“Con grande dolore vi diamo la triste notizia che il nostro amato amico, collega e fratello Toni Merola ci ha lasciati, dopo una malattia veloce e implacabile”, si legge sul profilo Facebook della Galleria Milano, la prima a dare l’annuncio della scomparsa del proprio direttore, morto a Milano il 10 luglio 2022. “Chi l’ha incrociato sul proprio cammino sa quanto fosse una persona speciale e unica: ci mancherà ogni giorno, tantissimo. Ci vediamo questa sera (11 luglio) alle ore 18.30 nel cortile di casa sua, in via Jacopino da Tradate 8, Milano per salutarlo insieme. Poi il suo corpo partirà per Futani, il suo paese d’origine”.
TONI MEROLA E LA GALLERIA MILANO
Toni Merola, nato a Futani, in provincia di Salerno, il 19 settembre 1964, ha lavorato per oltre vent’anni con la Galleria Milano (la quale ha recentemente annunciato la sua dipartita, dopo 50 anni di attività, dalla sede di via Manin/via Turati, per una nuova sede ancora da svelare…), tanto da diventare un tassello fondamentale della sua storia. Dopo essersi formato da autodidatta e aver vissuto per dieci anni a Londra, dove prese parte alle ricerche dell’ARC Group e aver sperimentato la fotografia, Toni Merola aveva iniziato a collaborare stabilmente con Carla Pellegrini nel 2001. A seguito della scomparsa della gallerista e fondatrice, avvenuta nel 2019, è stato il figlio Nicola Pellegrini a prendere le redini dello spazio espositivo, affidando a Merola la carica di direttore. Nel 2020 ha curato Autoprogettazione con Nicola Pellegrini e Bianca Trevisan, progetto artistico-curatoriale online basato sugli insegnamenti di Enzo Mari che invitava i partecipanti – chiunque desiderasse rompere la stasi del lockdown in cui tutto il mondo era confinato in quel momento – ad auto prodursi opere all’interno delle mura domestiche. Coinvolti in Autoprogettazione, oltre 100 artisti italiani e internazionali, del calibro di Mario Airò, Alterazioni Video, Monica Bonvicini, Ugo La Pietra, Marzia Migliora, Ottonella Mocellin e Nicola Pellegrini, Adrian Paci, Cesare Pietroiusti, Premiata Ditta, Patrick Tuttofuoco, Luisa Valentini, Vedovamazzei, Cesare Viel, Luca Vitone, Francesco Voltolina, Italo Zuffi, tra gli altri. “Chiunque abbia frequentato la Galleria Milano sa che Toni Merola ‘era’ la Galleria, ne custodiva anima e memoria”, aggiungono dalla galleria. “Sempre disponibile verso gli altri, aveva una grande conoscenza della storia dell’arte e del sistema dell’arte contemporanea”.
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Toni Merola ph. Floriana Giacinti
TONI MEROLA, IL RICORDO DI BIANCA TREVISAN
Ho conosciuto Toni nell’aprile del 2013 quando ho fatto il colloquio per lavorare in galleria e la prima impressione, nella penombra di via Manin, causa cipiglio arcigno e sguardo sospettoso, non era stata, come dire, ottima. Poco dopo però avrei scoperto che sotto quell’aria burbera si nascondeva il migliore degli uomini.
All’inizio avevamo trovato subito intesa e complicità nell’affrontare le sibilline richieste di Carla. Andavamo perfettamente d’accordo, ma non è questo il punto. Il punto è che Toni mi ha insegnato un sacco di cose.
In galleria ho scoperto le meraviglie dell’arte concettuale, gli aspetti meno noti dell’avanguardia tedesca, i linguaggi delle artiste e degli artisti più nuovi. Toni aveva sempre diversi aneddoti tutti dettagliati, raccontati con tanta verve che era impossibile non prenderli sul serio. Bastava che fiutasse che io avessi curiosità verso qualcosa che, eccolo lì, mi aveva già fatto trovare sulla scrivania il catalogo.
