
Un nucleo significativo di opere del maestro catalano fu messo insieme da un collezionista giapponese il quale, tra il 2004 e il 2006, decise di venderlo al Banco Português de Negócios. Ma giunse la crisi, si scoprì che l’istituto di credito era stato mal amministrato e lo Stato portoghese fu così costretto a nazionalizzarlo, incamerando non solo gli asset bancari ma anche la collezione di Miró. Nel 2014, a causa delle forti difficoltà economiche, il Portogallo mise all’asta il lotto di quadri, disegni, sculture, collage e arazzi, incaricando Christie’s di venderle a Londra, ma qui forse la storia segna il suo miglior colpo di scena perché gli intellettuali portoghesi, seguiti dall’opinione pubblica, scatenarono una protesta ferma e decisa, tanto che lo Stato fu costretto prima a rinviare e poi a sospendere la vendita, riportando la collezione in patria e depositandola presso il Museo Serralves di Porto. Nel 2016 l’intera raccolta – salvata grazie a una manifestazione di forte impegno civile – venne esposta a Porto e nell’anno successivo a Lisbona, attraendo tantissimi visitatori.
“Per noi è stata un’occasione straordinaria”, ha dichiarato Federico Bano: “quando con la Fondazione siamo venuti a sapere che questa collezione era disponibile ‒ in attesa di trovare una collocazione definitiva nelle sale del museo che saranno pronte solo a settembre del 2018 ‒abbiamo messo in campo tutte le nostre forze e siamo riusciti a portarla per intero a Padova. Non capiterà mai più”.

OPERE POCO CONOSCIUTE
La mostra è straordinaria sia per le rocambolesche vicende subite dalla raccolta sia perché fa scoprire alcuni aspetti poco conosciuti del molto conosciuto Joan Miró (Barcellona, 1983 ‒ Palma di Maiorca, 1983). Le 85 opere sono infatti esposte mettendo in luce in particolare gli aspetti della “metamorfosi” e della “materialità” protagoniste del titolo ma pure del lavoro dell’artista lungo tutto il corso della sua produzione, che è rappresentata quasi per intero, visto che i lavori si datano dal 1924 al 1981.
Grazie a Robert Lubar Messeri si sottolinea, sala dopo sala, il continuo allargamento delle tecniche artistiche di Miró, il quale trasforma progressivamente i linguaggi giungendo a ripetute metamorfosi: “oggetti e idee vengono trasformati in segni, e poi nuovamente in oggetti e idee”, sottolinea il curatore. Una metamorfosi particolarmente evidente nella serie dei Ritratti immaginari, a cui appartiene La Fornarina (1929) esposta in mostra, ma che riguarda profondamente anche i supporti impiegati – da quelli tradizionali alla carta vetrata, alla juta, al celotex – e i materiali che rivelano l’ampio spettro di sperimentazioni usate da Miró.

COLLAGE TRIDIMENSIONALI
All’inizio e alla fine del percorso, quasi a segnare una modalità di visita circolare, sono esposti i poco noti Sobreteixims, ideati per la mostra al Grand Palais di Parigi nel 1974 – dove comparvero anche delle Tele bruciate. Miró per gli “arazzi” si avvalse dell’aiuto del tessitore Josep Royo e la loro realizzazione richiama da vicino la pratica del collage e della scultura, riuscendo a “combinare e riconfigurare materiali ritrovati dopo essere stati scartati e privati della funzionalità e identità originarie”.
‒ Marta Santacatterina