Un secolo di figurazione nera al MOCAA di Cape Town

Una grande rassegna allestita nel museo sudafricano racconta un secolo di pittura realizzata da artisti africani e della diaspora. A finanziare il progetto, il brand Gucci. Il risultato è una mostra molto educata. Forse troppo

Cape Town è rappresentativa di un Paese come il Sudafrica quanto Porto Cervo lo è per l’Italia o St. Tropez per l’Unione Europea. Tuttavia il suo Zeitz Museum of Contemporary Art Africa (MOCAA) è un’istituzione possente, il risultato della ristrutturazione che ha convertito un complesso di silos per cereali alto 33 metri (risalente al 1921) senza snaturarne l’architettura. Dalla sua apertura nel 2017 resta il più grande museo di arte contemporanea dell’intero continente. Il MOCAA, particolare non indifferente, è perfettamente integrato nel Victoria & Alfred Waterfront della città, un’area commerciale e ricettiva che riceve ogni anno oltre 24 milioni di visitatori locali e internazionali.
Al terzo dei suoi nove piani il museo ora ospita When We See Us: A Century of Black Figuration in Painting, mostra che ha l’ambizione di “esplorare l’autorappresentazione nera e celebrare le soggettività nere globali e la coscienza nera da prospettive panafricane”. Questo almeno è quanto si legge nell’introduzione a una collettiva che presenta più di 200 opere provenienti da 74 tra istituzioni pubbliche o private situate 26 Paesi.

Cornelius Annor, The conversation, 2020, acrilico e tessuto su tela

Cornelius Annor, The conversation, 2020, acrilico e tessuto su tela

IL CONCEPT DELLA MOSTRA A CAPE TOWN

L’attenzione per la pittura figurativa nera è divenuta nell’ultimo decennio sempre più intensa, trainata da due magneti come Londra e New York, e la mostra al MOCAA si inserisce senza dubbio in questa dinamica sostenuta (anche) da potenti interessi verso un nuovo possibile grande mercato.
Il curatore della rassegna, Koyo Kouoh, dichiara di aver voluto “mettere in luce le relazioni tra artisti e opere d’arte in contesti geografici, generazionali paralleli” e di averlo fatto in dialogo con i principali pensatori, scrittori e poeti neri contemporanei. “Con un focus sulla pittura, la mostra celebra il modo in cui gli artisti africani e della diaspora hanno immaginato, posizionato, commemorato e affermato le esperienze africane e di discendenza africana. Contribuisce al discorso critico sulla liberazione africana e nera, sui movimenti intellettuali e filosofici”.

Mickalene Thomas, Never change lovers the middle of the night, 2006, tecnica mista

Mickalene Thomas, Never change lovers the middle of the night, 2006, tecnica mista

IL GLAMOUR NELLA PITTURA FIGURATIVA NERA

When We See Us è organizzata attorno a sei temi: The Everyday, Joy and Reverly, Repose, Sensualità, Spiritualità e infine Trionfo ed emancipazione.
Si osservano nella prima sezione tra l’altro The Night Letter, un olio su tela del 1938 dell’americano Eldzier Cortor (1916-2015) e Green Earflip Cap, un acrilico del 2020 del ghanese Kwesi Botchway (1994), dove un sorridente giovane nero appare in tenuta street style chic. Già nella seconda sezione, composta da 25 opere, ogni accenno all’Africa rurale è quasi del tutto scomparso: che si tratti di mixed media come Anthem (2015) dell’americano Barkley L. Hendricks (1945) o dell’olio su tela The Bridge Party (1938) di Charles White (Chicago, 1918-1979), che si tratti di interni o esterni, l’ambiente è comunque urbano.
Ma è nella terza sezione, Repose, che un inaspettato glamour si dispiega: che si tratti del ritratto di un rapper come accade per Ying and Yang (2020) di Anjel (Camerun, 1993), dove il backdrop è costituito da un tappeto di loghi di moda, o dell’acrilico The Reclining Women (2020) di Zandila Shabalala (Sudafrica, 1999). Lo stesso tipo di glamour appare nei lavori di Marc Padeu (Camerun, 1990), Zèh Palito (Brasile, 1991), Zemba Luzamba (Congo, 1993) o Kehinde Wiley (California, 1977). Si tratta di opere così attinenti all’immaginario fashion che qualche interrogativo sorge spontaneo. Ancora nella sezione Repose incontriamo ad esempio un ritratto come John Menssah (2020) di Kehinde Wiley (Californa, 1977) dove, oltre al logo Puma, il florilegio che invade le superficie appare straordinariamente simile a certe stampe viste sfilare di recente sulle passerelle di Milano o Parigi.
Che il fashion sia un fenomeno capace di assorbire stimoli visivi di qualsiasi provenienza è noto, ma qui il gioco di specchi è davvero fittissimo. Il potente uomo nero di A mes yeux (2022), realizzato con tecnica mista da Elladj Lincy Deloumeaux (Guadalupa, 1995), è un’immagine che appare a tutti gli effetti perfetta per la sezioni cultura di The Advocate e Têtu.

Kwesi Botchway, Green earflip cap, 2020, acrilico su tela

Kwesi Botchway, Green earflip cap, 2020, acrilico su tela

UNA MOSTRA “EDUCATA” FINANZIATA DA GUCCI

Questa collettiva ha senza dubbio parecchi meriti. Molte delle opere presenti vengono accostate qui per la prima volta. Ma soprattutto è un imponente censimento dei lavori realizzati nell’arco di un secolo da 156 artisti neri provenienti da 3 continenti, per il 77% uomini. Quel che lascia perplessi è piuttosto la sua “pulizia”. Davvero una pur ampia collettiva come questa è rappresentativa dell’universo figurativo nero? Percorrendo queste sale del MOCAA la sensazione di essere davanti a qualcosa di molto – forse troppo – polite non ti abbandona mai, per di più in un contesto come quello sudafricano che del polite sta provando a fare la sua bandiera.
Il catalogo è un altro indicatore: ricco di oltre 300 pagine, include, oltre a un saggio contestuale del co-curatore della mostra Tandazani Dhlakama, quattro testi appositamente commissionati a scrittrici Ken Bugul (Senegal), Maaza Mengiste (Etiopia), Robin Coste Lewis (Stati Uniti) e Bill Kouelany (Repubblica del Congo). L’intera mostra e il suo catalogo hanno poi un unico generoso sponsor, un nome perfettamente noto agli europei: Gucci.

Aldo Premoli

Cape Town // fino al 3 settembre 2023
When We See Us: A Century of Black Figuration in Painting
ZEITZ MOCAA
V&A Waterfront, Silo District, S Arm Rd, Waterfront
https://zeitzmocaa.museum

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Aldo Premoli

Aldo Premoli

Milanese di nascita, dopo un lungo periodo trascorso in Sicilia ora risiede a Cernobbio. Lunghi periodi li trascorre a New York, dove lavorano i suoi figli. Tra il 1989 e il 2000 dirige “L’Uomo Vogue”. Nel 2001 fonda Apstudio e…

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