Fotografia e industria in mostra al MAST di Bologna

Gli ultimi 200 anni di storia rivivono nei 500 scatti in mostra al MAST di Bologna. Tra fotografia e industria

La mostra The Mast Collection. Visual Alfabet of Industry, Work and Technology riunisce negli spazi del MAST di Bologna una selezione di 500 scatti firmate da 200 autorevoli fotografi, oltre che da amatori anonimi internazionali e italiani.
A poco meno di dieci anni dalla sua nascita, il MAST ha portato a casa risultati di rilievo nel panorama italiano, piuttosto avaro di punti di riferimento per il mondo fotografico.
Così chiosa Urs Stahel, curatore della Fondazione bolognese: “La fotografia è figlia dell’industrializzazione e ne è memoria, analisi, documentazione. Sia foto che industria servono l’illusione del controllo della terra, prima con uno sforzo analogico e chimico, ora digitale e ‘super-slim’. Ora imperversa un post-post modernismo 4.0… siamo passati da immagini fedeli, riflesso della realtà, a immagini controllate dalle IA raccogliendo successi ma anche molti abomini che sono stati fatti passare come ‘danni collaterali’”.

The MAST Collection. A Visual Alphabet of Industry, Work and Technology. Exhibition view at MAST Foundation, Bologna 2022

The MAST Collection. A Visual Alphabet of Industry, Work and Technology. Exhibition view at MAST Foundation, Bologna 2022

LA MOSTRA ALLA FONDAZIONE MAST

L’esposizione raccoglie film, negativi, album che contengono dalle trenta alle cento immagini. Questa ingente raccolta artistica incoraggia riflessioni, supporta conoscenza ed educazione, documentando l’evoluzione del mondo industriale. Stahel continua: “La fotografia ha la reputazione di parlare in maniera universale; in contrasto con altri linguaggi e lingue, non ha una grammatica fissa, una struttura precisa. Quindi cosa significa mettere in piedi una collezione di fotografie industriale? Significa proporre un repertorio contraddistinto da una serialità.
La peculiarità di questa mostra è suddividersi in 53 capitoli che si insediano negli ambienti della Fondazione seguendo un ordine alfabetico: abandoned, accident, blast furnace, cityscape, cosmetics, hight-tech, ideology, industrial plant & site, leisure, migration, post industrial, textile, tool, waste, water, wealth e molti altri ancora. Oltre a queste ripartizioni principali (indicate in nero sulle pareti), compaiono altre tematiche (in grigio) che connettono i nodi concettuali, creando un fil rouge unico e stimolante. Le fotografie si presentano sia a colori che in bianco e nero, stampate in maniera analogica, digitale o presentate su monitor di diverse dimensioni.

I FOTOGRAFI IN MOSTRA AL MAST DI BOLOGNA

Il curatore afferma ancora: “Dobbiamo chiederci cosa intendeva l’autore scattando quella foto in quel momento, cosa vediamo oggi e cosa non comprendiamo più, essendo passato un secolo. È una fotografia narrativa, concettuale, documentaria?”. Sicuramente genera un contesto pregno di significato nel quale la stessa può essere compresa. Un archivio non può restare infatti muto.
Quali sono le fotografie che informano questa vivida costellazione? Florian Maier-Aichen firma la prima immagine, una montagna bagnata da colori aggiunti in post produzione, con una serpentina che si snoda nella valle simboleggiando un tracciato che collega persone e merci; Lewis Hine documenta il lavoro infantile; Madhuban Mitra, con la sua serie Xerox, mostra come l’educazione non funzioni senza il ruolo democratico svolto dalle copisterie che rendono i libri di testo abbordabili per le fasce meno abbienti; Robert Doisneau e Paola Agosti guardano alla pausa-pranzo e al riposo come momento comunitario; Henri Cartier-Bresson documenta il momento del crollo del mercato cinese; il fotografo tedesco Sven Johne crea un polittico fotografico dove monta insieme diversi frammenti edilizi enfatizzando le divergenze economiche, nascoste dal Governo, tra Germania dell’ovest e Germania dell’est. Ancora, Albert Renger Patszh idea un poema malinconico e decadente dell’epoca industriale, mentre Eugene Smith, con uno scatto del 1972, immortala una madre intenta a sostenere tra le braccia il figlio che “ogni due ore è obbligata a immergere in un bagno d’olio. Si tratta della sindrome di Minamata in Giappone, dovuta a una fuoriuscita di mercurio nell’oceano che causò la contaminazione del pesce, l’intossicazione senza rimedio della popolazione. Migliaia di donne misero alla luce figli senza braccia o destinati a morte precoce.

Giorgia Basili

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Giorgia Basili

Giorgia Basili

Giorgia Basili (Roma, 1992) è laureata in Scienze dei Beni Culturali con una tesi sulla Satira della Pittura di Salvator Rosa, che si snoda su un triplice interesse: letterario, artistico e iconologico. Si è spe-cializzata in Storia dell'Arte alla Sapienza…

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