Retrospettiva di Balthus alla Fondation Beyeler. La recensione in anteprima

Apre al pubblico il 2 settembre, la piccola ma completa retrospettiva di Balthus alla Fondation Beyeler di Riehen/Basilea. Quaranta opere pittoriche che coprono un secolo o quasi di attività. Per una mostra che nel 2019 approderà a Madrid.

Figlio di uno storico dell’arte e di un’artista, Balthasar Klossowski detto Balthus nasce il 29 febbraio (!) 1908 a Parigi. Tre anni prima era nato il fratello Pierre, anch’egli artista nonché scrittore e filosofo. Mentre una decina di anni dopo la madre stringerà una relazione con il poeta Rainer Maria Rilke, il quale non soltanto incoraggerà Balthasar, ma scriverà addirittura la prefazione del precocissimo racconto illustrato Mitsou, quarante images (1921).

VITA DI BALTHUS

Da allora la vita di Balthus è costellata non tanto di viaggi quanto di trasferimenti, tra la Francia, la Germania, l’Italia e la Svizzera.
L’Italia, per dire: fondamentale sia durante la breve residenza toscana nel 1926, quando l’artista studia a capofitto Piero della Francesca e Masaccio; sia nel quindicennio (dal 1961 a metà degli Anni Settanta) in cui è direttore dell’Accademia di Francia a Roma, periodo durante il quale riduce al lumicino la propria attività pittorica per impegnarsi a fondo nella missione diplomatico-culturale che gli era stata assegnata da André Malraux. Ed è proprio durante un viaggio diplomatico in Giappone che Balthus conosce Setsuko Ideta, che sposerà in seconde nozze nel 1967 ed è la modella per La Chambre turque (1965-66).
(La stessa Setsuko Ideta, brillantissima in conferenza stampa, fra i tanti aneddoti ha raccontato quando Balthus chiamò il suo gallerista Pierre Matisse – figlio di Henri – per ritirare il quadro; questi volò da New York a Roma, ma il quadro non c’era più. Perché l’artista riteneva necessario spostare la figura “di un centimetro a sinistra”, e inevitabilmente con essa tutta la complessa decorazione che sta alle spalle della modella. Così Matisse tornò a New York senza quadro, e dovette aspettare dei mesi per averlo.)
Una vita – terminata a Rossinière nel 2001 – fatta di incontri, una vita ad alta intensità e lignaggio, ma senza pose salottiere. La galleria dei sodali e degli amici, a breve o lunghissimo termine, spazia da Antonin Artaud (per il quale, nel 1935, Balthus disegna décor e costumi de Les Cenci; sul rapporto fra i due scrive Juan Ánge López-Manzanares in catalogo) ad Alberto Giacometti (“Con il quale Balthus non ha mai cessato di dialogare, anche dopo la morte dell’artista svizzero”, ricorda Setsuko), da Pablo Picasso (che nel 1941 acquista Les Enfants Blanchard [1937]) a Wim Wenders (che firma un toccante ricordo in catalogo).

Balthus, La Chambre turque, 1963-66- Centre Pompidou, Parigi © Balthus

Balthus, La Chambre turque, 1963-66- Centre Pompidou, Parigi © Balthus

L’ALTERMODERNITÀ DI BALTHUS

Balthus è un altermoderno – per utilizzare un termine caro a Nicolas Bourriaud –, al pari di Giorgio de Chirico, però con richiami che vanno in direzione della Neue Sachlichkeit e che trovano un comun denominatore nell’Unheimlich, nel perturbante comunicato da molte sue opere. L’assonanza con de Chirico è particolarmente risonante in Les Enfants Blanchard (1937), in specie per la ragazzina-manichino a carponi, figura che torna quasi identica – giusto un poco “ammorbidita” – in Le Salon (I) (1941-43).
Contribuisce a questa connotazione altermoderna il riferimento costante ai “primitivi” Masaccio e Piero della Francesca, dai quali trae – potrà sembrare un aspetto irrilevante, ma non lo è: si legga in proposito questo breve saggio – la “bruttezza” dei rari bambini che compaiono nelle sue opere, da quello protagonista de Le Poisson rouge (1948) alla sua copia fedele che compare alla finestra in Passage du Commerce-Saint-André (1952-54), enorme capolavoro in prestito a lungo termine da una collezione privata svizzera alla Fondation Beyeler (la cui raccolta è sprovvista di opere di Balthus). Ed è proprio nel masterwork che si rende palpabile il perturbante: rispetto al progenitore La Rue (1933), i personaggi si diradano e accentuano il tasso di automazione, mentre le insegne – prima totalmente vuote – ora recano tenui e illeggibili tracce, e la presenza sfuggente è senz’altro più unheimlich dell’assenza.

