Visioni fiamminghe. Da Pieter Bruegel il Vecchio a James Ensor

La visionarietà è uno degli elementi distintivi della tradizione pittorica fiamminga. Da Pieter Bruegel il Vecchio a James Ensor, un colpo d’occhio sugli artisti che hanno trasformato le Fiandre in un territorio creativo per eccellenza.

In bilico fra un tenace ancoraggio alla realtà e cavalcate quasi oniriche sul terreno dell’immaginazione più sfrenata, la creatività fiamminga riserva da sempre visioni destinate a imprimersi nella memoria collettiva. Basti pensare agli universi tratteggiati da Pieter Brueghel il Vecchio, capace di destreggiarsi fra disegni ispirati al mondo naturale e composizioni pittoriche al limite del simbolico. Una lezione appresa nei dettagli dai suoi discendenti, diretti e non, che ne duplicarono le caratteristiche – è il caso di Pieter Bruegel il Giovane – o che tentarono la via di una maggiore indipendenza, come fece l’altro figlio, Jan Bruegel, il quale scelse il campo della natura morta e del piccolo formato, pur rifacendosi alle atmosfere paterne dal punto di vista tematico.
Furono decine le copie dei dipinti di Pieter Bruegel il Vecchio che iniziarono a circolare dopo la sua morte, a riprova di uno stile che aveva messo radici nel panorama pittorico fiammingo, nonostante gli originali fossero, sin da allora, delle rarità, difficilmente alla portata di colleghi e grande pubblico.

DA BALTEN A TENIERS

Paragonato a Bosch da Giorgio Vasari, il “vecchio” Bruegel fece scuola, diventando addirittura un punto di riferimento per artisti ai quali aveva fatto da assistente. Lo dimostra il legame con Pieter Balten, affiancato da Bruegel nella realizzazione di una pala d’altare a Mechelen, ma che non esitò successivamente a divenire un seguace dell’artista, mutuandone le soluzioni visive.
Avanzando verso il Cinquecento inoltrato, la lezione di Bruegel, e in generale l’afflato visionario della pittura fiamminga, riecheggiano nella poetica di Joos de Momper – autore di una Torre di Babele che riporta alla memoria quella bruegeliana – e nella poetica di Sebastian Vrancx, cui si deve il recupero di uno dei soggetti più ironici e pungenti del repertorio di Bruegel, la rappresentazione dei proverbi.
Se si sconfina nel Seicento, è impossibile non menzionare David Teniers il Giovane, genero di Jan Bruegel, pittore di corte e membro di una dinastia artistica che raggiunge il Settecento. Autore soprattutto di scene di genere, il giovane Teniers non disdegnò soggetti mitologici e letterari, così come la raffigurazione delle raccolte d’arte appartenute ai nobili del tempo. Vita borghese e popolare animano le sue opere, lasciando intravvedere quella passione tutta fiamminga per simili tematiche e pure una eccellente padronanza nella resa di luci e colori, influenzata da un gigante come Pieter Paul Rubens. E chi meglio di quest’ultimo seppe traghettare la maniera fiamminga verso la contemporaneità?

Pieter Bruegel il Vecchio al Museo Mayer van den Bergh. Photo © Ans Brys

Pieter Bruegel il Vecchio al Museo Mayer van den Bergh. Photo © Ans Brys

RUBENS E STEVENS

Maggiormente aperto agli esiti pittorici promossi oltreconfine – ma convinto estimatore di Pieter Bruegel il Vecchio ‒ Rubens fece tesoro della tradizione fiamminga integrandola alle suggestioni del Rinascimento italiano e a un approccio coloristico e luminoso del tutto personale, fatto di pennellate leggiadre eppure incisive, fra trasparenza e sostanza. Se nel corso del Settecento il ricordo di Bruegel si fece meno vivido, inabissandosi nelle brume della Storia, durante il secolo successivo il suo esempio tornò a occupare un ruolo di primo piano nelle nuove generazioni di pittori fiamminghi, che guardarono al suo humour e al suo acuto punto di vista sulla realtà per arricchire il proprio linguaggio.
Citato da Baudelaire, che sottolineava il carattere eccentrico della sua arte e un talento ben oltre i confini della bizzarria fine a se stessa, Bruegel fa letteralmente capolino dalle opere di artisti ottocenteschi, come il belga Alfred Stevens, che gli rende omaggio inserendo un evidente rimando al Censimento di Betlemme in uno dei suoi lavori.

ENSOR E L’OTTOCENTO

Ma nell’Ottocento l’artista belga che seppe utilizzare al meglio il lascito di Bruegel fu senza dubbio James Ensor, il quale scrisse in suo onore parole cariche di ammirazione. Non imbrigliabile in facili categorie, la pittura di Ensor spazia dalla natura morta al paesaggio, dalle scene d’interno a esterni sovraffollati, dove l’elemento grottesco non manca di catturare l’occhio e di condurlo, spesso, in un vortice di maschere e scheletri, di clown e colori orgiastici.
Modello di riferimento per i successivi sviluppi espressionisti, Ensor sintetizza le molte anime di una tradizione, quella fiamminga, che non ha mai smesso di plasmare se stessa, tenendo vive le proprie “fonti” e trovando nel contemporaneo una inesauribile sorgente di possibilità.

Arianna Testino

Articolo pubblicato su  Artribune Magazine  #51 – Speciale Fiandre

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Arianna Testino

Arianna Testino

Nata a Genova nel 1983, Arianna Testino si è formata tra Bologna e Venezia, laureandosi al DAMS in Storia dell’arte medievale-moderna e specializzandosi allo IUAV in Progettazione e produzione delle arti visive. Dal 2015 a giugno 2023 ha lavorato nella…

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