In ricordo di Gianni De Michelis. Ritratto di un politico colto, che amava l’arte e il potere

Il ritratto di un uomo simbolo della Prima Repubblica, tra politica, cultura, mondanità. Muore a 78 anni il socialista Gianni De Michelis, al centro di pettegolezzi per la sua vita festaiola, condannato per tangenti e uscito di scena a metà anni ’90. Dal Guggenheim alle discoteche, passando per il Ministero degli Affari Esteri, un personaggio di spessore, anticonvenzionale.

Fu spazzato via dal ciclone Mani Pulite, come gran parte della classe politica che ebbe in mano i destini dell’Italia tra la fine degli anni ’70 e i primi ‘90. Quasi tutti i procedimenti a carico di Gianni De Michelis (una trentina) si conclusero con l’assoluzione: alla fine l’iter giudiziario portò a un patteggiamento a 1 anno e 6 mesi per corruzione (alcuni miliardi di tangenti legati alle autostrade venete), più sei mesi per lo scandalo Enimont. Lui, come Bettino Craxi e la vecchia stirpe di socialisti rampanti o di opachi democristiani, divenne simbolo della casta corrotta e tentacolare, contro cui il popolo iniziò a indirizzare il proprio sdegno. Una resa dei conti che sfociò in una nevrosi collettiva.
De Michelis, scomparso nella notte tra il 10 e l’11 maggio scorso all’età di 78 anni, venne attaccato per la sua mondanità compulsiva (“Tutti dicevano che veniva nel locale e beveva, invece ha sempre bevuto succhi di frutta”, racconta uno dei patron dello storico locale romano Il Tartarughino, dove era di casa): personaggio autorevole ed eccentrico, incarnò il famoso detto “vizi privati e pubbliche virtù”, ai tempi così in voga. E i vizi, a proposito di gestione del potere, non furono certo gli allegri dance floor e le ore piccole consumate tra i club e i ristoranti, da cui – si diceva – risorgeva fresco come una rosa, pieno di energie. Uomo lucido, insofferente ai perbenismi, guidato da autentica passione politica, pari alla straripante joie de vivre.

Gianni De Michelis In ricordo di Gianni De Michelis. Ritratto di un politico colto, che amava l’arte e il potere

Gianni De Michelis

TANGENTI, DISCOTECHE E INTELLIGENZA POLITICA

La lingua affilata di Enzo Biagi tirò fuori per lui un simpatico epiteto al veleno: “avanzo di balera”. Un riferimento ai guai giudiziari e insieme alla vita ballerina dell’ex ministro e vice-segretario del PSI, inossidabile amante delle discoteche, tra stuoli di yuppies e rituali mondani. Per i suoi 50 anni – tanto per dirne una – organizzò una festa nei dintorni di Praga, affittando un castello per 200 persone. Nel mentre scoppiò la Guerra del Golfo, i giornali lo assalirono e Craxi gli intimò: o il party o la poltrona.
Tangentopoli? Nel 2011, in un’intervista al Corriere, usò parole aspre di realismo e disincanto: “I manovratori furono quelli del Pds, d’intesa con l’establishment, che sperava di usarli e ne venne usato. Ma certo anche noi commettemmo parecchi errori. Non capimmo che, caduto il Muro, gli italiani non erano più disposti a tollerare certe cose. E non capimmo quanto era diventata ricca l’Italia: nel ’92 l’Italia vera, non quella delle statistiche, era il Paese più ricco del mondo. Così gli italiani si illusero di poter fare a meno della politica”. Analisi magistrale. Le tangenti, aggiunse, andavano “ai partiti. E a qualcuno che ne approfittò. Ma erano cifre del tutto compatibili con il sistema economico: diciamo quel 3% che è considerata dai direttori dei supermercati la soglia fisiologica del taccheggio. Oggi si fa cento volte di peggio”.
La verità è che Gianni De Michelis, nato a Venezia nel 1940 e iscrittosi al PSI negli anni ’60, fu un brillante professionista della politica, essendo sotto vari governi Ministro degli Esteri, del Lavoro, delle Partecipazioni statali, Vicepremier, Deputato nazionale e  poi europeo. E lo fu in quella maniera speciale, ascrivibile a una determinata fase storica, che faceva convivere serietà e spregiudicatezza, leggerezza e background culturale, passione per le idee e attaccamento al potere, umanità e cinismo da strateghi. Anni in cui si custodiva il peso di certi ideali – ma non più quello di austere ideologie – diluendolo nei meccanismi malati del sistema. Generazione di statisti, a confronto con un certo circo attuale.

