Palermo, la mafia e la poesia. Intervista con Letizia Battaglia
Un cerchio centrale racchiude gli scatti delle bambine di Palermo, innocenti e intense fra i vicoli e la povertà delle loro case. Poi un percorso esterno più ampio svela la cronaca delle feste religiose, dei regolamenti di conti, delle stragi di mafia. Ci sono gli attimi dell'omicidio di Piersanti Mattarella e del giudice Terranova e il volto spezzato di Rosaria Schifani, vedova di un agente di scorta. Infine Pasolini, Falcone e Borsellino e una poesia di Ezra Pound. È la mostra dedicata al lavoro di Letizia Battaglia. I suoi scatti dal 1974 al 2015 sono raccolti al Palazzo della Ragione di Bergamo.
Hai iniziato la tua attività di reporter che avevi quasi quarant’anni e sei diventata una coraggiosa testimone della storia italiana. La tua è stata una scelta o un atto dovuto?
Ho iniziato collaborando al giornale L’Ora come freelance, poi mi hanno chiesto di interessarmi alle cose siciliane. Non ho fatto altro che lavorare per un quotidiano che pretendeva, sulla cronaca, una disponibilità di 24 ore su 24. Però i miei articoli dovevano essere accompagnati da fotografie per essere pubblicati e così sono diventata la prima fotografa di un quotidiano in Italia. Era massacrante, ma dove mi dicevano di andare io andavo.
L’impegno è arrivato circa un anno e mezzo dopo: solo allora ho sentito che con le foto stavo documentando qualcosa di storico. Era una specie di guerra civile, pian piano è diventato tutto molto violento. Ci ho messo tutto l’impegno e la serietà possibile, perché sentivo di dover rispondere sia alle istanze del giornale che alle mie. Non bastava fotografare, bisognava farlo con rispetto, con partecipazione.
Hai mai avuto paura?
Sempre. Sempre. Ma il coraggio non è non avere paura, è averne e continuare a fare quello che stai facendo, come lo fanno i poliziotti o i giudici che vivono sotto scorta. Sono arrivate minacce e gesti di violenza anche nei miei confronti e lo sapevo che la lotta era impari, io avevo solo una macchina fotografica.
Nella mostra di Bergamo il primo impatto non è con la violenza delle stragi ma con la povertà di queste bambine…
Mi piace molto questo allestimento. La scelta delle bambine all’ingresso è una scelta psichica e poetica. Nella mia vita ho sentito più la povertà che la ricchezza, non ho fotografato i salotti e, quando mi è capitato, l’ho fatto con distacco. Io sto dalla parte dei deboli e se ho un mezzo per contrastare i cattivi lo uso.
Negli scatti che appartengono alla serie delle rielaborazioni tu inserisci corpi di donne che, pur non essendo sexy, sono un modo di esprimere la bellezza…
A un certo punto io volevo distruggere le mie foto. Le volevo rovinare. Sognavo di bruciare i negativi, tanto da arrivare a sentire lo scricchiolio della pellicola sotto le fiamme. Con questo lavoro io annullo il fatto di cronaca importante e ci metto un gelsomino e la donna nuda. Ci metto la vita, la bontà, un viso puro.
Hai detto che le tue immagini sono accompagnate dalle grida e dai pianti. Arrivavi sui luoghi della tragedia quando tutto era appena successo. Mi chiedo se per te queste fotografie hanno anche un odore.
Mi capita di ritrovarmi a sfogliare le foto nei cassetti e allora mi torna un senso di nausea. È lo stesso che mi saliva quando correvamo di notte fra le strade e i vicoli sconnessi, con la Vespa a perdifiato per arrivare subito, il prima possibile. Quella nausea e il senso di vomito li sento ancora, come fosse una stigmate che torna a pulsare.
Chi sono gli Invincibili?
