“Fino alla fine del XX secolo, la percezione di un’immagine era condizionata dalla sua tecnica. Successivamente, la stessa percezione del ‘medium’ dell’immagine si è espansa per comprendere una definizione e un messaggio molto più ampi, che comprendono l’insieme di pratiche che rendono possibili la sua genesi e la sua presentazione – non solo tela e pittura, ad esempio, ma anche su telaio, studio, galleria, museo e sistemi che sostengono il mercato dell’arte o la sua ricezione critica. Questa evoluzione del concetto di immagine, dall’abbandono delle categorie tradizionali di ‘belle arti’ agli slittamenti ontologici nel regime visuale, è al centro della prossima serie di mostre al MAMCO” (Lionel Bovier, direttore).
500 mostre in 25 anni di vita, con 3mila opere in collezione e 3.500 mq di superficie espositiva, per un flusso di visitatori intorno alle 50mila presenze l’anno. Questi i dati del MAMCO, ovvero del museo d’arte contemporanea più esteso della Confederazione Elvetica. Acronimo di Musée d’Art Moderne et COntemporain, l’orizzonte temporale preso in esame dall’istituzione diretta da Lionel Bovier è relativamente breve, risalendo fino agli Anni Sessanta. Il modello museologico è chiaro: la collezione è disposta su due piani e l’allestimento modulato in funzione delle mostre temporanee allestite al primo piano. In questo modo si ottiene il doppio vantaggio di “radicare” le temporary exhibition nel contesto storico e, d’altro canto, di rendere viva la collezione. Questo stesso modello si riflette nel contesto più ampio. Il MAMCO ha infatti sede nel medesimo edificio che ospita il CAC – Centre d’Art Contemporain diretto da Andrea Bellini, e questo hub della contemporaneità artistica è il pivot del Quartier des Bains, distretto ad altissimo gradiente d’arte, con numerose gallerie attive nelle vie circostanti e un programma coordinato di vernissage ed eventi che calamitano gli appassionati non solo cittadini.
Da notare la genesi e soprattutto la governance del MAMCO: nato grazie a un gruppo di cittadini associati per questo scopo negli Anni Settanta, ha assunto la forma attuale quando sono intervenute le istituzioni cittadine e cantonali, dando vita a una fondazione che è l’espressione compiuta di un partenariato fra pubblico e privato che ha dato ottimi frutti.
Sia Bovier che Bellini sono mid-career dinamici e al contempo studiosi impenitenti, e i risultati si vedono. Si prenda ad esempio il primo, che imposta un’intera stagione espositiva partendo dai visual studies di W.J.T. Mitchell, con una solida tesi ontologica che riguarda l’arte, l’opera, il suo sistema e la sua ricezione; e che è in grado, su queste basi, di elaborare una nutrita serie di mostre che non sono concettose, al contrario sono comprensibili e stimolanti. Quel che si dice la capacità di divulgare, senza fare alcuno sconto alla complessità delle questioni affrontate.
L’ARCHITETTURA. ERWIN OBERWILER
Da sede della SIP – Société genevoise d’Instruments de Physique, azienda specializzata nella meccanica di precisione, a MAMCO – Musée d’Art Moderne et COntemporain di Ginevra: questo il “destino” dell’edificio industriale costruito nella città svizzera nel 1958 e restituito alla stessa, con una rinnovata funzione ma senza tradire l’originaria identità architettonica, nel 1994. Nel cuore del quartiere Les Bains, negli stessi spazi in cui sono stati realizzati dispositivi per la produzione di strumenti come microscopi, barometri o righelli di precisione, da venticinque anni si irradia l’attività di uno dei maggiori musei della Svizzera. Artefice dell’intervento è stato l’architetto Erwin Oberwiler che, in collaborazione con i colleghi Michel Buri e Serge Candolfi, ha scelto di percorrere la strada della conservazione del maggior numero di elementi della struttura architettonica eretta negli Anni Cinquanta. Lo testimoniano la compatta mole della fabbrica dismessa, alleggerita da generose superfici vetrate ma ancora leggibile, e il principio applicato all’intera riqualificazione, ispirato a una “forma di neutralità” percepibile all’esterno e all’interno. Concepito come spazio per mostre, atelier e laboratorio, il MAMCO dispone di 3.500 mq riservati al programma espositivi, condizione che lo ha reso il più grande museo dedicato all’arte contemporanea del Paese. Tra le soluzioni estetiche adottate dal team di progettisti rientra la conservazione di gran parte dei materiali e dei rivestimenti d’epoca; attraverso la palette cromatica sviluppata per le pareti interne si è voluto preservare la memoria fisica della fabbrica, mentre la disposizione regolare dei neon, collocati a soffitto secondo griglie regolari, evoca l’illuminazione che un tempo caratterizzava questi spazi.
‒ Marco Enrico Giacomelli e Valentina Silvestrini
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #48 – Speciale Svizzera 2019
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