Il ministro degli Esteri Gianni De Michelis con le ragazze della trasmissione televisiva Drive In, 8 giugno 1987

Il ministro degli Esteri Gianni De Michelis con le ragazze della trasmissione televisiva Drive In, 8 giugno 1987

UN UOMO DI CULTURA. I LIBRI, LA FAMIGLIA, L’ORIZZONTE INTERNAZIONALE

Figlio di una famiglia protestante, laureatosi in chimica industriale, De Michelis fu docente a Padova e poi all’Università Cà Foscari di Venezia. I libri furono una costante nella sua vita, a partire da quel pacchetto di azioni della casa editrice Marsilio, acquistato nel 1965 per 400mila lire. Divenne amministratore delegato e chiese al padre di regalare un’altra quota al fratello minore Cesare, in occasione della sua laurea. Sarebbe stato proprio lui, Cesare De Michelis, a guidare negli anni una realtà editoriale sempre più di spicco, divenendone presidente del ’69: intellettuale brillante, saggista e accademico, il più giovane dei fratelli – scomparso nell’agosto del 2018 – ha diretto importanti riviste accademiche, è stato membro di fondazioni culturali (tra cui la veneziana Cini), consigliere del Teatro la Fenice, vicepresidente della Biennale di Venezia e nel 1980 assessore alla pubblica istruzione del Comune di Venezia nella giunta di sinistra Rigo-Pellicani.
Ambiente familiare e prime esperienze professionali danno già il senso di un profilo alto, per un uomo che cercò nutrimento tra lo studio, i viaggi, la lettura e la scrittura, anche e soprattutto a vantaggio del lavoro di uomo di Stato: De Michelis, firmatario del trattato di Maastricht, tra i primi a presagire con largo anticipo la gravissima crisi migratoria, si occupò dell’Europa, dei Balcani, del Medio Oriente, del Mediterraneo, rafforzando il ruolo internazionale dell’Italia e lavorando sempre per la mediazione, la cooperazione, le strategie di dialogo. Su Panorama, nel 2011, scriveva con acume: “Dobbiamo aver ben chiaro che dalla fine del precedente ordine mondiale sono passati invano 20 anni. O l’ordine nuovo lo costruiamo adesso, trovando i compromessi necessari per quella che io chiamo la governance multilaterale del mondo multipolare, oppure scoppierà un altro conflitto planetario. È inevitabile. Il mondo di oggi è troppo complesso: eccesso di popolazione, eccesso di ricchezza prodotta, eccesso di squilibri. Un mondo così è troppo pesante anche per le spalle degli Stati Uniti, non può essere governato da un paese solo, da un sistema unipolare”.
Diversi i libri pubblicati, sui temi che ne guidarono l’azione e la riflessione politica. Tra questi: “Verso il XXI secolo. Idee per fare politica” (1987), “Mediterraneo in ebollizione. Cause e prospettive della Primavera araba” (2013), “La lunga ombra di Yalta. La specificità della politica italiana” (2013). E ai libri tornò, con slancio da studioso, dopo il terremoto Mani Pulite, l’isolamento e la nuova vita fuori dalla militanza e dalle istituzioni. In un’intervista raccontava di essersi letteralmente tuffato tra i volumi di alcuni templi della cultura: “La British Library, la più bella al mondo. La biblioteca centrale di Pechino. Quella del congresso a Washington. La Très Grande Bibliothèque di Mitterrand. Mi sono messo a studiare la demografia storica”.

LA DISCO-GUIDA E LA CITAZIONE ARTISTICA

Ma tra tanto impegno intellettuale e geopolitico, non poteva mancare la pubblicazione pop. Una specie di gioco, di esperimento kitsch o camp, con tanto di prefazione di Gerry Scotti. Nel 1988 diede alle stampe l’ormai mitica “Dove andiamo a ballare questa sera?”, una guida a 250 discoteche italiane, tra quelle considerate da lui “raccomandabili, frequentabili, a cui poter rivolgersi con sicurezza per passare bene il proprio tempo e per spendere bene il proprio denaro”. Il tutto presentato con un candore e una normalità geniali, nel buffo contrasto con il profilo istituzionale.
Volume talmente iconico da aver ispirato il duo di artiste Goldschmied & Chiari  per un’opera dall’omonimo titolo, esposta nel 2015 al Museion di Bolzano: si trattava di un set con i resti di un party, tra bicchieri, bottiglie, coriandoli, festoni, metafora degli anni ’80 e dell’inarrestabile deriva capitalistica. Singolare l’incidente capitato dopo l’inaugurazione:  il personale delle pulizie, scambiando l’installazione per un vero caos post-festa, spazzò via tutto, gettandolo nella spazzatura.

Goldschmied & Chiari, Dove andiamo a ballare questa stasera?

