Superstudio a Milano. Architettura d’immagine?

Al PAC di Milano è allestita una mostra dedicata a Superstudio. Tra enigmi, contraddizioni e risposte. Un itinerario che, attraverso l’imponente allestimento di Baukuh e Valter Scelsi, frammenta l’integrità radicale di un manifesto. Alla ricerca di un’architettura della contemporaneità.

Su Domus 479, nell’ottobre 1969, Adolfo Natalini, Cristiano Toraldo di Francia, Piero Frassinelli e Roberto Magris scrivevano: “Si riparte dall’arte del costruire, dall’economia dei materiali, dalle ragioni del costruire e dai significati dell’edificio. La ragione ha riaffermato il suo posto e dà notizia di sé. E per la prima volta forse, al di sopra di tutte le contraddizioni, ci sentiamo stranamente tranquilli. Eppure la quiescenza del Moderno e la calma del progetto, inteso non solo come opera vòlta alla risoluzione di problemi, ma come strumento di costruzione, investigazione e conoscenza, al Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano ha perso ogni portata di integrità.
Durante l’11esima Giornata del Contemporaneo, Superstudio (1966-1986), il collettivo fiorentino, promulgatore di architettura radicale e radical design, ispirazione di grandi nomi dell’architettura come Koolhaas e Tschumi, torna a mettere in discussione il confine tra arte e architettura, cercando di affermarsi nuovamente come l’ultima grande avanguardia italiana.
L’imponente, labirintico allestimento che – bigio e non bianco – suddivide i percorsi, quale interpretazione del Monumento Continuo ideato da Baukuh e Valter Scelsi, non solo trasfigura lo spazio espositivo, ma rende il PAC una serie sovrapposta di livelli prospettici. Nonostante la struttura abbia il pregio, nell’insieme, di destinare con rigore l’andamento e il punto di fuga dell’intera visita, lastre di cartongesso e profili rendono l’allestimento una sorta di camera stenopeica per Istogrammi, Quadrena, Supersuperficie e persino per le proiezioni di Cerimonia e Utopia/Dystopia. Le fessure, create dal portentoso castello di carte appianate di Baukuh e Scelsi, trasportano il corpo in alvei percettivi che si aprono densi, lividi e allestiti diacronicamente. Stanze e saloni illuminati senza dedizione si affastellano come wunderkammer, tra dipinti di Priscilla Tea, le lampade Gherpe, Passiflora, le sculture miniate di Kostis Velonis, installazioni di Patrick Tuttofuoco, la Baazar rivestita in pelliccia rosa e la ricorsiva serie di complementi d’arredo prodotta da Zanotta, posta accanto alla siderurgica La moglie di Lot (1978).
Forse solo chi conosce con esattezza i tre periodi progettuali di Superstudio – il  primo periodo radicale dal 1966 al 1973, un secondo periodo di rifondazione antropologica dal 1973 al 1978 e un terzo di riavvicinamento all’architettura dal 1978 al 1986 – può tornare a leggere, con una certa fatica, Super superstudio come una mostra collettiva, impronta originaria, definizione atipica affidata al primo itinerario pistoiese dal titolo Superarchitettura del 1966.

Super Superstudio - veduta della mostra presso il PAC, Milano 2015 - photo Nico Covre, Vulcano

Super Superstudio – veduta della mostra presso il PAC, Milano 2015 – photo Nico Covre, Vulcano

L’itinerario allestito a piano terra del PAC dunque sovverte, ribaltandole, Utopie negative (Monumento Continuo, Supersuperficie), interventi che “dovrebbero smascherare la contraddizione del sistema, chiedendo alla classe intellettuale, attraverso la creazione di sempre nuovi modelli, di smentire la definitiva razionalità degli oggetti, per alimentare invece il desiderio di continuo rinnovato consumo” (Cristiano Toraldo di Francia), ma che al contrario accentuano lo scollamento tra oggetto e opera, tra funzionalità ed estetica, arte e architettura, antropologia e archeologia, modernità e urgenza. Nell’accedere all’ultima parte della mostra, racchiusa dal lungo lingotto del piano mezzanino, e nel riconsiderare l’intero itinerario dall’alto, si comprende quanto sia mancato all’impianto espositivo, in termini storiografici, la luce sperimentale di un collettivo radicale che ha lavorato, ideato, pensato al futuro della loro stessa contemporaneità attraversando figure come Gianni Pettena e per estensione Kaprow, Matta Clark, Smithson, Heizer. Qui assenti.
Non resta dunque che rifugiarsi e assorbire, tra allestimenti a parete e a pavimento, le 12 Città ideali (1971), percorso in cui riemerge la nostra figura umana di visitatori e, “esaurito il modello razionalista di corpo macchina produttiva, predisposto a determinati movimenti limitati nello spazio, si identifica allora con un nuovo modello di individuo i cui sensi vanno estendendo nello spazio e nel tempo” (Mariadele Conti).
Ma per meglio approfondire le scelte espositive che hanno impostato e messo a reazione l’intero percorso curatoriale abbiamo domandato a Valter Scelsi e da Andreas Angelidakis (curatore del percorso di artisti contemporanei) di enucleare il loro punto di vista.

