Fino 26 marzo 2022, a Bari, presso lo Spazio Murat, va in scena la mostra di Antonio Ottomanelli, fotografo e architetto, intitolata Simple Future, a cura di Francesco Zanot. Ottomanelli, che nel capoluogo pugliese è nato nel 1982, qui espone, per la prima volta con una personale, raccogliendo la tradizione e la cultura fotografica della sua città. Una memoria che ha avuto tra i punti più alti l’organizzazione della mostra, nel 1984, Viaggio in Italia, per impulso di un maestro come Luigi Ghirri, rifiutando l’immaginario da cartolina del Bel Paese e avviando una ricerca interstiziale, profonda, a tratti malinconica.

IL VIAGGIO IN MEDIO ORIENTE DI OTTOMANELLI
E non è un caso, infatti, che, svolgendosi per la prima volta a Bari, l’esposizione abbia assunto, almeno agli occhi di chi ha un po’ seguito il percorso dell’artista, e anche per stessa sua ammissione, un sapore quasi retrospettivo, incorniciando lo spazio e disseminandolo di sedici fotografie, mappe e opere che segnano dei punti sulla sua cartina geografica privata in un discorso circolare.
San Paolo, New York e soprattutto il Medio Oriente – qui Ottomanelli ha avviato una prolifica ricerca attraversando Baghdad, Kabul, Gaza e anche Beirut (anche se della città libanese, tappa importante del suo viaggio artistico, intrapreso con altri colleghi, non compaiono scatti) con le loro architetture metafisiche ferite dai conflitti bellici. Qui la presenza umana è solo allusa. Fino al ritorno in Italia, già raccontata in passato tra le miglia della Salerno-Reggio Calabria, culminando invece in mostra nella Amatrice violata dal terremoto, tema ricorrente e affrontato anche a L’Aquila.

LA MOSTRA DI OTTOMANELLI A BARI
E di terremoto sa anche l’installazione site specific Simple Future, che spariglia le carte lasciando l’immaginario fotografico e assumendo fattezze concettuali e monumentali pure sviluppandosi orizzontalmente. Quattro elementi, casse, che ‒ citando il critico Pietro Marino – sembrano ricordare i 32 metri quadrati di mare circa di Pino Pascali. Soffocate da angoscianti colate di asfalto, si muovono, collidono, si allontanano, grazie a un dispositivo hi-tech, come faglie tettoniche inquiete.
Forse una metafora dello spazio pubblico delle nostre città, tema topico nella ricerca di Ottomanelli, sottratto, dimenticato, spesso sottomesso alla speculazione, a interessi anti-comunitari, in una lotta continua e forse ormai definitivamente persa, anche nel cuore e nella testa dei singoli, tra grattacieli e piazze. Qualcosa sotto, tuttavia, forse, ancora bolle.
‒ Santa Nastro
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