Che cos’è il cyberfemminismo? Intervista a Mindy Seu

“Cyberfeminism Index” è il libro che raccoglie oltre trent’anni di pratiche artistiche e ricerche teoriche cyberfemministe. Abbiamo intervistato Mindy Seu, curatrice della pubblicazione, per fare il punto sulla sua pratica, sul cyberfemminismo e sulla tecnologia

Mindy Seu (California, 1991) è una designer e ricercatrice americana che vive e lavora a New York. Laureata in design a Harvard, la sua pratica multidisciplinare abbraccia progetti di archivi, scrittura critica, letture performative e progettazione. Ha tenuto conferenze a livello internazionale, tra le tante, presso istituzioni culturali (Barbican Centre, New Museum), accademiche (Columbia University, Central Saint Martins) e piattaforme mainstream (Pornhub, SSENSE, Google). Attualmente insegna presso la Mason Gross School of the Arts e la Yale School of Art. Il suo ultimo libro, Cyberfeminism Index, sta riscuotendo un successo internazionale, ponendosi come una delle operazioni di ricerca e curatela editoriale più interessanti degli ultimi anni.

Cyberfeminism Index. Photo Inventory Press

Cyberfeminism Index. Photo Inventory Press

INTERVISTA A MINDY SEU

Cyberfeminism Index è un’opera d’arte a tutti gli effetti. È un progetto che coinvolge ricerca teorica, curatela editoriale, design e un modo di accostarsi all’oggetto-libro e alla restituzione di un movimento polimorfo propriamente artistico. Ci parli del tuo lavoro, sia a livello metodologico sia concettuale?
Quando abbiamo chiesto a Lucy Lippard un trafiletto per Cyberfeminism Index, lei ha scritto che questo libro potrebbe essere considerato un’opera d’arte concettuale e mi sono sentita molto onorata. Il libro-come-oggetto, i contenuti, la cura: per me tutto questo è una forma d’arte basata sulla ricerca.
Questo è anche un riflesso della mia pratica medio-agnostica: non solo lavoro su commissioni di design, ma insegno, creo lecture-performance, curo e scrivo… sempre in collaborazione. Mi sono stancata di keynote e PowerPoint, quindi ho iniziato a pensare a metodi di presentazione alternativi, dalle lezioni basate su browser (ispirate dall’artista Emma Rae Bruml) sulla storia di Internet e il metaverso, a quelle che utilizzano il libro come interfaccia in Realtà Aumentata, realizzata dall’artista Tommy Martinez. È un modo per dimostrare il potenziale dei nuovi media mentre si discute di questi. E adoro i cicli di feedback. Tutti questi discorsi servono da foraggio per i saggi, come The Metaverse is a Contested Territory per Pioneer Works, The Internet Exists on Planet Earth per Sourcetype e Poetry of Tools per Are.na. Le lezioni sono un modo per mettere in pratica pubblicamente queste idee e sono molto aperta riguardo al processo e al lavoro in divenire. I miei progetti curatoriali riguardano l’antropocene e le slimy interfaces, come lo Scalability Project con Roxana Fabius e Patricia M. Hernandez per A.I.R. Gallery e Wetware per Feral File.

Il cyberfemminismo, nella sua moltitudine di sfaccettature, pone una critica tentacolare che ripensa il corpo, il genere, la politica e complessivamente il sistema in cui viviamo. In quale modo e perché il cyberfemminismo è un approccio fondamentale per comprendere criticamente le tecnologie odierne?
Negli ultimi tre decenni, la definizione di cyberfemminismo è mutata, intenzionalmente e spesso incoraggiata. Essa ha consentito la costante sovversione o il rifiuto della retorica tecno-evangelista (tecno-ottimista, N.d.R.). Sebbene il termine cyberfemminismo possa sembrare retrogrado – essendo emerso negli Anni Novanta –, in definitiva si tratta di un uso critico, o non uso intenzionale, della tecnologia, nonché di un’espansione della nostra comprensione di ciò che include tale “tecnologia”. Gli esseri umani sono codificati con una serie di norme poi incorporate negli strumenti che vengono creati. Comprendendo che tutti questi strumenti possono essere violati, il cyberfemminismo suggerisce come possiamo iniziare a plasmare l’emergere, ad esempio, di nuovi spazi online.

