Requiem di Natale

Un sabato pomeriggio, Natale alle porte e Milano sotto la neve, vado a Brera con degli amici a vedere la bella mostra dedicata ai Tarocchi Sola Busca, tuttora in corso. Costretti, nostro malgrado, a spendere l'intera cifra del biglietto – un tiro mancino che però si farà perdonare –, ne approfittiamo per ritrovare le sale permanenti della Pinacoteca.

Dopo vari capolavori iniziali, tra cui la stupenda Madonna con bambino e coro di cherubini di Mantegna, notiamo con dispiacere che di Giovanni Bellini è sparita la celeberrima Pietà. Tutti conoscono l’opera: il Cristo, morto e appoggiato appena a una lapide marmorea, è raffigurato in piedi mentre viene sorretto ai due lati da Maria e Giovanni, secondo uno schema compositivo evocativo della Natività.
Pazienza, proseguiamo. Poco dopo, una inopinata, maestosa apparizione ci coglie di sorpresa. La Pietà, che qualche metro prima aveva lasciato un vuoto sulla parete e nei nostri occhi, si mostra in tutto il suo splendore all’interno di un enorme e avveniristico laboratorio di restauro approntato all’interno di una sala espositiva. Mai ri-contestualizzazione di un’opera è apparsa più felice e abissale, seppur nell’inconsapevolezza dei suoi artefici. Ma occorre recarsi sul posto per rendersene pienamente conto.
Il dipinto, privato della cornice, se ne sta appoggiato su quello che non sembra più il freddo marmo di una lapide, bensì un più ottimistico tavolo operatorio. Dei morsetti di sicurezza lo fissano saldamente, consegnandolo allo sguardo consueto e impassibile del chirurgo (quando c’è) così come a quello, stupito, dello spettatore di là dal vetro. L’enorme vetrina, grande quasi quanto lo spazio che la contiene, sembra custodire il gioiello di una cassaforte infrangibile ma trasparente, o la reliquia di una cattedrale consacrata allo spettacolo della tecnoscienza.
Asettica come solo un ospedale sa essere e sigillata da una porta blindata, assomiglia in modo impressionante a una di quelle grandi teche a cui ci abituati Damien Hirst, le quali, com’è noto, conservano sovente al loro interno dei corredi medico-scientifici prossimi a reliquie animali.
Anche qui non mancano cassetti e scaffali ricolmi di strumentazioni tecnologiche all’avanguardia, di tabelle dai dati imperscrutabili e di composti chimici supposti medicamentosi, mentre lampade e tubi, lenti e microscopi circondano il cadavere mai davvero cadavere. Non mancano nemmeno dei classici cavalletti da pittura, trasfigurati tuttavia in protesi mediche. Gli addetti ai restauri delle opere conservate nella Pinacoteca, scoprirò poi consultando il web, come ogni anatomopatologo che si rispetti devono indossare speciali maschere e tute antisettiche prima di entrare nel tempio e operare quei morti viventi che sono le opere d’arte. Oggi, sotto Natale, è la volta di Cristo.

5 Damien Hirst Requiem di Natale

Damien Hirst

L’insieme, pur contenendo un celebre dipinto, non è tuttavia esso stesso un’opera d’arte. Eppure, meriterebbe che un tale appellativo lo individuasse come tale ben al di là di un registro retorico e nominalistico. Né io né altri potremo concedere a questa ri-contestualizzazione miracolosa di un capolavoro della pittura di divenire a sua volta capolavoro imperituro. A fronte di tanta sedicente arte che invecchierà, spesso inutilmente, nei musei di mezzo mondo, tale meraviglia presto svanirà nel nulla, quando un nuovo miracolo tecnologico sarà stato compiuto e Cristo nuovamente sarà risorto.
Siccome ritengo quest’opera perfettamente compiuta ma condannata all’oblio una delle occorrenze estetiche più significative apparse negli ultimi anni, e certamente in questo 2012 prossimo alla fine, vorrei battezzarla in quanto Chirurgia di Brera, prima di conferirle l’estrema unzione. Questa mia vuole dunque rappresentare un sentito “Requiem di Natale”, paradossale in più di un senso, come vedremo.
Nonostante l’indubbia vicinanza stilistica, non c’è una sola teca di Hirst che possa tenerle testa, in quello che sarebbe un testa a testa con Cristo. Neanche a idearla appositamente per un confronto all’ultimo sangue e, di nuovo, all’ultimo sangue di Cristo, Hirst riuscirebbe a spuntarla. Perché? Tanto per cominciare, Chirurgia di Brera non sarà vera opera ma è vera realtà, e dunque verità di un mondo che si auto-rappresenta spontaneamente, senza l’artificiosità propria dell’arte. Come accadde l’11 settembre del 2001, quando sull’esempio di un cavallo di legno due uccelli di ferro assaltarono la rocca di Manhattan non più sulle ali della poesia, bensì sospinti da una moltitudine di telecamere onniscienti e ubique, anche stavolta il reale sembra aver superato quell’attività sempre più “dopata” (perché sempre meno sorprendente) che chiamiamo arte, alla quale siamo assuefatti fingendo di non saperlo.
Non ce n’è, questa Chirurgia di Brera è troppo significativa, troppo necessaria, troppo autentica per non finire con il ridimensionare ogni messa in scena artistica, anche riuscita, in quanto operazione volta alla mera simulazione e dunque, in fondo, posticcia e non del tutto credibile.

