Un libro su Annina Nosei. Performer, curatrice e mitica gallerista che lanciò Basquiat 

L’amore per l’arte, gli inizi a Roma e poi a Parigi per approdare infine a New York e diventare una delle più importanti galleriste della Grande Mela. Seguendo il consiglio di Marcel Duchamp che fin dagli inizi aveva individuato il suo talento di “agente”

La storia Annina Nosei raccontata nel libro scritto da Roberto Lambarelli parte dagli anni Settanta fino ai primi Duemila e intreccia la vicenda di una delle figure più stimate del panorama americano con la storia dell’arte internazionale del secondo Novecento. Il volume raccoglie un’ampia conversazione con la stessa Nosei, numerosi suoi scritti e un’ampia documentazione che ricostruisce l’attività della Annina Nosei Gallery. 

Chi è Annina Nosei 

Il libro è un racconto fuori dalla contingenza che elude, per questo, tutto ciò che è funzionale e istantaneo perché risale il passato tra ricordi e considerazioni, testimonianze, riflessioni critiche e documentazioni, correggendo una prospettiva storica distorta dai miti. Per cominciare, Lambarelli si pone per prima cosa il problema di chiarire chi sia Annina Nosei, nata a Roma nel 1939, per poi affrontare il contesto che il suo operato di curatrice e gallerista ha generato. Sicuramente la vicenda biografica si intreccia ed alimenta quella critica e, alla luce di questo legame, irrora quella relazione con il mondo dell’arte contemporanea tra Roma e New York, che man mano nel libro si configura nella sua autenticità. Annina Nosei cresce, infatti, nella Roma delle neoavanguardie e si sposta a Parigi, poi New York, assaporando così, da una città all’altra, il passaggio del ruolo di capitale culturale del XX Secolo. Inizia il suo percorso imboccando la strada dell’Happening saltando sul carro del teatro sperimentale di Ken Dewey che la portò alla galleria dei Sonnabend e a spingerla ad attraversare l’Atlantico alla volta degli Stati Uniti dove cominciò l’insegnamento universitario. Già nella sua città natale era dentro il mondo dell’arte, frequentava Claudio Cintoli, Carmelo Bene e Franco Angeli, lavorava presso la galleria il Segno, fondata cinquant’anni fa dalla figlia di Alberto Savinio, Angelica. Nosei, in pratica, già si muoveva in un ambito dinamico e assistette all’affermazione dei neodada alla XXXII Biennale di Venezia. Sebbene si veda in questo episodio l’inizio di un sistema subordinato a quello americano, Lambarelli fa emergere che è proprio la figura della Nosei, a dimostrare la variabile di una equazione sin troppo scontata nel risultato.  

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La variabile Nosei 

La storia che ci racconta dimostra l’esistenza e la funzione della variabile Nosei. In una situazione dominata dalla Pop Art s’insinuano le alternative del minimalismo e delle soluzioni performative. L’amicizia con Carolee Schneemann, che spinse Annina a una più fresca partecipazione alle battaglie femministe, però non la chiusero in un ottuso fideismo ma, al contrario, la stimolò ad usare la versatilità espressiva di questa artista per indagare nuove vie creative. Il matrimonio con John Weber, durato pochi anni, la immetterà nel circuito delle gallerie di New York in cui entrerà come protagonista agli inizi degli anni Settanta diventando una influente gallerista attiva fino ad oggi; se questo, in estrema sintesi, basta a descrivere la vicenda di Annina Nosei, dobbiamo però considerare che la “Annina” di Roberto Lambarelli è un personaggio assai più complesso. Lambarelli non parla mai della maschera di un dramma, bensì del suo esatto contrario. L’autore non si appiattisce mai sulla sequenza dei fatti poiché si serve di uno stile in parte lenticolare e in parte estensivo per trattare la complessità della sua dimensione ideologica e tattica. Il critico romano, senza fermarsi alla semplice descrizione dei processi e delle situazioni, cerca di chiarire i modelli cui questi processi e queste situazioni fanno capo guardandoci attraverso. Lambarelli sembra sempre evitare, infatti, lo statuto ontologico delle categorie poiché cerca di favorire l’ottica di Annina Nosei per inserirla nella qualità del racconto. Solo questo basterebbe a giustificare i bruschi arretramenti che, come sospensioni inconsce, mostrano un carico esistenziale che sfaccetta i fatti. Così, ciò che pare il culmine del libro ossia la scoperta e il lancio di Jean-Michael Basquiat, non è che un modo per avviare una decostruzione del meccanismo mitopoietico dell’arte contemporanea. Lambarelli passeggia attraverso cinque decenni tra due secoli insieme ad Annina Nosei, con lei si ferma e riprende il passo perché rispetta il tempo “qualitativo” della narrazione. Ecco allora che il libro appare diviso in momenti il cui sfondo cambia al procedere di questo cammino e al suono dei passi vediamo il virtuosismo ideologico picassiano cedere all’enigma duchampiano che, a sua volta, da pratica soggettiva si trasforma in dettame imprescindibile. Sullo sfondo si staglia la Roma della trattoria dei Menghi, dell’Art Club, della storica mostra di Jackson Pollock alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna, nel 1958. Nosei, che discusse con Giulio Carlo Argan la tesi di laurea su Marcel Duchamp, si accorse quasi subito della migrazione del suo astruso simbolismo verso la didattica e registrò precocemente non solo questo movimento di idee ma anche ciò che esso andava generando, cioè la dissociazione dell’arte americana dal modello europeo. Lambarelli, senza eccedere nella marcatura, sottolinea il passaggio di Nosei dalla partecipazione attiva nell’arte alla ricognizione dei linguaggi delle neoavanguardie che le fa scorgere una possibile via di fuga dall’impasse della “morte dell’arte”.   

