Japan Unlimited. Giappone vs Austria per “colpa” di una mostra

Frei_raum Q2, Vienna – fino al 24 novembre 2019. Tanto clamore, tanto onore? Forse sì, parlando di un evento espositivo viennese in ossequio al Sol Levante, la cui eco ha man mano conquistato visitatori, e soprattutto un notevole rumore mediatico oltre i confini nazionali. Il boom però le deriva dall’essersi trasformata in un inciampo, diciamo pure uno sgambetto all’Impero della stirpe di Hirohito, dato che gli artisti, quasi tutti nipponici e noti, vi denunciano i tabù e le non poche lacerazioni sociali in antitesi alle narrazioni canoniche e stereotipate.

Quando meno te l’aspetti, l’arte sa essere davvero scomoda, sa togliere la maschera alle ipocrisie, sa farsi critica rispetto alle coscienze indifferenti di una vasta comunità. È quello che accade con Japan Unlimited, una mostra in corso al Q21, spazio espositivo all’interno del MuseumsQuartier di Vienna. Già nell’immagine di facciata dell’evento traspare una bandiera nipponica dall’effetto “out of focus”, il cui sottinteso si chiarisce solo strada facendo, rivelandosi un dettaglio simbolico di un atto d’accusa contro la retorica di un Giappone che si è soliti vedere come comunità conciliata nei suoi rituali sociali, in armonia con la natura, e dunque con la Storia. Pertanto l’esposizione ha causato molto più d’un mal di pancia al Paese del Sol Levante. Le cui autorità, venute a celebrare il 150esimo anno delle relazioni diplomatiche austro-nipponiche, hanno di conseguenza finito per togliere il proprio riconoscimento ufficiale alla manifestazione artistica, giudicandola ostile. Pensare che essa passava sotto l’insegna della leale amicizia tra i due Stati.
Da notare che a supporto dell’operazione artistica figurano numerosi sponsor d’alto profilo e dal notevole spessore economico; ma viene da pensare che da parte dei rispettivi headquarter non ci sia stata una piena consapevolezza delle inquiete tematiche immesse nella manifestazione. Dove di certo non si evoca l’esemplarità dell’iconica xilografia della Grande onda di Kanagawa, né il suggestivo profilo innevato del Monte Fuji. Tant’è che ora quattro marchi societari hanno voluto il ritiro del proprio nome dalla lista degli sponsor. Scomoda, invece, la posizione dello Stato austriaco che, avendo dato appoggio alla mostra, per il momento sulla questione non è intervenuto, colto nel bel mezzo d’una aporia: per un verso, tiene molto a mantenere con il Giappone amichevoli rapporti politico-diplomatici, in ragione, tra le varie cose, di scambi economici privilegiati; mentre, per altro verso, non intende mettersi nella scomoda posizione di togliere all’arte – e agli artisti – la propria “incondizionata” peculiarità.

ARTE E CENSURA

Nessun nodo è venuto al pettine all’inaugurazione della mostra, e pure nei giorni immediatamente successivi, con tanto di momentaneo silenzio da parte della rappresentanza diplomatica giapponese. Disattenzione? Più probabilmente, da parte di quest’ultima, c’è stato l’intento di camuffare con l’indifferenza il proprio imbarazzo, e ancor di più il non dare una ulteriore risonanza, sulla sponda europea, a un brutto episodio di censura messo in atto poco tempo prima alla Triennale di Aichi 2019, il maggiore evento artistico giapponese dell’anno. Lì si era verificato che, dopo pressioni e gravi minacce di un’opinione pubblica particolarmente avversa a talune tematiche, le autorità avevano imposto l’amputazione della sezione intitolata After “Freedom of Expression?”, poi ripristinata, ma solo nell’ultima settimana della Triennale, quando la mostra “viennese” era già in corso e, come già detto, a sua volta ostracizzata dalle autorità giapponesi.