Di questa serie ho fatto 13 fotografie, qui ce ne sono 5. Gli Invincibili sono i miei riferimenti culturali, psichici, etici, politici. Per tutti questi anni non ho fatto solo la fotografa, ho partecipato a manifestazioni, ho fatto la politica, sono stata deputato, assessore e consigliere comunale. Ti sembrerebbe guardandomi? È stato un periodo straziante e bellissimo, perché con Leoluca Orlando e gli altri della Giunta abbiamo creduto di poter cambiare le cose, amministrando in maniera corretta e generosa. Lì io facevo concretamente qualcosa, pensando a chi ammiravo.
Al di là del valore storico e sociale, le tue fotografie sono bellissime composizioni artistiche, non a caso da tempo girano il mondo in mostre, gallerie e musei. Chi sono i tuoi maestri?
Quando la fotografia ha preso il sopravvento ho guardato tanto al lavoro di Diane Arbus. Poi ho scoperto Mary Ellen Mark, una fotografa americana bravissima che fa foto di cronaca, raccontando soprattutto il mondo dei giovani. Anche Sally Mann e il suo lavoro sui bambini mi piacciono. E infine Joseph Koudelka.
Tu vivi ancora nel mondo del giornalismo, hai fondato la rivista Mezzocielo e conosci i giornali e i protagonisti di oggi. Cosa ne pensi?
Si lavora male. I giornalisti non capiscono niente di fotografia e purtroppo gestiscono i fotoreporter, che sono sottopagati e maltrattati. I ragazzi che partono per la Siria o Israele, rischiando la vita per documentare, tornano e vengono trattati a pesci in faccia. Ogni tanto c’è un giornale con un piglio da editor interessante, ma la maggior parte sono fatti da fotine senza espressione messe una accanto all’altra.”
Hai in mente un nuovo progetto. Una serie di scatti di donne immerse nella natura…
Sì, ci sto ancora ragionando. Penso a dei rifugi, alla natura come rifugio per alcune donne o bambine, ma so che sarebbero paesaggi carichi di inquietudine. Il mare mi interessa molto, vorrei entrarci dentro.
Se chiudi gli occhi e immagini di avere di nuovo trent’anni, dove saresti e cosa faresti?
Farei la fotografa a Palermo. Non posso pensare niente di diverso. Io devo stare lì a guardare Palermo, perché è come se la volessi proteggere. Potevo vivere a New York e lavorare, potevo stare a Parigi o Berlino, ma sono troppo legata alla mia città. Dopo una settimana che sono via scalpito, sto male, non mi godo più niente. Ho sempre paura che succeda qualcosa. Forse tutto questo dipende dall’aver vissuto tanti anni in cui non sapevi, andando a letto, quando ti saresti alzato e per quale motivo.
Letizia, prima hai detto che abbiamo perso. È così?
Perché, abbiamo vinto? Per ora abbiamo perso, sì. Poi, se una nuova generazione si muove, allora può essere che torniamo a lottare e questa è già una vittoria. Non parlo solo della mafia, la corruzione è un male diffuso che sta distruggendo il pianeta. Crollano le case, le montagne, muoiono gli animali, che vittoria è questa? E poi penso che se ci fossero le donne, tutte, con lo stesso numero presenti dove si decide il cambiamento, allora il mondo sarebbe diverso. Noi donne sapremmo convincere l’altra metà sulla necessità di lottare per un mondo migliore. Noi donne saremmo più affettuose verso la Terra, ci sarebbe più cultura vera. Ma devono essere tante, perché altrimenti sono costrette a inserirsi in un mondo maschile e si vendono.
Astrid Serughetti
Bergamo // fino al 5 aprile 2015
Letizia Battaglia 1974-2015
a cura di Alice Giacometti
PALAZZO DELLA RAGIONE
Piazza Vecchia
www.dominadomna.it
MORE INFO:
http://www.artribune.com/dettaglio/evento/42754/letizia-battaglia-1974-2015/
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati