Copy-right, right to copy
Un convegno su copyright e anticopyright al Maxxi di Roma, organizzato dall’Iba e sponsorizzato da Christie’s. Nella sezione delle arti digitali si mappa l’immateralità della proprietà e del copyright d’autore. Parlano avvocati italiani e stranieri, critici, curatori, direttori di musei, artisti. Il problema è ricondurre “l’arte immateriale” alla “materialità”…
Come definire il copyright di un ologramma? L’improvvisa apparizione del defunto rapper Tupac Shakur in un concerto in forma di ologramma (di imbarazzante realismo) pone problemi d’immagine e materia. Gli avvocati propongono una lista dei linguaggi “immateriali” che devono acquisire lo status molto solido del diritto di copyright: nomi e loghi, ologrammi, design, suoni e musiche. L’universo multimediale deve rientrare nelle catalogazioni stabilite.
L’artista Miltos Manetas contesta il copyright delle immagini di Mario Bros, da lui utilizzate per un video e contestate dalla proprietaria, la potente Nintendo. E organizza un proprio Pirate Party per la libera proprietà dei materiali digitali. Gli organizzatori di Burning Man rivendicano la libertà free-copyright nel loro festival freak-tecnologico nel deserto del Nevada. L’arte moderna, prima dell’arte digitale, si è costruita sull’“appropriazione”, in un susseguirsi di furti simbolici o reali. E la “guerra” sul copyright ha avuto momenti forti per le idee radicali/digitali.
Memorabili le azioni di Paul Garrin, dei primi Etoy ecc. sul tema del nome, del logo, dell’uso della proprietà in azioni che hanno esplorato l’idea di un’arte “estranea” ai valori commerciali. No Copyright è stato anche un rifiuto degli autori digitali, rispecchiando il gioco duro degli hacker, referenti per le ipotesi trasgressive del digitale. In prospettiva di questo “allarme rosso” sul copyright, sono nati i Creative Commons, che permettono di condividere una serie di materiali tenendo conto delle loro origini. Ma diventa più circoscritta l’area d’azione, e ci saranno rinnovate provocazioni da parte digitale e un giro di vite sulle “maglie lente” della multimedialità di rete.
Vien voglia di fare un parallelo fra arte moderna e arte digitale. Quanti copyright sono stati infranti per fare un collage dadaista? E qual è oggi, ciò malgrado, il suo valore di mercato? Quanto ci vorrà perché un lavoro multimediale composto infrangendo più regole venga venduto in un’asta ad altissimo prezzo? E dove? Da Christie’s, naturalmente.
Lorenzo Taiuti
docente di arte e media – università la sapienza di roma
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #8
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