L’OSSESSIONE DEL NUCLEARE E ALTRI SPETTRI

Quali le caratteristiche dell’esposizione al Q21 di Vienna? Guarda caso, Japan Unlimited presenta una ricognizione mirata a cogliere i limiti alla libertà dell’espressione artistica, denunciando tabù e sintomi traumatici vissuti nel quotidiano in seno al corpo sociale nipponico. Diciotto artisti di rango, quasi tutti giapponesi, molti dei quali presenti anche alla Triennale di Aichi, e non pochi sono autori di opere censurate nel recente passato e in varie circostanze. Perché, in definitiva, in Giappone agli artisti è proibito perfino pronunciare talune parole, come “Fukushima” o “radiazioni”, indici di devastazione e di un disagio esistenziale che occorre rimuovere dalla memoria collettiva. Tratta di questo, ad esempio, l’opera del collettivo Chim Pom, intitolata Ki-Ai 100; sono due video posti in parallelo che mostrano simultaneamente un ammasso di macerie e un gruppo di persone che, mediante un finto escamotage, trasgredisce l’imposizione di ciò che è interdetto d’autorità, per non dimenticare lo scandalo del famigerato incidente nucleare causato da uno tsunami, ma di cui lo Stato ha avuto, per negligenza, molte responsabilità. E non è priva di effetto scenografico la tuta bianca, insanguinata, esibita in forma spettrale dalla artista Naoko Yoshimoto. È realmente un esemplare di indumento fornito agli operatori delle centrali nucleari giapponesi ma che, per l’inconsistenza del materiale, risulta del tutto inadatto a proteggerli dalle contaminazioni radioattive.
La censura sull’arte colpisce banalmente anche la nudità delle parti intime dei corpi, come mostra Ryudai Takano, riproponendo un’immagine fotografica da lui stesso “censurata”, così come la poté esibire in una determinata occasione per sottrarsi al divieto di mostrarla.

Bubu de la Madeleine and Yoshiko Shimada, 1945 (1998), Photo Pablo Chiereghin

Bubu de la Madeleine and Yoshiko Shimada, 1945 (1998), Photo Pablo Chiereghin

I TABÙ DELLA STORIA

Istituzionalmente proibito parlare delle atrocità commesse sulle popolazioni del continente asiatico (Cina etc.), sottomesse in passato al dominio nipponico. Ancora oggi scusarsi pubblicamente come gesto simbolico di risarcimento morale, neanche a parlarne! Lo fa, a sorpresa, in un’assemblea internazionale, documentata da un video, l’attuale primo ministro giapponese Shinzō Abe: è un suo sosia naturalmente, che gli somiglia anche nella gestualità e nel timbro della voce. Autore e interprete di tale finzione è Makoto Aida. Il sarcasmo sulla narrazione ufficiale della storia giapponese rasenta l’ironia e lo scherno con le opere di Bubu de la Madeleine & Yoshiko Shimada, e dell’italiano Gianmaria Gava.
Una barbara quanto terrificante realtà, per un Paese culturalmente e tecnologicamente avanzato, può essere considerata la pena di morte, che effettivamente nel Sol Levante esiste ed è praticata tramite l’impiccagione. Una modalità rude che viene eseguita per mezzo di 11 metri di corda del diametro di 3 centimetri. Sulla base di questi dettagli tecnici Hana Usui ha realizzato una installazione posizionata in uno spazio cupo, una black box laterale e solenne rispetto al resto della mostra. Consiste in quattro vetrinette cubiche e asettiche, che custodiscono dei contorti pezzi di corda che l’artista stessa ha costruito, dipingendoli di nero. Ognuna delle teche è il racconto di una esecuzione capitale con raccolta di dati biografici sui condannati. Dedicando loro un paziente lavoro manuale e documentale, l’artista intende restituire identità e dignità a ognuno, almeno post mortem.
Japan Unlimited è una mostra ideata e curata da Marcello Farabegoli, italiano trapiantato a Vienna, profondo conoscitore del Giappone per avervi soggiornato a lungo.

Franco Veremondi

Vienna // fino al 24 novembre 2019
Japan Unlimited
a cura di Marcello Farabegoli
FREI_RAUM Q2
Museumsplatz 1
www.mqw.at

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Franco Veremondi

Franco Veremondi

Nato a Perugia, residente a Roma; da alcuni anni vive prevalentemente a Vienna. Ha studiato giurisprudenza, quindi filosofia con indirizzo estetico e ha poi conseguito un perfezionamento in Teoretica (filosofia del tempo) presso l’Università Roma Tre. È giornalista pubblicista dal…

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