Tax credit e scontro tra interessi. In ogni caso, gli italiani hanno perso

È giusto ripensare il tax credit per il cinema, ma per farlo servono visione politica e consapevolezza che sembrano mancare al Governo attuale

Cos’è il cinema?
Una domanda stupida. O forse no. Perché l’interpretazione di cosa sia o non sia cinema ha dei risvolti pratici inattesi. Facciamo un piccolo confronto. Il nostro Ministro Gennaro Sangiuliano ha recentemente condiviso, nel corso di un evento, di essere stato “crocifisso sui giornali da una casta ricca, ma molto molto ricca, perché mi sono permesso di dire che nel sistema del tax credit del cinema Italiano ci sono delle autentiche…non usiamo la parola va…diciamo che ci sono delle cose sospette che ti fanno riflettere […] c’è un film finanziato che è stato visto da 29 persone e poi non è approdato né su piattaforma né su televisione”.
D’altro alto, Justine Triet, regista Palma d’Ora nel 2023, afferma, alla redazione di Domani: “Da alcuni anni gli adattamenti di romanzi prevalgono sulle creazioni originali, perché i finanziatori vogliono essere rassicurati. Il mantra è: ‘non preoccupatevi, faremo soldi’. In realtà, è un’idiozia, ho fatto film con un mega casting che non hanno incassato nulla e altri come questo che sono un inaspettato successo al botteghino. Non dico che bisogna fregarsene degli incassi, dico solo che invece di essere sempre di più al servizio di una piattaforma o di un romanzo best seller da adattare, bisogna continuare a sperimentare”.

Cinema Modernissimo Bologna, grafica
Cinema Modernissimo Bologna, grafica

Cos’è il tax credit?

Qui è importante evitare le banalizzazioni, che vorrebbero da un lato chi vede il cinema solo come industria e dall’altro chi vede il cinema come arte. Perché né Sangiuliano è insensibile al potere dell’audiovisivo, né Triet è così naif da celebrare un’art-pour-l’art novecentesco. Il cinema è dunque un settore economico sufficientemente rilevante da convogliare interessi da parte di investitori (istituzionali e non), all’interno del quale è opportuno distinguere differenti categorie di prodotti e produzioni.
Prima di procedere, è forse altrettanto opportuno smarcarsi da altre difficoltà lessicali: all’interno del presente articolo qualsiasi produzione cinematografica viene definita “prodotto cinematografico”.
Anche i cortometraggi più sperimentali. Questa precisazione è importante, perché in alcuni casi ben vale la pena distinguere tra “prodotto filmico” e “opera cinematografica”, ma ai fini di questa riflessione è invece molto più coerente pensare ad entrambe le produzioni come prodotti cinematografici, distinte per modalità di produzione, target di riferimento, professionisti coinvolti, ecc.
Se teniamo dunque fede a questa definizione, abbiamo uno strumento fiscale, noto come tax credit, che permette ad una serie di soggetti di diminuire i contributi dovuti al fisco attraverso il finanziamento di un prodotto cinematografico.
Il meccanismo che abbiamo oggi in essere, e che ha visto effettivamente crescere la partecipazione dei privati, ha subìto nel tempo delle modifiche che erano volte a ridurre o eliminare alcune conseguenze negative manifestatesi nelle precedenti formulazioni. Riformare, oggi, il tax credit per il cinema non è dunque un’eresia. Anzi. Va capito però perché si riforma. Il discorso è molto semplice: l’obiettivo che si intendeva raggiungere quando è stato rivisto in modo significativo il meccanismo del tax credit (nel 2016), era quello di incrementare i finanziamenti al cinema italiano. A quanto pare tale obiettivo è stato raggiunto.

Cinema e tax credit: la situazione attuale

Le storture che oggi vengono evidenziate, erano visibili già dal primo anno, leggendo semplicemente la normativa. Nei vari film che sono stati prodotti grazie al meccanismo del tax credit, ci sono stati dei successi importanti, sia sotto il profilo di prodotti cinematografici destinati ad un pubblico esigente e attento all’arte della cinematografia, sia sotto il profilo di prodotti cinematografici destinati ad intrattenere, attraverso la narrazione filmica, un numero tendenzialmente ampio di persone.
Cedere alla retorica utilizzata da Sangiuliano è dunque sbagliato. È evidente che il numero di spettatori e di incassi sia un elemento importante per alcuni film. Ci sono film che vogliono soltanto questo. Non c’è niente di male. È però altrettanto evidente che questa metrica non sia coerente nel momento in cui c’è un’opera prima che è una scommessa, perché tratta temi particolari, con una visione cinematografica ricercata, con una fotografia e con una regia “non trasparenti”. Soprattutto se si giustifica, come si suol fare sempre, l’intervento statale a sostegno della cultura come un intervento volto a garantire un’offerta culturale che altrimenti non potrebbe contare su una domanda tale da poter essere finanziariamente sostenibile.

Gennaro Sangiuliano (dalla pagina Facebook del Ministro)
Gennaro Sangiuliano (dalla pagina Facebook del Ministro)

C’è necessità di maggiore trasparenza

Si può dunque rimodulare il tax credit, ma lo si deve fare con cognizione di causa, e con una visione che non riduca uno strumento importante in un aiuto di stato mascherato da sostegno alla cultura, rivolto a prodotti cinematografici che non ne avrebbero bisogno. O meglio, si può scegliere anche di adottare questa strada. Ma deve essere una strada dichiarata. Una strada che veda l’attuale Ministro dichiarare che il suo obiettivo è finanziare prodotti cinematografici rivolti al grande pubblico, perché quello, e non il tax credit, è l’unico modo di costruire un’industria cinematografica solida, in grado di garantire anche la nascita di nuovi talenti. Sarebbe una visione politica. Discutibile, condivisibile. Ma sarebbe una visione politica.
Dopo un po’ di azioni e dichiarazioni, tuttavia, il timore che la volontà del Ministro sia quella di rendere la cultura un’ancella del turismo, o del consenso politico, è fondato. Così come è fondato il timore che questa esigenza di riforma, non miri a riformare il cinema, la cultura o i musei, ma miri piuttosto a riformare le persone che hanno nel frattempo assunto ruoli di responsabilità e connessioni importanti, così da poter sostituire tali persone con persone “non ostili”. Le riforme vanno fatte per adeguare strumenti alle mutate esigenze di scenario. Sono sacrosante. Vanno però promosse per ottenere un maggiore valore pubblico. Il solo sospetto che non sia questo il motivo che spinge alla riforma, piuttosto che mettere in discussione la riforma in sé, dovrebbe mettere in discussione l’intera posizione del Governo.

Stefano Monti

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Stefano Monti

Stefano Monti

Stefano Monti, partner Monti&Taft, è attivo in Italia e all’estero nelle attività di management, advisoring, sviluppo e posizionamento strategico, creazione di business model, consulenza economica e finanziaria, analisi di impatti economici e creazione di network di investimento. Da più di…

Scopri di più