Balthus, Le Roi des chats, 1935. Musée cantonal des Beaux-Arts, Losanna. Photo Etienne Malapert, Musée cantonal des Beaux-Arts de Lausanne © Balthus

Balthus, Le Roi des chats, 1935. Musée cantonal des Beaux-Arts, Losanna. Photo Etienne Malapert, Musée cantonal des Beaux-Arts de Lausanne © Balthus

TEMI…

Celeberrimi i gatti, generalmente interpretati come alter ego voyeuristici dell’artista. E in effetti un’opera seminale come Le Roi des chats (1935) lascia pochi dubbi in proposito. Ci sono poi gli specchi, con i quali Balthus non gioca affatto, lasciandoli sempre privi di riflessi, riservando loro la funzione di simboli lapalissiani di narcisismo. (E non ci addentriamo nei possibili significati psicoanalitici di quei coltelli affondati nel pane in Le Goûter [1940] e in Jeune fille en vert et rouge (Le Chandelier) [1944-45].)
Meno frequentata è la questione degli elementi e delle figure inclinate, non ortogonali, portatori non tanto di sfasamenti delle prospettive (sempre volutamente distorte) bensì di trappole per gli occhi: una funzione sviante, se così si può dire, che mira al cuore del consueto movimento oculare al cospetto di una superficie da osservare. Per quale altro motivo il personaggio a destra in primo piano de La Caserne (1933) starebbe appoggiato in quel modo a un albero, in quell’equilibrio tanto precario? E lo stesso dicasi di almeno tre figure e due elementi ne La Rue del medesimo anno. L’apoteosi in questo senso è raggiunta in La Partie de cartes (1948-50), che pare un’Annunciazione duecentesca dipinta da un artista che va pazzo per le arti circensi.

Balthus, Thérèse rêvant, 1938. The MET, New York. Photo Artists Rights Society (ARS), New York © Balthus

Balthus, Thérèse rêvant, 1938. The MET, New York. Photo Artists Rights Society (ARS), New York © Balthus

… E OSSESSIONI

Imprescindibile, parlando di Balthus, parlare di donne, ragazze, erotismo, pornografia, pedofilia. Oppure si può evitare, visto che tanto si è scritto e polemizzato in proposito. A mettere qualche puntino sulle I ci pensano, in catalogo, i saggi di Beate Söntgen e Michiko Kono.
Sta di fatto che la maggior parte delle opere di Balthus contiene figure femminili sedute, reclinate, distese – spesso su poltrone e soprattutto divani. Un breve discorso in merito potrebbe partire, basandosi sulle opere in mostra, da La Jupe blanche (1937), con quelle diagonali che disegnano la postura seduta, con le gambe allungate – prodromo della distensione –, di una donna matura. Il sipario dell’ossessione sta per aprirsi, come la tenda parzialmente tirata sulla destra del quadro. Sipario che si apre in Les Beaux jours (1944-46), rivelando, proprio in quella stessa posizione a destra, un uomo di spalle, a torso nudo, che ravviva il fuoco del camino, mentre la donna pare più giovane, al collo un filo di perle (inevitabile pensare al nastro di velluto nero dell’Olympia [1863] di Manet), il seno coperto, stavolta, ma con uno specchio di fronte, mentre la gonna è più corta e le gambe sono divaricate invece che accavallate.
Un percorso che conduce fino al Nu couché (1983-86), opera matura che ben poco ha a che vedere con pietre dello scandalo quali Thérèse revânt (1938), e men che meno con La Leçon de guitare (1934, non in mostra), disconosciuta dallo stesso Balthus dopo esser stata presentata alla sua prima mostra personale, tenutasi alla Galerie Pierre Loeb di Parigi.

Balthus, Thérèse, 1938. The Metropolitan Museum of Art, New York. Photo The Metropolitan Museum of Art Art Resource Scala, Firenze © Balthus

Balthus, Thérèse, 1938. The Metropolitan Museum of Art, New York. Photo The Metropolitan Museum of Art Art Resource Scala, Firenze © Balthus

IN CONCLUSIONE

Una “piccola” mostra, per gli standard della Fondazione Beyeler. Appena quaranta opere, ma con i pezzi “giusti” e la copertura di tutte le fasi creative dell’artista. Vedremo se il Museo Thyssen-Bornamisza di Madrid saprà mantenere quest’altissimo standard: la retrospettiva arriverà a inizio 2019, ma in una versione modificata.

Marco Enrico Giacomelli

Riehen/Basel // fino al 1° gennaio 2019
Balthus
a cura di Raphaël Bouvier e Michiko Kono
Catalogo Hatje Cantz
FONDATION BEYELER
Baselstrasse 101
www.fondationbeyeler.ch

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Marco Enrico Giacomelli

Marco Enrico Giacomelli

Giornalista professionista e dottore di ricerca in Estetica, ha studiato filosofia alle Università di Torino, Paris 8 e Bologna. Ha collaborato all’"Abécédaire de Michel Foucault" (Mons-Paris 2004) e all’"Abécédaire de Jacques Derrida" (Mons-Paris 2007). Tra le sue pubblicazioni: "Ascendances et…

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