Arte e ’68 secondo Annina Nosei 

Sulla rivista Metro, Lambarelli scova l’importante inchiesta condotta da Annina Nosei insieme ad Otto Hahn sull’arte in relazione alle contestazioni del 68’ in cui si evince la sostanziale alienazione dell’artista americano dal contesto sociale, poiché costui considera l’arte come ciò che può affermare solo la propria individuale esistenza dal momento che, per questo artista, ogni altra realtà si risolve all’ interno dell’opera. Nosei, che non abbandona mai il suo legame con l’Europa e con l’Italia, con Roma in particolare, registra, infatti, queste divergenze e le trasforma in singolari connessioni tra due mondi e due modi. Il matrimonio con John Weber, che Lambarelli riassume nella mostra De Europa nel 1972, celebrò proprio queste connessioni. La gallerista in quegli anni conosce dall’interno il sistema dell’arte ed elabora una sua linea curatoriale. Nel libro ricorda questa attività a cominciare da Painting, titolo di una mostra che Annina Nosei organizzò per riflettere sulla pratica pittorica la cui centralità parve riconquistata dopo una pregiudiziale abiura come, ad esempio, la condanna unanime alla scelta di esporre la pittura iperrealista a Kassel nel 1972. La mostra, però, offrì curiosamente una singolare alternativa alla rigenerazione della pittura, in un’ottica lontana dalla tautologia fotografica. Poi, con la mostra Memory del 77’, Nosei usò il cinquecentesco “L’idea di Teatro” di Giulio Delminio Camillo come modello da proporre agli artisti per riflettere sulla funzione dell’archivio e della memoria; ma sarà Discussion, mostra tenutasi all’Università di New York nel maggio del 1977, a determinare l’affermazione di una pratica, tipica di quel decennio, del confronto ideologico diretto, performativo, istruttorio e, al tempo stesso, gnomico. Lambarelli, però, colloca negli anni Ottanta l’attività più sagace di Annina come se fosse il risultato risolutivo di un percorso lungo due decenni. Annina da gallerista scova le tendenze dell’arte cavalcando con successo la New York New Wave.  Quest’onda, montata nella mondanità nel melting pot metropolitano, è già visibile alla fine del decennio precedente, e trasporta quell’effervescenza culturale che risolve un decennio di crisi.  

La galleria di Annina Nosei 

Quando Annina Nosei apre la sua galleria siamo, infatti, in un periodo di forte movimento economico e di ristrutturazione delle produzioni americane. Il mutamento avviene soprattutto nel passaggio dai settori tradizionali a quelli nuovi dell’elettronica, della computeristica e della biotecnologia in un quadro di generale deregulation e di riduzione del carico fiscale per favorire e promuovere gli investimenti. La galleria al numero 100 di Prince Street è un successo, ha una programmazione che riprende la connessione tra le due sponde dell’Atlantico e con Roma, ma con una particolare attenzione alle espressioni delle minoranze. Con questo termine però non si deve pensare che la gallerista si interessasse allora a una superficiale ricerca di stravaganze esotiche pescate nella street culture quanto invece si impegnasse a trovare una fragranza rigenerativa che emergeva da una solida cultura figurativa. Questa ricerca porta a Jean – Michel Basquiat. L’artista di origine haitiana, non solo è in possesso di quella solida cultura figurativa, ma è anche pronto ad avviare un rapporto costruttivo con Annina che, da parte sua, incoraggia, stimola e ospita l’artista in quello spazio che diventerà il suo studio. Il libro di Roberto Lambarelli ha come punto centrale proprio questa vicenda di cui sfata il mito ricorrendo alla testimonianza diretta della Nosei. Lambarelli ridimensiona la figura di Basquiat, riposizionando ciò che era già allora in balìa della finzione accattivante, in altre parole, riporta l’artista a un contesto di coerente temperie artistica, in cui la sua pittura risponde all’esigenza di un rinnovamento degli orizzonti di ricerca. Non più, quindi, l’accettazione passiva di una versione Bohemien quanto piuttosto l’analisi critica di cui Annina non solo è perno centrale ma, soprattutto, coordinatrice essenziale. Questa linea di ricerca della galleria Nosei, di cui Basquiat è un primo risultato, è maturata con coerenza anche quando la sua sede si sposta sulla ventiduesima strada al 530 West cioè quando la Nosei comincia ad esporre gli artisti “della diaspora” come Chéri Samba, Shirin Neshat o Ghada Amer realizzando a pieno il consiglio datole da Marcel Duchamp nel 1963 a Roma: “Tu ti devi trasformare in un agente”. 

Marcello Carriero 

Roberto Lambarelli, Annina Nosei 
Arte e Critica, 2024 
pag. 288, € 45,00 
ISBN 9788890472206  

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Marcello Carriero

Marcello Carriero

Marcello Carriero (1965) si occupa di critica e storia dell’arte dal 1994. Ha scritto sulla cultura visiva contemporanea sulle riviste Arte e Critica, Arte, Exibart, e ha pubblicato l’unica monografia completa sul futurista Volt (Ed. Settecittà, Viterbo 2007). Attualmente docente…

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