Il settore culturale è una bolla che rischia di esplodere?

Il settore culturale e creativo è in crescita in Italia, anche sul fronte economico, ed è un bene. Ma se non è supportato da solide basi e strutture, il rischio è che vada in frantumi. Penalizzando soprattutto i più giovani

C’era una volta, tanto tempo fa, un’idea unitaria di cultura: erano tempi per alcuni versi sicuramente più semplici, ma anche poco emozionanti. La vita degli italiani era divisa in tempo per il lavoro, tempo per la famiglia, tempo per gli acquisti, tempo per gli amici e tempo per gli hobby mondani e spirituali. a un certo punto, il mondo divenne molto più complesso. Il lavoro, la famiglia, gli amici, il tempo libero, le passioni, niente era più come prima.
Dove prima c’erano macchie di grasso spuntavano cravatte sbagliate, la famiglia divenne un concetto sempre più ampliato, il bar sport diventava internazionale e la cultura, il tempo libero, acquisivano sempre più un ruolo anche economico all’interno della società.
Complici anche alcuni stravolgimenti epocali, la crisi dell’industria globale, le trasformazioni sociali in atto, la nascita e l’esplosione di internet, e la crescente attenzione alle professioni immateriali, a un certo punto il tempo si fermò e si scoprì che, in fondo, la cultura, iniziava ad avere sempre più impatti economici sulla vita delle persone.
Questa osservazione cambiò di molto la prospettiva di vita di tantissimi adulti, e ancor più di ragazze e ragazzi: ora si poteva vivere di cultura senza dover essere a tutti i costi una rockstar.
Era un sogno che si avverava. Una sorta di american dream, ma molto più adatto al tricolore che al mondo a stelle e strisce. Un sogno che è piaciuto così tanto che sempre più persone hanno deciso di aderirvi: alcuni con un mix di ingenuità, energia ed entusiasmo, altri invece con l’intento di contribuire a una profezia che si autoavvera. E che ha in parte funzionato. Oggi la cultura assume sempre più peso nella vita economica del nostro Paese, sempre più persone decidono di dedicare il proprio impegno e il proprio tempo al settore, anche accettando (sì, lo fanno) salari più bassi e condizioni lavorative più precarie, pur di svolgere un lavoro che le gratifichi non solo dal punto di vista economico, ma anche dal punto di vista umano e intellettuale.
Nel frattempo anche la cultura è cresciuta: a lei si è unita la creatività, e insieme sono diventate famose sotto il nome di Cluster delle ICC – Industrie Culturali e Creative e hanno conquistato sempre più spazio, fino a divenire quasi ubiquitarie. La percezione che cultura e creatività siano presenti in ogni momento della nostra vita è divenuta sempre più forte. Da quando siamo al lavoro (sono cultura la comunicazione, il marketing, il packaging, i programmi informatici che utilizziamo) fin nell’intimo delle nostre toilette (le riviste, i libri, le descrizioni promozionali sui saponi). Con la generale dipendenza di massa dagli smartphone, poi, il processo è divenuto completo: ogni testo, ogni immagine, così come ogni processo informatico, sono oggi cultura.
Lavorando fianco a fianco, la cultura e la creatività hanno finalmente raggiunto il livello massimo della loro espansione: sono diventate contenuto.

CRESCITA DELLA CULTURA E CONSEGUENZE

Chi ha creduto fin dall’inizio a questa trasformazione, a questo sviluppo culturalizzante della nostra società, non può che essere felice della crescita esponenziale della cultura. Ma chi ha creduto fin dall’inizio a questa trasformazione deve anche tener conto dei pericoli che minacciano di sgretolare questo sogno. E una delle minacce più grandi è che questo sogno si estenda sempre più, senza però avere basi sufficientemente solide da reggere il confronto con la realtà. E questo pericolo è, purtroppo, più vicino di quanto si pensi. Solo che a spingere verso il punto di rottura non è un nemico cattivo, ma è l’ambizione totalizzante della cultura, e delle donne e degli uomini che, nel genuino intento di trasformare sempre più la cultura in una realtà economica essenziale, cercano di dimostrare quanto la cultura impatti, quanto la cultura generi ricchezza, quanto la cultura sia la strada che le ragazze e i ragazzi del nostro Paese possono percorrere per costruirsi un proprio solido futuro.