Ma con Toni ho scoperto anche quanto è bella Milano girata in motorino, i bar, i ristorantini autentici, le vie, le gallerie e gli angoli più veri. Era una bussola, conosceva tutto e anche lì: se dovevo andare da qualche parte si affannava in preda alla preoccupazione a darmi indicazioni dettagliatissime – “Ma Toni, utilizzo Google maps!”, “Toni, prendo la metro!” – niente, alla fine eccomi partire con incongruo anticipo a piedi perché “è meglio che tagli di lì”, e così era.
Il rapporto con Toni era fatto di piccoli gesti quotidiani e accortezze. Anche questo ho imparato, con Toni: la vita è quella, si annida proprio lì, nelle piccole cose che rendono l’esistenza un posto rassicurante, nel caos di tutti i giorni. Allora c’era la rosa di stoffa sulla tastiera del mio pc, il cancello subito aperto se arrivavo in macchina e soprattutto il caffè della mattina, prima con Carla, poi noi due, con Nicola, momento sacro in cui si faceva la rassegna degli eventi del giorno precedente e si condividevano preoccupazioni e pettegolezzi mirabolanti che ovviamente non avevano mai nulla di mirabolante. Certo, se accadeva qualcosa di grosso il pomeriggio precedente ricevevo spesso la sua telefonata, ma poi le cose si analizzavano e rianalizzavano lì, con la tazzina del caffè in mano.
Come in tutti i rapporti quotidiani, avevo a che fare con le sue preferenze e malumori. Lo scanner: sì; la stampante: no; Windows su pc scassato: bene; Mac nuovo di zecca: è rotto. E così via. Ovviamente aveva le sue ragioni, ma le modalità erano peculiari. I litigi di Toni con Carla erano epici. “Carla, me ne vado!” e via di casco storto e sgommata in sella al Kymco, resa ancora più scomposta dalla ghiaia del parcheggio di via Turati. E successivamente: “Nicola, torno a zappare!”, tuonava con Nicola e noi poi ci chiedevamo: “ha mai zappato?”, e soprattutto: “cosa zappa?”.
Toni però tornava sempre, e noi lo sapevamo. Sempre. Non solo perché Toni amava la galleria, ma perché Toni era leale.
Se devo dire, infatti, la cosa più grande che Toni mi ha insegnato, quella cosa è l’amicizia nel senso più alto del termine. Solo un esempio tra i tanti che potrei fare.
Quando ero incinta al settimo mese ho preso il Covid ed era ancora il periodo iniziale in cui non esistevano vaccini, ma si faticavano a trovare anche mascherine e tamponi. Trovare un tampone era quasi impossibile, a dire il vero. Io non me ne rendevo conto, ma erano tutti preoccupati. Toni ne aveva uno e non ha esitato un secondo a portarmelo di sua spontanea volontà sotto casa. E poi, dopo quasi un mese, visto che dovevo ancora attendere il tampone dell’ATS, mi aveva accompagnata lui dai volontari in viale Pasubio, senza curarsi troppo del fatto che io fossi magari ancora positiva, contagiosa.
Toni mi ha insegnato questa amicizia qui, fatta non di parole e nemmeno di simpatia, ma di fatti concreti e molto tangibili. L’amicizia delle persone che diventano la tua famiglia da adulto e che ti rendono una persona adulta. L’amicizia che non chiede se hai bisogno, ma interviene sapendo che sei reticente a chiedere aiuto o a farti vedere vulnerabile.
Ecco allora che mi trovo a fare i conti con questo grande vuoto che lasci, Toni, con la tua assenza e con la mia rabbia perché non ha senso, eri troppo giovane, avevi un nuovo amore con Merete, una nuova casa; avevi la testa piena di sogni che condividevi con Nicola e con me: una nuova galleria alle porte di Milano, Chiaravalle e Romilli, far rinascere le Edizioni O, pensare all’ecologia. Sognavi in grande e cioè che ti prometto, qui, è che farò del mio meglio per raccontare questa storia, non sarà dimenticata ma sarà viva sempre in questo racconto.
L’altra promessa che ti faccio è che insegnerò a mia figlia Anita – di cui hai contribuito a scegliere insieme a me e Matteo il nome con una serie di “sgrunt” ben assestati – tutti i valori che mi hai trasmesso e che fanno parte della donna che sono oggi. Le insegnerò la generosità, l’integrità, ma anche l’incanto e la capacità di sognare, fino alla fine.
Ciao Toni
– Giulia Ronchi
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