: per me è ora importante lo sguardo globale sulla Terra, non solo dal punto di vista antropocentrico, ma di tutti gli abitanti che popolano il pianeta.

Cosa rappresenta l’elemento dell’uranio, proposto alla Triennale in un video in loop, come un cristallo di criptonite seducente allo sguardo? 
Si tratta di un’opera nuova, Future Fossil, un meteorite di uranio, una grossa pietra verde che gira su sé stessa. È la mia riflessione sulla dispersione nucleare cui è stato ed è soggetto il pianeta: cosa stiamo lasciando alle generazioni future? Particelle invisibili che non possiamo vedere né toccare. Immagino l’uranio come un orologio della terra, come il Carbonio 14, ma in grado di misurare periodi di tempo molto più lunghi. L’uranio-238 è stato creato 6 bilioni di anni fa da una Supernova e le sue tracce ci sopravvivranno per milioni di anni. Ciò vuol dire pensare a una temporalità differente, distorta, profondissima, difficile da percepire e comprendere. Questo elemento ci aiuterà a entrare in relazione con mondi subatomici, oscuri, impercettibili, altrimenti imperscrutabili.

Emilija Škarnulytė. Manifold. Installation view at La Triennale di MIlano. Photo Andrej Vasilenko

Emilija Škarnulytė. Manifold. Installation view at La Triennale di MIlano. Photo Andrej Vasilenko

Parli anche di “archeologia del futuro”, in che senso?
Manifold prosegue il tema della mitologia post-umana e della meditazione visiva immaginaria sulla scienza contemporanea. L’archeologia del futuro è un punto di vista. Come quando gli archeologi scoprirono le Piramidi d’Egitto e cominciarono a chiedersi cosa fossero, perché fossero lì, quale tipo di religione appagassero.
Tutti e tre i video presenti alla Triennale (Sirenomelia, 2016, Mirror Matter, 2018, Future Fossil, 2019) seguono questa linea di pensiero: immaginare lo sguardo di un archeologo del futuro che osserva la Terra, la crosta, le cicatrici della sua pelle, i monumenti del progresso e della scienza. Il CERN non rappresenta per me l’evoluzione, ma già una rovina minacciosa per chi verrà dopo di noi. L’obiettivo per me non è tanto rispondere a delle domande, quanto sollevarle. La mia visione consiste nel cercare una convivenza equilibrata, che non esiste attualmente, tra pianeta ed essere umano.

Come hai costruito lo spazio espositivo?
Mostrato come un’installazione video su larga scala, Manifold consiste in un’architettura immaginata attraverso scansioni 3D a rilevamento remoto e un soffitto a specchio, un paesaggio geografico epico, che richiama il petrolio liquido nero. La figura della Sirena collega passato e futuro esplorando la memoria della centrale nucleare lituana di Ignalina ‒ sorella gemella di Chernobyl ‒, l’osservatorio di neutrini Super-Kamiokande in Giappone, la fabbrica dell’Antimateria, il Large Hadron Collider al CERN, il radar Duga e la Base sottomarina costruita durante la Guerra Fredda al di sopra del Circolo Polare Artico.
Provo a creare un nuovo linguaggio immersivo: lo specchio di Mirror Matter (2018), ad esempio, raddoppia lo sguardo, permettendo allo spettatore di entrare nel paesaggio, lasciando che la sua ombra interagisca con le immagini e ne diventi parte. Le particelle neutrine attraversano il suo corpo come dei pixel, così che egli stesso diventi un potenziale acceleratore. Costruisco un’esperienza spaziale multidimensionale, “scolpendo” le opere video, aprendo la prospettiva con superfici nere specchianti, lasciando che l’osservatore sperimenti l’orizzonte visivo della Sirena che si tuffa in un oceano di petrolio liquido. La mia proposta è quella di rinnovare lo sguardo sui medesimi temi, senza mettere a rischio l’ecosistema intero.

All’interno di paesaggi tecnologici algidi e spersonalizzati, la presenza di una figura mitologica e ancestrale come la Sirena (Sirenomelia, 2016), raccoglie una carica simbolica detonante. Che significato investe nel tuo immaginario? Che fine ha fatto nei tuoi lavori l’umanità intera?
I simboli che sto usando provengono da mitologie del passato recente e remoto. Le credenze a cui le persone si affidano e le loro discrepanze. È importante invitare gli spettatori a guardare attraverso il punto di vista di questi personaggi mitologici. La Sirena è un simbolo e un contro-mito. È come l’acqua nei diversi stati della materia, fatta di molecole che cambiano e si espandono. È un cyborg, ancora legato all’umano mentre si fonde con il pesce, il sottomarino, la macchina e il siluro. Volevo contrastare questo luogo militarizzato, che conserva ancora il mito della guerra, con un contro-mito: le creature del mare sono sempre state mediatrici della “natura”. Volevo essere io stessa in grado di vedere le rovine della Guerra Fredda attraverso gli occhi della Sirena, nuotando con una coda (dopo mesi di allenamento) alla temperatura di 4°. Le mie opere sono in gran parte prive di esseri umani, anche se non sappiamo davvero se qualcuno abiti ancora questi mondi. I suoni che riempiono lo spazio aggiungono una sfumatura inquietante e post umana.

Marta Silvi

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Marta Silvi

Marta Silvi

Marta Silvi (Roma, 1980) è storica dell’arte e curatrice indipendente, di base a Roma. Laureata in Storia dell’Arte Contemporanea presso l’Università “La Sapienza” di Roma, ha conseguito il Dottorato di Ricerca in Storia delle Arti Visive e dello Spettacolo presso…

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