Per chi ha dato un’occhiata ai quotidiani negli scorsi giorni, non sarà una sorpresa apprendere che il prequel di Amici Miei, intitolato Come tutto ebbe inizio, regia di Neri Parenti, ha suscitato non poche polemiche. Fan sfegatati, refrattari al nuovo? Forse. Ma a nostro parere, ciò che non è piaciuto di questa impresa cinematografica è che ha di fatto rimosso totalmente dalle vicende del Conte Mascetti, dell’architetto Melandri, del giornalista Perozzi, del primario Sassaroli e del barista Necchi la sensazione del dramma diffuso, la profondità della psicologia dei personaggi, la celebrazione del sacro vincolo dell’amicizia virile. Resta l’aspetto goliardico – con veline in salsa quattrocentesca, parolacce, gag in puro stile cinepanettone – monco però della sua tradizione storica, dal Brunelleschi al Marchese del Grillo, di cui Monicelli era un grande conoscitore.
L’identità italiana in quanto tale – precaria, arraffona, pessimista, ma forse per questo burlona e un po’ geniale – è qui soppiantata da un sentimento nuovo, contemporaneo, a cui manca il sottotesto e il finale tragico, per una agghiacciante, antirealistica, ridondante risoluzione “a tarallucci e vino”. Ma l’Italia è diversa. Non conosce lieto fine, né l’eroismo come conditio sine qua non. Valga per tutti il paragone, nonostante i contesti differenti, tra Finché c’è guerra c’è speranza (Alberto Sordi, 1974) e Iron Man (Jon Favreau, 2008).
Pietro Chiocca e Tony Stark sono due mercanti d’armi. Entrambi giungono per motivi differenti a un bivio che pone loro una scelta etica. Il primo, suo malgrado, finisce nell’apertura del Corriere della Sera e, una volta rientrato a casa, incontra l’indignazione dei familiari. Sul suo volto è dipinta la stanchezza di una vita messa sempre a repentaglio, la durezza di occhi che hanno visto cose terribili. È disponibile a cambiare ma, sottolinea, niente più agio, lusso e spensieratezza: l’esistenza tornerà a essere quella dei comuni mortali. Inutile dire che moglie, figli e suocera opteranno per lasciare tutto immutato, in un’economia sociale dove il punto sta nella salvaguardia dell’apparenza.
Tutto diverso per Stark. Rapito in Afghanistan, comprende il rischio della minaccia terroristica, si salva, torna in America e dà una bella rinfrescata al tutto: mission aziendale (da armi a giocattoli!) e passatempi, trasformandosi in un supereroe. La sua assistente lo ama sempre, chi gli voleva fare le scarpe prima è solo un tantino più arrabbiato, l’azienda perde qualche utile, ma senza grossi traumi. Non cambia nulla, solo le sue attività. Dall’inizio alla fine del film Tony non ha paura, non ha dubbi. Il messaggio è: io sto facendo la cosa giusta per me, per i miei cari, ma soprattutto per il mio Paese.
Gli fa da contraltare il percorso interiore di Omero Battifiori (Nino Manfredi) protagonista di Anni Ruggenti (Luigi Zampa, 1962), uno dei momenti più felici della cinematografia sul fascismo. Omero, assicuratore romano e fascista modello, viene mandato dalla compagnia per cui lavora in un piccolo paesino del sud. Per una serie di equivoci viene scambiato per un gerarca in missione in incognito e perciò circuito dai potentati locali, che lo includono nella loro vita per nascondergli le magagne del regime. I loro tentativi saranno così maldestri, tuttavia, che Omero a poco a poco, in un’esilarante commedia degli errori, scoprirà la tragica verità della dittatura, fatta di un’oligarchia becera e pasciuta a discapito di una moltitudine sempre più vessata e infelice, di una classe dirigente truffaldina e amorale e di intellettuali emarginati.
Sullo sfondo c’è un affascinante affresco popolare ravvivato da micronarrazioni, un’Italietta di molte, piccole anime, tutte diverse tra loro, di grandi problemi ficcati sotto il tappeto, che crescono a dismisura fino a diventare enormi realtà. E a Omero, che ha capito tutto, ma che non può farci niente “perché qui probabilmente non cambierebbe nulla”, non resta altro che fare le valigie e andare via. Con una fede in meno e la delusione nel cuore.
Santa Nastro
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