Boom culturale della penisola araba. L’Italia non se ne accorge

I Paesi arabi stanno nettamente puntando sullo sviluppo di progetti artistici e culturali, orientando di conseguenza anche le loro strategie economiche. E l’Italia cosa fa?

Gli equilibri del mondo stanno cambiando in maniera veloce e definitiva. È un cambiamento che l’attuale generazione di esseri umani sta vivendo in prima persona, già da decenni e per i decenni a seguire. I baricentri si spostano. Si spostano quelli del potere, quelli dell’economia, quelli della politica. Si spostano anche i baricentri della cultura e dell’arte. I poli di irradiamento del resto sono sempre cambiati: un tempo la Grecia, poi Roma, Firenze, Vienna, Parigi, Londra, New York, perfino Los Angeles. Chi oggi ha tra i 35 e i 45 anni ha visto coi propri occhi la nascita (e il declino?) del fenomeno culturale cinese, praticamente dal nulla. Evoluzioni che richiedevano secoli ora germinano e talvolta si consumano nel giro di decenni.

“Evoluzioni che richiedevano secoli ora germinano e talvolta si consumano nel giro di decenni

Dopo il decennio cinese, il prossimo decennio – gli Anni Trenta – potrebbe essere quello dell’India. Questo decennio che stiamo vivendo invece – gli Anni Venti – sembra configurarsi come un periodo caratterizzato da un significativo attivismo mediorientale: i Paesi arabi hanno capito che le risorse fossili sulle quali hanno basato il loro benessere potrebbero esaurirsi o comunque potrebbero essere sempre meno richieste dai consueti clienti, oggi più attenti alla sostenibilità ambientale. Con una buona dose di lucidità, i governi – spesso tutt’altro che democratici – di Kuwait, Arabia o Emirati hanno capito che dovevano differenziare e cambiare la loro economia. Tra le altre strade intraprese c’è stata quella della cultura, dei musei, degli investimenti artistici, degli acquisti di opere d’arte, della scommessa sull’architettura contemporanea.

Gli highlight museali nella Penisola Arabica © Artribune Magazine

Gli highlight museali nella Penisola Arabica © Artribune Magazine

ARTE E CULTURA NEI PAESI ARABI

Mi è capitato di analizzare di recente come si stanno determinando questi sommovimenti e in virtù di quali accordi i Paesi arabi stanno imparando, incorporando modalità e contenuti, crescendo in termini di competenze. Un esempio? Il Louvre apre nel Golfo, il Pompidou pianifica sedi nei deserti dell’Arabia Saudita. Non è un caso. È una scelta diplomatica ed economica precisa, che l’amministrazione francese (nella figura proprio del Presidente della Repubblica mediante apposite agenzie governative) adotta come una strategia: avanzare su territori in grande sviluppo e dotati di ingenti disponibilità economiche con le proprie imprese e con i propri “brand” culturali di pari passo. Così da non perdere treni che non passano di frequente.

“Quando in Arabia ho chiesto ragguagli su cosa stesse facendo l’Italia, come Paese, ho ricevuto risposte inequivocabili: non si sta giocando questa partita

Quando in Arabia ho chiesto ragguagli su cosa stesse facendo l’Italia, come Paese, ho ricevuto risposte inequivocabili: non si sta giocando questa partita. Non esiste. Esistono delle aziende italiane, delle eccellenze anche culturali (ah, la retorica delle eccellenze…) che sono a tal punto eccellenti da vincere da sole pur senza un sistema Paese alle spalle. Non c’è una pianificazione, non c’è una visione e non sembra importare granché l’opportunità di agganciare in un modo o nell’altro i nostri grandi poli culturali a contesti che hanno a disposizione denaro e hanno bisogno di contenuto (laddove noi abbiamo tantissimo contenuto e pochissimo denaro). Eppure di nomi credibili e spendibili su uno scacchiere internazionale ce ne sarebbero: dal MAXXI agli Uffizi, da Brera alla Triennale. Sembrano però tutti impegnati a sviluppi per linee interne: gli Uffizi intenti ad aprire altre sedi in Toscana, il MAXXI a espandersi in Abruzzo e a breve a Messina
Se fosse una scelta, sarebbe anche rispettabile. Ma non sembra esserlo: una attività intensa, diplomatica, strutturata di collaborazione con grandi potenze in via di sviluppo non viene esclusa per motivi politici o ideologici o strategici. Semplicemente non è considerata, non è valutata e soppesata per l’importanza che ha. Ma starsene ai margini – per decisione lucida o per sciatteria e innata propensione al declino – non è mai qualcosa privo di conseguenze, specie per un Paese che si definisce superpotenza culturale.

Massimiliano Tonelli

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #71

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Massimiliano Tonelli

Massimiliano Tonelli

È laureato in Scienze della Comunicazione all’Università di Siena. Dal 1999 al 2011 è stato direttore della piattaforma editoriale cartacea e web Exibart. Direttore editoriale del Gambero Rosso dal 2012 al 2021. Ha moderato e preso parte come relatore a…

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