Intervista immaginaria alla bambola assassinata da Oscar Kokoschka

Prosegue il ciclo di interviste immaginarie legate ai personaggi del mondo dell’arte. Dopo il Monocromo di Yves Klein e la macchina fotografica di Michelangelo Antonioni in Blow Up, tocca alla celebre bambola di Oscar Kokoschka.

Dresda, 1919
Ore 22.30

Che ressa che c’è stasera, tutta Dresda è in questo appartamento! Tu non hai caldo?
Sì, lascia stare, quando Oscar organizza una festa cerca di invitare più gente possibile, ma forse dimentica che mi ha fatta fare ricoperta di pelliccia e ora sto morendo di caldo. Almeno qui sul balcone gira un po’ d’aria.

Pensi mai alla ragione per cui Kokoschka ti ha voluta?
In che senso?

Beh, se Alma Mahler non l’avesse lasciato, tu probabilmente non esisteresti…
Oscar avrebbe avuto comunque bisogno di me. Io sono tutto ciò che la sua mente proietta. Sono molto meglio della Mahler.

Non trovi frustrante il pensiero di essere stata creata a immagine e somiglianza di una donna reale e per di più per esserne la sostituta?
Assolutamente no. Io sono perfetta perché instillo in lui i ricordi, i dialoghi, i momenti di intimità vissuti con lei ma, al contrario di Alma, mi dedico solo ed esclusivamente a lui. Facciamo lunghi giri in carrozza, andiamo all’Opera e inoltre io passo pomeriggi interi a farmi ritrarre nuda sdraiata sul sofà.

Ma tu fai tutto questo perché sei priva di volontà. Sei una bambola. Solo che questa volta, al contrario di altre, ne sei più consapevole tu che il tuo amante, no?
Non credo, anzi. Ho paura che Oscar lo sappia e che mi porti in giro per la città solo per far sapere alla vera Alma della mia esistenza. Se così fosse, io sarei solamente uno strumento e perderei quella funzione di musa che tuttora mi anima.

Alma Mahler

Alma Mahler

Non dire così, dai. È una bella serata, tutti bevono e si divertono! Non ti abbattere. Scusami, non volevo farti pensare a questo…
Sai, a volte rifletto e penso a come sarebbe se fossi stata creata per una bambina e non per un uomo – un uomo per di più artista come Kokoschka. Per lei io avrei un vero valore, sarei lo specchio della sua vita futura: imparerebbe a prendersi cura di me come se fossi sua figlia, si responsabilizzerebbe e così la potrei preparare al meglio ad affrontare la vita adulta. Ora invece non sono altro che un feticcio. Il capriccio di un artista.

Hai mai sentito parlare di bambole gonfiabili?
Che hai detto?

Niente, lascia stare… Ti capita spesso di stare da sola?
Raramente. Le mie giornate, quando non sono con Kokoschka, le trascorro con Reserl, la governante di casa, che si diverte a vestirmi, svestirmi e mettermi sempre in pose diverse per lui.

Non senti mai la necessità di esprimerti, di mettere in pratica le tue abilità, senza dipendere da nessuno?
Io vivo assecondando le esigenze di Kokoschka e di chiunque entri in contatto con me.
La mia libertà è sempre minata dal suo volere. Non è facile supportare un artista. Io vivo di attese.

Fino a che punto arriva il volere degli altri e dove inizia il tuo?
Anche ora che stiamo parlando, io non sto parlando davvero. Sono un semplice specchio dei tuoi pensieri o di quelli che tu presumi possano essere i miei, e così accade anche con lui. Io sono la bambola Alma o, come mi chiama Kokoschka, la sua Alma. Il libero arbitrio per me non esiste né mai esisterà.

Chi sono quei due uomini che si stanno avvicinando?
Alfred Kruge e Jacob Schnebel. Gli ennesimi che approfitteranno della mia condizione.

Perché dici così?
Io sono una semplice bambola ma, sempre più spesso ormai, anche le donne si ritrovano a essere inermi davanti al volere degli uomini, come se fossero bambole. La donna può cambiare la sua condizione ed essere ciò che vuole senza dipendere da nessuno.
Non lasciare mai che sia un’altra persona a decidere della tua vita, io purtroppo non ho scelta.

Oskar Kokoschka, Pietà, 1909. Museum der Moderne, Salisburgo © Fondation Oskar Kokoschka – Bildrecht, Vienna, 2018. Photo Hubert Auer. Courtesy Museum der Moderne Salzburg

Oskar Kokoschka, Pietà, 1909. Museum der Moderne, Salisburgo © Fondation Oskar Kokoschka – Bildrecht, Vienna, 2018. Photo Hubert Auer. Courtesy Museum der Moderne Salzburg

I due portano via la bambola Alma. Spariscono per oltre un’ora finché un urlo disumano, proveniente dalla camera da letto, zittisce gli invitati. È Kokoschka che, furioso, caccia via i due uomini. La bambola Alma giace sul pavimento nuda. Kokoschka le parla, tentando di trovare una spiegazione a ciò che è accaduto, ma è inutile. Prende una bottiglia di vino e gliela spacca sulla testa. La testa si stacca dal corpo e il vino rosso, come sangue, inonda il corpo della bambola. La sua Alma però è ancora viva, così prende un coltello e le infilza le membra fino a ridurla in brandelli. Non riesce più a guardarla, perciò decide di abbandonarla in giardino.
L’indomani mattina due poliziotti bussano alla sua porta. “Un’ora fa un passante ha visto nel suo giardino, attraverso le inferriate del cancello, il cadavere di una donna”. Si dirigono sul posto e, alla vista del cadavere, i due poliziotti esclamano: ”Ma è solo una bambola!”, e Kokoschka: “Sì, solo una bambola”.

‒ Elisabetta Pagella

Intervista elaborata nell’ambito del corso di Critical Writing I, Biennio in Arti Visive e Studi Curatoriali, NABA – Nuova Accademia di Belle Arti, a.a. 2019/2020

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