L’arte concettuale è come la pubblicità?

In un libro acuto e provocatorio, Alexander Alberro sottolinea le somiglianze tra l'arte concettuale e le strategie della pubblicità e della comunicazione. Lanciando un dibattito: può l'arte impegnata sopravvivere alla società del disimpegno?

Come in un gioco di scatole cinesi, Arte concettuale e strategie pubblicitarie di Alexander Alberro è un libro che ne contiene altri. In prima istanza racconta la storia di Seth Siegelaub, gallerista pioniere dell’arte concettuale: la sua fede incrollabile in una nuova arte massimamente anticonvenzionale, la sua disponibilità nell’adattarsi ad essa, modificando strategie di presentazione, promozione e vendita. E infine il suo cambio di attività, da gallerista a figura ibrida tra agente, agitatore culturale e curatore indipendente al servizio degli artisti che aveva accolto in galleria.
Ma questo volume può essere letto anche come breve storia delle origini dell’arte concettuale e, soprattutto, come pamphlet teorico che propone una lettura davvero anticonvenzionale di quel tipo di arte. Una teoria volutamente forzata a scopo d’indagine, che paragona senza preconcetti il Concettuale ai metodi della pubblicità e della comunicazione. Evanescenza, trasmissibilità anche a distanza, leggerezza, virtualità del supporto avvicinerebbero l’arte di Barry, Weiner e compagni all’invasiva malleabilità della comunicazione della società di massa avanzata.

lippardwithrobertsmithson L'arte concettuale è come la pubblicità?

Concettuali al varco

Ora, un tale paragone, per quanto ardito, contiene verità innegabili. E ha il grande merito di porre interrogativi quanto mai attuali (in cui Alberro non si addentra, come per suscitare il dibattito in chi legge e dare il là a ulteriori analisi). Visto che gli scopi degli artisti concettuali sono diversi da quelli della pubblicità e del commercio: si tratta di mimesi a scopo critico della macchina del consumo (secondo la pratica inaugurata dalla Pop Art) oppure della conseguenza non prevista da parte di un’arte che si voleva progressista ma che ha finito per diventare complice del sistema? E ancora, più in generale: il Concettuale è stato sconfitto dalla storia, scivolando nell’eterogenesi dei fini e finendo rubricata tra le espressioni velleitarie, oppure è la storia, guidata dall’economia, ad aver inghiottito, normalizzandola, l’arte concettuale?
Quest’ultima ipotesi appare la più plausibile, viste le intenzioni chiaramente nobili e di rivoluzionario impegno politico degli artisti concettuali. In fondo, lo stesso problema si sta ponendo per tutte le neoavanguardie, e forse solo la Pop art sopravvive intatta, nonostante la sua indiscernibilità dal panorama onnicomprensivo della società dei consumi. Anche l’arte impegnata politicamente è davanti allo stesso bivio: la società del disimpegno e dell’apoliticità la rifiuta bollandola come noiosa e pessimista, ed essa cerca nuove strategie per mimetizzarsi senza perdere la propria forza (si veda a questo proposito l’ultima Biennale di Lione curata da Victoria Noorthoorn, l’esempio più avanzato finora di mimetizzazione dell’arte politicamente impegnata, in perfetto equilibrio tra contenuti politici e visionarietà sognante).

Installazione di Robert Barry nello spazio romano di Giacomo Guidi L'arte concettuale è come la pubblicità?

Installazione di Robert Barry nello spazio romano di Giacomo Guidi

Per la capacità di suscitare tutte queste questioni e per la puntualità e acutezza dell’analisi, quello di Alberro è un libro da non mancare. Intendendolo come il primo spunto di un dibattito essenziale.

Stefano Castelli

Alexander Alberro – Arte concettuale e strategie pubblicitarie
Johan & Levi, Milano 2011
Pagg. 208, € 22
ISBN 9788860100665
www.johanandlevi.com

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Stefano Castelli

Stefano Castelli

Stefano Castelli (nato a Milano nel 1979, dove vive e lavora) è critico d'arte, curatore indipendente e giornalista. Laureato in Scienze politiche con una tesi su Andy Warhol, adotta nei confronti dell'arte un approccio antiformalista che coniuga estetica ed etica.…

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