“È importante procedere con cautela e con grande onestà intellettuale. Perché è un sogno che può avverarsi, ma soltanto se non si cercano scorciatoie”.

Sicuramente la cultura è cresciuta, sicuramente sono cresciuti i suoi occupati, sicuramente ha assunto un ruolo economico rilevante. Ma è anche vero che c’è una parte di cultura, una parte di quell’indotto che viene inserito nei report statistici, che è interpretabile come cultura soltanto in una logica di astrazione, soltanto in una dimensione d’analisi.
Io sono cultura, ad esempio, identifica come uno dei principali comparti di quello che nel rapporto viene definito come Sistema Produttivo Culturale e Creativo (SPCC) italiano, il comparto dei videogiochi e dei software. Secondo il rapporto, è quello con maggior valore aggiunto: parliamo di circa 14mila milioni di euro, contro i 10.542 milioni dell’editoria a stampa, i 7.090 milioni dell’architettura e design, i 5.227 milioni dell’audiovisivo e musica, i 4.845 milioni della comunicazione, i 4.224 milioni delle performing arts e delle arti visive e i 2.699 milioni del patrimonio storico e artistico.
Si tratta quindi di un comparto fondamentale, che contribuisce, da solo, a circa il 16% dell’intero SPCC e a quasi l’1% della nostra totale economia. Peccato che all’interno di questo settore siano conteggiati i seguenti codici ATECO: Edizione di giochi per computer, Edizione di altri software a pacchetto, Produzione di software non connesso all’edizione, Portali web.
Se questa fosse una riflessione di metodo, qui adesso ci sarebbero le descrizioni che identificano i singoli comparti. Ma non è una riflessione sul metodo, è una riflessione su un sogno. Su un sogno che rischia di esplodere come una bolla di sapone, in mano a ragazze e ragazzi che, incoraggiati da questi numeri, decidono di avviare una carriera senza essere pienamente consapevoli di ciò che questo significhi.

“A spingere verso il punto di rottura non è un nemico cattivo, ma è l’ambizione totalizzante della cultura”.

Possiamo ragionare e scrivere e dibattere e dilungarci per interi libri (lo abbiamo fatto) su ciò che sia o non sia cultura. Ma per quanto sia effettivamente difficile, se non impossibile, nella nostra epoca, riuscire a definire ciò che la cultura sia o non sia, è anche vero che c’è in noi una sorta di istinto che ci orienta tra reale e immaginario. Alla base di molti dei nostri romanzi e dei nostri film c’è un meccanismo che alcuni chiamano principio di sospensione dell’incredulità.
Tale principio è sacrosanto: sappiamo che assistiamo a una finzione, ma vogliamo crederci. Questo elemento è tanto potente quanto fragile; ci permette di immergerci completamente in un romanzo o in un film, ma basta un nonnulla a infrangerlo: un dettaglio non coerente con la trama e la magia sparisce. Se non si arriverà mai a una vera definizione del perimetro delle Industrie Culturali e Creative, allora è forse il caso di fare leva su questo nostro sesto senso.
E, senza dubbio, la lista dei codici ATECO ammissibili ai finanziamenti del Fondo del settore creativo, definiti dal Ministero dello Sviluppo Economico in concerto con il Ministero della Cultura, è uno di quegli elementi che strappa la sospensione dell’incredulità, ci riporta alla realtà e ci fa vedere con innegabile evidenza quanto la formula cultura=contenuto sia un’astrazione, una fiaba, cui tutti vogliamo credere.
Gli impatti economici della cultura sono importanti. Sono importanti perché oltre a generare crescita (variabile esclusivamente quantitativa) generano sviluppo. Ma è importante procedere secondo un progetto che dia sempre più sostegno a questo sogno. È importante procedere con cautela e con grande onestà intellettuale. Perché è un sogno che può avverarsi, ma soltanto se non si cercano scorciatoie, soltanto se non si creano bolle, che per propria natura, prima o poi, esplodono.

Stefano Monti

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Stefano Monti

Stefano Monti

Stefano Monti, partner Monti&Taft, è attivo in Italia e all’estero nelle attività di management, advisoring, sviluppo e posizionamento strategico, creazione di business model, consulenza economica e finanziaria, analisi di impatti economici e creazione di network di investimento. Da più di…

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