36 anni di Premio Pieve, dedicato ai diari. Intervista a Natalia Cangi

Si tratta del Premio Pieve, giunto alla trentaseiesima edizione: a Pieve Santo Stefano, una piccola località in provincia di Arezzo, una grande tre giorni dedicata al diario ricca di incontri, spettacoli teatrali, presentazioni.

L’Italia è disseminata di piccoli musei, festival, associazioni, reti di spettatori: tutte realtà che portano avanti la propria azione culturale lontano dai grandi centri, in contesti e condizioni in apparenza impensabili, magari perché difficilmente raggiungibili e isolati o per la carenza di pubblico e operatori. Lo stiamo riscoprendo in un momento in cui – anche a causa del virus, che ha in parte inibito gli spostamenti da una nazione all’altra – le attenzioni sono rivolte alle iniziative che, non solo recentemente, si sono sviluppate proprio nei borghi italiani. Tra questi c’è senz’altro Pieve Santo Stefano, comune in provincia di Arezzo, in Toscana, ma situato in una specie di crocevia tra più regioni, visto che sia l’Emilia-Romagna che l’Umbria e le Marche sono davvero a un passo. È in questo paese appenninico di tremila abitanti che, nel 1984, è stato istituito l’Archivio Diaristico Nazionale, per volontà di Saverio Tutino (scrittore e giornalista per testate come “l’Unità” e “La Repubblica”, scomparso nel 2011). Una personalità di livello nazionale che ha deciso di far germogliare in provincia la propria passione ossessiva per i diari, per quelle vicende minime dalle quali si può tentare di leggere un più ampio contesto storico e civile: da questo felice incontro è nato il Premio Pieve, che nel 2020 arriva alla sua trentaseiesima edizione e che da sette anni può contare anche sulla presenza del Piccolo museo del diario. Natalia Cangi è la direttrice della Fondazione che fa capo al Premio; mentre si svolge la manifestazione, in programma fino al 20 settembre, le abbiamo rivolto alcune domande.

Il sottotitolo di quest’edizione è Come pagine bianche: forse la pagina bianca da scrivere non è solo quella, proverbiale, del diario, ma anche quella del tempo che stiamo attraversando.
Sì, l’edizione di quest’anno non poteva prescindere dal momento attuale. E trovo che ci sia una forte corrispondenza tra l’intimità del diario e l’esperienza, anch’essa intima e appartata, del periodo di lockdownche abbiamo affrontato. Durante quei mesi abbiamo iniziato a pubblicare sulla pagina Facebook dell’Archivio degli estratti da alcuni degli oltre 9.000 diari, lettere e documenti che conserviamo: ne è nato “Italiani in quarantena – diari dall’isolamento”, storie di altre quarantene e isolamenti, dall’epidemia di colera dell’Ottocento a quella della spagnola di inizio Novecento, fino ai racconti dal carcere durante il regime fascista. Ci siamo resi conto che proprio nella fase di “clausura” le persone hanno espresso un forte bisogno di condividere lo smarrimento provato: e ritrovarsi a leggere le storie di chi, prima di noi, ha raccontato la propria quarantena, è stato un piccolo incoraggiamento per affrontare un momento così duro.

Ma veniamo al Premio. Com’è stato organizzarlo in una situazione così complicata?
A un certo punto non eravamo nemmeno così sicuri del fatto che quest’edizione avrebbe visto la luce. Poi ci siamo resi conto che sarebbe stato possibile organizzare un’edizione “in presenza”, nel rispetto di tutte le disposizioni e offrendo al pubblico anche la possibilità di assistere alle diverse iniziative a distanza, attraverso dirette via web.