Chirurgia di Brera 1 Requiem di Natale

Chirurgia di Brera ovvero la Pietà di Giovanni Bellini in restauro live alla Piancoteca di Brera

Quale altro paradosso significativo, oltre a quello del suo Battesimo/Funerale, sta mettendo in scena, paradossalmente senza fingere, la nostra Chirurgia di Brera? Guarda caso, quello di una Natività e di una Resurrezione estremamente “problematiche” e che si danno anch’esse contemporaneamente, sotto i nostri occhi di spettatori non vedenti, nell’indifferenza generale di un pubblico dell’arte troppo preoccupato ad adorare e reclamizzare feticci, per accorgersi che il Feticcio per antonomasia è in sala di rianimazione. Alla Pinacoteca di Brera, in questo ospizio esclusivo affollato di mummie baldanzose, è esposto un nuovo capolavoro d’infermeria, attraverso il quale un’intera società sta parlando sinceramente di sé, mostrandosi senza esibirsi coscientemente, mentre assiste a quella stessa cerimonia che pur non comprendendo esegue con perizia.
Occorrenza estetica di prim’ordine, un’operazione chirurgica è in corso nientemeno che sul corpo di Cristo, sul corpo del corpo dei corpi, sulla corporazione di tutte le corporazioni e dunque, sul corpo di tutti noi. Come solo gli autentici capolavori sanno fare, quest’opera/operazione sintetizza in icona un cambio epocale di paradigma inauguratosi molto tempo fa e progressivo, un orizzonte ideologico, epistemologico ed esistenziale che l’Occidente ha da lungo tempo abbracciato ma che ha trovato solo qui, non a caso ma casualmente, il suo ritratto simbolico più panoramico. Ma soprattutto, quest’opera testimonia il compiersi di un passaggio/non-passaggio del testimone.

05.Bellini Cristo in pietÖ tra la Vergine e san Giovanni∏Bergamo Accademia Carrara Requiem di Natale

Giovanni Bellini – Cristo in Pietà tra la Vergine e san Giovanni evangelista, 1460 circa, tempera e oro su tavola – ©Bergamo, Accademia Carrara

Certamente possiamo, con Derrida, ricondurre Chirurgia di Brera a una qualche “onto-teologia” laica, sovrana e cosmetica, che sancisce il trionfo positivo della tecnoscienza mentre impone la resa incondizionata all’antica fede, per giunta natalizia. L’Agnello sacrificale è sottratto: nessun corpo morente anelerà più alla misericordia del Padre, quanto a quelle diagnosi mediche capaci di trattenerlo in Terra, rimandando a tempo indeterminato ogni inumazione o cremazione che sia. Tale primato tecnocratico, congiunturale a un assillo volto a scongiurare ogni fanfara di morte che è senza tempo, si è rivelato a tal punto efficace e potente – quest’opera ne è suggello – da consentire che il monopolio della speranza venisse interamente assorbito da quella che in fondo è una nuova divinità, certo impersonale, immanente e laica, ma capace di incarnarsi in quelle “pater-maternità” tecnologiche e iper-efficienti a cui anche Cristo ha finito per chiedere pronto soccorso. Divenendone nuovamente, vero ready made “rettificato” – qui soprattutto sta la genialità di quest’opera –, il testimone privilegiato.
Immagino che, durante questi giorni natalizi, il corpo eternamente ferito a morte di Cristo, già morto prima ancora di nascere e già sempre resuscitato prima ancora di morire, sia ancora lì, sotto i ferri, sotto controllo e sotto protezione nel vergine ventre che lo sta partorendo/seppellendo. Il luogo è perfetto e il momento pure. Andate dunque a rendere omaggio a questo presepe di tutti i presepi, che è anche Pasqua di tutte le pasque. Affrettatevi però ché potreste trovare la grotta/sepolcro vuoti!

Roberto Ago

www.brera.beniculturali.it

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Roberto Ago

Roberto Ago

Roberto Ago è figura poliedrica attiva in molteplici rami inerenti all’estetica. Critico delle immagini, iconologo, artista, editorialista, dopo gli studi d’arte presso l’Accademia di Brera sta conseguendo la seconda laurea in filosofia presso l’Università degli Studi di Milano, con particolare…

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