Super Superstudio - veduta della mostra presso il PAC, Milano 2015 - photo Nico Covre, Vulcano

Super Superstudio – veduta della mostra presso il PAC, Milano 2015 – photo Nico Covre, Vulcano

La mostra concepita per il PAC, quale nuovo aspetto, quale valore del percorso di Superstudio fa emergere?
Valter Scelsi: L’aspetto della mostra collettiva come strumento operativo e come categoria attiva della logica progettuale, dove la collocazione e il montaggio sono in grado di misurare l’esistente, di riflettere la complessità. Del resto, nell’opera di Superstudio riflessione e misurazione sono gli elementi generanti le forme, e diventano, anche, il modo di produrre relazioni tra le forme e il mondo.
Andreas Angelidakis: Più che all’impatto visivo di Superstudio, di per sé iconico, io mi sono interessato ai temi che il loro lavoro ha fatto emergere. Questo set di questioni, come la vita emancipata dalla tecnologia, la natura e la tecnologia, l’abbondanza di oggetti e anche l’aspetto metafisico del loro lavoro mi è apparso molto più interessante ed è il motivo per il quale  ritengo che il loro lavoro abbia influenzato così tanti pensatori e artisti contemporanei.

Quale lavoro in Super Superstudio rappresenta in maniera assoluta la contemporaneità del collettivo?
V. S.: Il lavoro di Superstudio sembra ricordarci che niente di ciò che è stato detto non possa essere detto ancora. In un certo senso, accettando che sia l’atteggiamento di un autore verso la propria epoca di azione a determinare il contenuto, si può dire che non è solo la cultura contemporanea a condizionare i contenuti del lavoro di Superstudio, quanto, piuttosto, l’atteggiamento verso la contemporaneità, che determina poi inevitabilmente la messa a punto di un linguaggio. Guardando i contenuti di Superstudio, questi appaiono una selezione dei temi cardine di una cultura che propone la piena crisi della modernità. Sono essi stessi simbolo di tale crisi. Bruciano più velocemente e più clamorosamente il rapporto con la storia di ogni altra esperienza architettonica a essi contemporanea. Affermano lo spazio politico proprio nel momento storico della sua messa in dubbio. Portano la forma della città verso volontà ri-fondative vicine al concetto di “frontiera” verso cui espandersi. Scelgono la forma del monumento con l’effetto di una sublimazione in chiave assoluta del tema mega-strutturale, ma con essa affrontando una definizione in evidente trasformazione di senso, e si potrebbe dire che, scegliendola, la rispecchiano. Così il monumento si trasforma dall’opaco e iterato solido misuratore, al volume specchiante dell’architettura riflessa.
A. A.: A mio parere tutto quel che è introdotto nell’esposizione è corrente, anche i lavori di Superstudio degli Anni Sessanta, ritengo dunque difficile creare una sorta di assegnazione gerarchica ai lavori. Ogni opera in mostra ha una relazione con le idee di Superstudio, anche se non sembra che mantengano un riferimento diretto ad esse. In effetti, quando ho scelto gli artisti mi sono concentrato su persone il cui lavoro è sperimentale e parte di una continua ricerca. Sebbene non sempre i lavori siano recenti, le idee che lo supportano diventano attuali e il dialogo con Superstudio ci si augura possa far emergere questioni sempre nuove, più che fornire risposte esatte.

Super Superstudio - veduta della mostra presso il PAC, Milano 2015 - photo Nico Covre, Vulcano

Super Superstudio – veduta della mostra presso il PAC, Milano 2015 – photo Nico Covre, Vulcano

Quale pensiero formulare, quale augurio esprimere come accompagnamento di questo percorso?
V. S.: Il lavoro collettivo come strumento di ricerca che è alla base dell’azione di Superstudio è stato anche il principale motore di questa mostra. Il costante confronto tra i tre curatori, il comitato scientifico del PAC e tutti gli altri attori della vicenda ha condotto a un processo di produzione compiutamente plurale. Nel modo che ritengo proprio del fatto-mostra. La storia (e nel caso di Superstudio, senz’altro un pezzo importante di storia dell’architettura) può essere efficacissimo strumento operante per il nostro agire presente.
A. A.: Mi auguro di sostituire le relazioni di passato e futuro in un continuo presente.

Ginevra Bria

Milano // fino al 6 gennaio 2016
Super Superstudio. Arte e Architettura Radicale
a cura di Andreas Angelidakis, Vittorio Pizzigoni e Valter Scelsi
PAC
Via Palestro 14
02 76020400
www.pacmilano.it

MORE INFO:
http://www.artribune.com/dettaglio/evento/48590/super-superstudio/

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Ginevra Bria

Ginevra Bria

Ginevra Bria è critico d’arte e curatore di Isisuf – Istituto Internazionale di Studi sul Futurismo di Milano. È specializzata in arte contemporanea latinoamericana.

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