Visto che abbiamo appena citato Antonio Ligabue, qual è il rapporto tra l’Archivio e le arti visive? Qualche anno fa ho avuto l’occasione di visitare il Piccolo museo del diario, dov’è conservato il commovente lenzuolo di Clelia Marchi, che quest’ultima ha utilizzato come “taccuino” per raccontare settant’anni di ricordi: un oggetto carico di forza espressiva che non avrebbe sfigurato ne Il Palazzo Enciclopedico, Biennale curata da Massimiliano Gioni nel 2013. Ma l’Archivio conserva anche dei diari con una forte impronta visiva, o scritti da artisti…
Sì, il lenzuolo di Clelia è sicuramente uno dei pezzi forti della nostra raccolta. Alla morte del marito, questa donna di Poggio Rusco, paesino in provincia di Mantova, ha deciso di scrivere il “romanzo” della propria vita sul lenzuolo condiviso per anni con l’uomo che aveva tanto amato: si tratta di un documento struggente, che manifesta un’urgenza fuori dal comune… Non a caso è esposto come una vera e propria opera, con le sue 184 righe fitte di memorie. Qualche anno fa la Fondazione Trussardi lo chiese in prestito per una mostra, poi non se ne fece niente per questioni di conservazione del lenzuolo stesso.

Clelia Marchi davanti al lenzuolo nel 1992. Foto Livi

Clelia Marchi davanti al lenzuolo nel 1992. Foto Livi

Ci sono anche altri documenti straordinari…
Sì, il carteggio di fine Ottocento della Contessa Emilia con il proprio amante, con lettere scritte seguendo un inconsueto andamento delle parole prima verticale e poi orizzontale; o le memorie di Vincenzo Rabito, fogli scritti a macchina con la magnifica e imprevedibile dirompenza di un semi-analfabeta che aveva conseguito la licenza elementare a 35 anni. E poi, come ricordavi, anche diari scritti da artisti, tra cui quelli di Valente Assenza (grondante disegni e appunti visivi sparsi) e di Paolo Schiavocampo (finalista proprio in quest’edizione del Premio).

Per chiudere: cosa significa portare avanti un’attività come quella dell’Archivio in un piccolo centro come Pieve Santo Stefano? E che prospettive ha il diario in un contesto sempre più condizionato dai social network?
Attorno all’Archivio si è creata una comunità ormai diffusa a livello nazionale che, seguendo la via tracciata da Saverio Tutino, si è stretta attorno all’interesse scientifico e alla passione per il diario, gli epistolari e le memorie autobiografiche. Riceviamo visite da ogni parte d’Italia (circa 6.000 persone all’anno) e grande attenzione dai media: appassionati e curiosi ci vedono come un punto di riferimento e, in occasione delle varie edizioni del Premio, tornano spesso a trovarci, con ricadute positive per l’intera comunità.

Premio Pieve Saverio Tutino 2019

Premio Pieve Saverio Tutino 2019
Foto di Samuel Webster

Pieve Santo Stefano è ormai riconosciuta come la “Città del diario”…  
In effetti, i 9.000 documenti raccolti in oltre trent’anni hanno superato di gran lunga il numero degli abitanti, che sono 3.000. Forse, realizzare tutto ciò in una terra geograficamente ai margini, ha permesso all’Archivio di crescere in un ambiente protetto. Per quanto riguarda il confronto con i social network, sono convinta che la scrittura privata di un diario sia molto diversa dalla dimensione pubblica di un post su Facebook, per dire. I tantissimi testi che continuiamo a raccogliere dimostrano che, ancora oggi, scrivere è un’attività necessaria, soprattutto per affrontare ed elaborare momenti complessi come quello che stiamo vivendo.

-Saverio Verini

Premio Pieve Saverio Tutino 2020. Come pagine bianche
Fino al 20 settembre 2020
Pieve Santo Stefano – Toscana
Varie sedi
http://archiviodiari.org

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Saverio Verini

Saverio Verini

Saverio Verini (1985) è curatore di progetti espositivi, festival, cicli di incontri legati all’arte e alla cultura contemporanea. Ha all’attivo collaborazioni con istituzioni quali Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci, MACRO, Accademia di Francia…

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