Goldschmied & Chiari, Dove andiamo a ballare questa stasera?

Il RAPPORTO CON L’ARTE CONTEMPORANEA

E a proposito di arte, De Michelis la amò e la frequentò, negli anni del successo sopratutto, ma anche in quelli della maturità, avendo sposato nel 1997 la consulente finanziaria Stefania Tucci, collezionista di opere di autori contemporanei. Lo si poteva incontrare tra grandi fiere come Art Basel e Frieze (dove Artribune ebbe la fortuna di intervistarlo nel 2012) ed è nota la sua vicinanza all’art system italiano e internazionale, per cui si spese in prima persona, supportando musei, progetti di sviluppo, programmi culturali.
Fu ad esempio membro del bord del P.S.1, prima dell’accorpamento al MoMA: spulciando tra gli archivi del museo il suo nome torna più volte, come nel comunicato stampa del 20 ottobre 1986, che annuncia la consegna della presidenza del consiglio di amministrazione ad Anthony Solomon (collezionista e Presidente della Federal Reserve Bank of New York), con De Michelis nel nuovo ruolo di presidente dell’International Committee.
Forte l’impegno anche con la Solomon R. Guggenheim Foundation, di cui fu amministratore fiduciario, partecipando al progetto per la costruzione del Museo di Bilbao e impegnandosi per anni, tra pastoie burocratiche, avvocati e relazioni istituzionali, nella battaglia per l’affidamento dello spazio di Punta della Dogana: l’allora direttore Thomas Krens voleva farci un gigantesco Guggenheim e tra l’89 e la metà degli anni ’90 si lavorò per ottenere la cessione dal Demanio al Comune. Dopo varie traversie e ripensamenti, com’è noto, fu il mecenate François Pinault ad aggiudicarsi lo spazio, vincendo un bando comunale nel 2006.
Piglio visionario e molte sfide per la valorizzazione del contemporaneo a Venezia. Una testimonianza puntuale arriva dal grande collezionista Giuseppe Panza, fra le pagine del suo libro di memorie: “Negli anni ’80 a Venezia nasceva un interesse per la collezione. Era ministro degli Esteri Gianni De Michelis del Partito Socialista (…) Il ministro aveva grandi idee per Venezia, voleva fare una fiera internazionale coinvolgendo anche località della laguna. Si interessava alla cultura e all’arte, voleva dare nuova vita all’antico Arsenale di Venezia, dove si producevano le navi da guerra della Repubblica che dominavano il Mediterraneo e i commerci di Venezia dal Medioevo fino alla fine del ‘700. L’Arsenale era in gran parte abbandonato, ma ancora in proprietà al demanio della Marina Militare. (…) Credo che trovare un accordo con il demanio fosse una procedura molto lenta. Per questo non fu possibile utilizzarlo”.

Silvio Berlusconi con Gianni De Michelis, foto Ansa

Silvio Berlusconi con Gianni De Michelis, foto Ansa

Sogni coltivati e a volte non concretizzati, per amore della sua città (di cui avrebbe voluto essere sindaco) e per passione del bello, dello sviluppo, della cultura. Lui, che da Ministro del Lavoro inventò nel 1986 la controversa espressione “giacimenti culturali” – battezzando così una maxi operazione per l’occupazione giovanile, la digitalizzazione e la valorizzazione dei beni culturali, con i cospicui fondi messi a disposizione in Finanziaria – alla forza trainante dell’arte e della cultura ci credeva davvero. E non era solo un fatto di economie. La vecchia generazione politica, quando fu lungimirante, assegnò prima di tutto ai contenuti il senso della lotta spietata nell’agone del potere: “In politica tutto è lecito”, ammetteva De Michelis nel 2004, a proposito dei rapporti tra il Nuovo PSI e Berlusconi. Ma, aggiungeva, “un sottosegretario in più cosa conta? Io porto idee, consigli, porto la nostra politica”. E poi l’onestà intellettuale della chiosa, da nemico qual era di ogni moralismo e ipocrisia: “Andrei a braccetto anche col diavolo pur di far contare le mie idee“. Idee fondate sui libri, sulla conoscenza del mondo e su una formazione politica vera: l’era dei selfie culinari e dei giochi a quiz sui social era ancora lontana.

–  Helga Marsala

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Helga Marsala

Helga Marsala

Helga Marsala è critica d’arte, giornalista, editorialista culturale e curatrice. Ha innsegnato all’Accademia di Belle Arti di Palermo e di Roma (dove è stata anche responsabile dell’ufficio comunicazione). Collaboratrice da vent’anni anni di testate nazionali di settore, ha lavorato a…

Scopri di più