A differenza del femminismo mainstream – potrei riferirmi al caso italiano –, il cyberfemminismo non ha ancora una forma mainstream condivisa di femminismo, nonostante viviamo in un mondo totalmente tecnologico. Perché? Pensi che il cyberfemminismo sia più difficile da assorbire? Forse abbiamo bisogno di più coscienza critica sulla tecnologia per portare il cyberfemminismo in una dimensione più inclusiva, fuori dal discorso accademico e artistico? Sarebbe un’azione necessaria?
Il femminismo è costruito sulla collettività e sulla molteplicità. Per molti aspetti, questo significa che una forma singolare è impossibile. Nel femminismo della terza ondata, negli Stati Uniti, sono emerse discussioni sull’intersezionalità. Forse ci sarebbe da fare un discorso più ampio su questo, ma c’è ancora una gerarchia negli obiettivi dei movimenti femministi, che in genere dà la priorità al femminismo bianco. Questo è ancora il caso per una sottosezione come il cyberfemminismo. È emersa una coscienza critica nei confronti della tecnologia, anche se sembra intuitiva. Quando si parla con la Gen Z, c’è una disillusione riguardo al potere connettivo delle grandi piattaforme e una generale distopia riguardo a Internet in generale. Ciò dà origine allo sviluppo di nuovi spazi che tentano di contrastarli, dalle riunioni fisiche alle comunità online più piccole. La comprensione critica della tecnologia richiede un uso critico e competente di questi strumenti.

Mindy Seu. Photo Alexa Viscius, 2018

Mindy Seu. Photo Alexa Viscius, 2018

CYBERFEMMINISMO E TECNOLOGIA

Spesso, a livello complessivo, altre discipline che trattano propriamente il rapporto tra esseri umani e tecnologia evitano, limitano o escludono le teorie cyberfemministe dal loro dibattito. Per fare un esempio teorico di contrasto, penso ad esempio al glitch aperto da Fabrice Bourlez in Queer Psychoanalysis. Secondo te è necessario, importante o possibile, oggi, aprire nuove frontiere di dialogo, anche contrastanti, tra discipline che spesso non si incontrano?
Assolutamente sì. Questo discorso spesso si presenta sotto forma di pratica individuale di alcune persone che trovano attivamente una risonanza con più teorie e le fondono insieme. In generale, non c’è nulla di male nel saperne di più. La visibilità algoritmica ci isola, confermando pregiudizi e creando delle echo chambers. Osservando un sistema olistico, possiamo trovare intersezioni tra la maggior parte delle discipline.

Il cyberfemminismo porta innumerevoli esempi concreti di pratiche che hackerano e sovvertono strumenti tecnologici preconfezionati dal capitalismo, spesso mettendo in luce le possibilità e il potenziale della tecnologia quando non viene utilizzata come strumento di potere ricco di bias, controllo, disinformazione. Quali sono le ragioni, guardando il mondo attuale, per cui ritieni valga la pena una risposta di lotta (cyberfemminista) piuttosto che una forma di decelerazione disconnessa?
Questo risale alla mia definizione generalizzata di cyberfemminismo: l’uso critico, o il non uso intenzionale, della tecnologia. Che qualcuno sia un early adopter attivo, uno sviluppatore di nuovi strumenti o un decelerazionista, tutto ciò può essere fatto con una comprensione critica della tecnologia e dei suoi impatti. Detto questo, c’è la precedenza per la decelerazione, come il Boycott Divestment and Sanctions movement (BDS). Mentre alcune cyberfemministe potrebbero scegliere di lasciare il campo, come dici tu, alcune implementano una pratica di costruzione lenta e dal basso. Questi approcci possono funzionare in tandem, ma tutto inizia prima con un cambiamento nella coscienza collettiva.

Christian Nirvana Damato

Mindy Seu – Cyberfeminism Index
Inventory Press, Los Angeles 2022
Pagg. 608, $ 34,95
ISBN 9781941753514
http://www.inventorypress.com

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Christian Nirvana Damato

Christian Nirvana Damato

Christian Nirvana Damato (1994) è un artista, curatore e ricercatore indipendente che si occupa di filosofia, tecnologia e cultura visuale. La sua ricerca riflette su come i media e le tecnologie trasformano la nostra esperienza della socialità, della sessualità, del…

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