A Milano lo scarabocchio diventa figura umana nella mostra di Luigi Carboni
Le tele di questo artista in mostra da Scaramouche sono una continua sorpresa. I suoi grovigli di linee nere rivelano forme umane fortemente espressive, non lontane da Basquiat e dal graffitismo americano

Con Luigi Carboni il segno diventa protagonista. Il segno grafico – dal tratto segmentato come per ombreggiare, allo scarabocchio dalle curve senza inizio né fine – è elemento costitutivo di ogni opera. Fa da contorno alle figure ma non solo: le riempie e le anima, dà loro corpo e vigore fisico ed emozionale. Questa è la visione che accoglie il pubblico nel secondo appuntamento espositivo organizzato a Milano da Scaramouche. La galleria, trasferitasi a due passi da Fondazione Prada dopo un passato newyorkese, propone questa volta un artista italiano ma che pare rievocare il mondo degli States, con i suoi graffiti, i colori pop che catturano subito lo sguardo.
Luigi Carboni: tra colore e segno
La pratica di Luigi Carboni (Pesaro, 1957) è una combinazione ideale tra colore e segno, tra pittura e immagine. Tocca le corde emotive più profonde, facendo parlare apparenti grumi di linee curve, quasi scarabocchi, che rivelano entità figurative umane. Dopo le griglie di fine Anni Ottanta, nel decennio successivo l’artista si focalizza sulla pittura. Ma è solo nel 2019 che si addentra in una declinazione particolare della disciplina: lo schizzo. O meglio, la sua ridefinizione, che da supporto ausiliario lo rende protagonista.







Lo schizzo secondo Luigi Carboni da Scaramouche Gallery a Milano
Fin dal cortile – oasi raffinata nascosta in un quartiere, lo Scalo Romana, in rapido e contraddittorio mutamento – si scorgono grandi tele dalle tinte accese. I colori forti, dal rosa al verde al celeste, sono però offuscati da pesanti tratti neri. Marcati e al contempo in parte tracciati con leggerezza, come quando per noia si fa uno scarabocchio. Tuttavia, l’apparente casualità del segno si rivela un gesto accuratamente meditato e che si anima conquistando la scena. Il groviglio di linee tracciate da Carboni assume sembianze umane, tra la caricatura e il graffito. Nell’indefinitezza della figura generale spiccano le mani: mani autonome e protagoniste, cariche di una passione quasi violenta. Ogni opera e a sé, ciascuna ha un vocabolario di segni grafici che la compongono, tecniche utilizzate e colori.
Il segno esce dal bidimensionale con Luigi Carboni
Il tratto non si ferma alla superficie dei dipinti. Tra i lavori in mostra vi sono anche pregiate lastre marmoree attentamente scelte e lavorate dall’artista. Qui, il segno grafico segue, rimodula e si distanzia dalle venature della pietra. Ne risultano sembianti incredibilmente umani, figurativi, esito dello sfruttamento efficace delle qualità del supporto. Come Michelangelo vedeva la scultura finale sin dal blocco di marmo intonso, così pare accadere qui. Ma ciò che propone Carboni non è il bello ideale del Classicismo, bensì un complesso di segni fortemente espressivi, vicini a Basquiat e alle tendenze americane del secolo scorso.

Le sculture di Luigi Carboni da Scaramouche a Milano
A concludere la rassegna un gruppo di ritratti scultorei, realizzati in ceramica smaltata. A caratterizzarli sono sempre colori brillanti e forme dinamiche fortemente accentuate. Sono oggetti nudi, essenziali e quasi arcaici. Ricordano le maschere del teatro greco: anche lì, l’espressione era accentuata fino a raggiungere il caricaturale. Raccontano storie buffe o tragiche… i tratti ingannano e confondono, lasciando un intrigante dubbio di fondo.Emma Sedini
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