Il 25 marzo 2022 l’Ateneo Veneto ha ospitato una nuova conferenza sulla tematica della restituzione delle opere d’arte espropriate da nazisti e fascisti durante la Seconda Guerra Mondiale. L’oggetto della conferenza può sembrare anacronistico a una lettura superficiale. Un po’ come discutere nell’era delle e-mail e delle videoconferenze “dell’annoso problema dei ritardi delle regie poste”. Un flashback. E invece il tema è tutt’altro che fuori tempo.
Perché parlare oggi di eventi accaduti tra il 1930 e il 1945? Com’è possibile che ci possano essere ancora effetti attuali delle terribili persecuzioni, requisizioni ed espropriazioni operate da nazisti e fascisti in Italia ed Europa? Il tema è attualissimo e fa parte di un movimento che ha radici recenti (la conferenza di Washington del 1998 sulle opere sottratte dai nazisti nella Seconda Guerra Mondiale). La modernità – attraverso la digitalizzazione e la messa in rete di banche dati sempre più dettagliate e sofisticate – sta progressivamente e molto velocemente portando alla luce situazioni in cui gallerie e musei, così come collezionisti privati, diventano consapevoli che nelle loro collezioni sono incluse opere la cui provenienza è probabilmente, o addirittura certamente, attribuibile a requisizioni nazifasciste.
“Chiunque oggi affronti l’acquisto di opere passate di mano tra il 1930 e il 1950 vorrà senz’altro avere da parte del venditore dichiarazioni e garanzie soddisfacenti circa la legittima provenienza dell’opera”
L’argomento attualissimo è, dunque, quello che interseca tanti piani e profili confliggenti, spesso inconciliabilmente. Gli interessi contrapposti. Da una parte quello degli eredi dei proprietari barbaramente e illegittimamente espropriati di un loro bene, solitamente degno di attenzione per valore o per qualità artistiche. Dall’altra quello degli attuali proprietari che, magari del tutto inconsapevolmente, hanno acquisito o, a loro volta, ereditato l’opera che si accerta essere frutto delle razzie nazifasciste. Il diritto degli attuali proprietari alla tutela della proprietà di un bene acquisito in buona fede contro il diritto di coloro i quali hanno subìto soprusi e violazioni tanti decenni fa. Un confronto nel tempo e nello spazio. In moltissimi casi, in Paesi regolati dal diritto civile, come Italia, Francia e Germania, la prescrizione (cioè il termine temporale per attivare un’azione a difesa di un diritto) fa prevalere le ragioni degli attuali proprietari contro quelle degli eredi degli espropriati. In altri casi e in altri sistemi di diritto – non ultimo quello statunitense, che ancora rappresenta il più grande dei mercati per le opere d’arte – le azioni a difesa di diritti degli eredi di chi ha subìto persecuzioni ed espropri nazifascisti sono ritenute imprescrittibili e quindi attivabili senza limiti di tempo.
Il piano del diritto e degli interessi non è l’unico e spesso nemmeno il prevalente nei casi di “emersione” di opere espropriate dai nazisti. I profili reputazionali e mediatici hanno un’importanza tanto maggiore quanto rilevante è l’opera e quanto è nota la collezione o il museo che la detiene. L’aspetto della valorizzazione (o meglio della possibile svalutazione) dell’opera e con essa della collezione in cui l’opera requisita dai nazisti si trova è altrettanto cruciale. Per la sensibilità moderna le opere trafugate dai nazisti, anche nel caso in cui l’acquirente sia protetto da impenetrabili barriere di un diritto che protegge il suo acquisto di buona fede, non potranno che subire una perdita di valore a causa del fatto che nessun operatore professionale degno di tale nome vorrà trattarla nell’ipotesi di una vendita o di un prestito museale. Cosa fare in questi casi, quali siano gli scenari possibili in tema di diritti azionabili di fronte a una corte di giustizia, quali siano le conseguenze reputazionali e quali gli strumenti per governare o provare a governare tali variabili è il focus su cui concentrare l’attenzione del collezionista o del direttore e responsabile della galleria o del museo che dovesse essere toccato da una tematica così delicata.
GUERRA E RAZZIA DI OPERE D’ARTE
Chiunque oggi affronti l’acquisto di opere passate di mano tra il 1930 e il 1950 vorrà senz’altro avere da parte del venditore dichiarazioni e garanzie soddisfacenti circa la legittima provenienza dell’opera. Ma anche il collezionista o il museo che non abbia a oggi già condotto una due diligence completa ed efficace sulla propria collezione sarà più propenso, alla luce delle considerazioni che precedono, a chiedere una ricerca su fonti aperte e banche dati per accertarsi che nella sua collezione non vi siano opere di provenienza dubbia. Una ricerca di tal genere oggi è sempre meno complessa e più accurata. Le banche dati sia gratuite sia a pagamento contengono tantissime segnalazioni di agevole consultazione. Il sistema di soft law, le convenzioni e gli accordi internazionali spingono gradualmente ma decisamente verso una composizione di equilibri tra diritti confliggenti. Per questo sempre di più gli operatori e i consulenti suggeriscono al collezionista, al museo e alla galleria d’arte soluzioni negoziate e trasparenti che trovino la soddisfazione di tutte le parti coinvolte.
Il tema delle opere rubate, razziate ed espropriate in tempo di guerra è stato sempre più sentito e conosciuto, negli scenari di guerra che si sono succeduti dopo la Seconda Guerra Mondiale e che hanno visto, ancora una volta, non solo il furto e la razzia del patrimonio artistico e culturale proprio dei teatri di guerra ma anche la distruzione degli stessi. Oggi si sta assistendo a un nuovo assurdo conflitto proprio alle porte dell’Europa e di nuovo ci si chiede anche quale sarà il destino di preziose testimonianze della cultura dell’arte e della tradizione dei Paesi oggetto della cieca violenza espressa nel contesto dello stesso.
– Luigi M. Macioce
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #65-66
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