Nuova vita all’ex carcere borbonico di Procida: riapre Palazzo d’Avalos 

Dopo Procida Capitale della Cultura 2022 (e dopo la mostra Panorama del 2021), l’isola continua a valorizzare il suo patrimonio e riapre il piano terra di Palazzo d’Avalos con un nuovo allestimento: un progetto tra memoria e rigenerazione che restituisce un frammento di storia all’isola di Procida

Io, da quando sono nato, non ho aspettato che il giorno pieno, la perfezione della vita: ho sempre saputo che l’isola, e quella mia primitiva felicità, non erano altro che una imperfetta notte […] e adesso, lo so più che mai; e aspetto sempre che il mio giorno arrivi, simile a un fratello meraviglioso con cui ci si racconta, abbracciati, la lunga noia”.  Prendendo spunto da queste parole — tratte dal romanzo L’isola di Arturo di Elsa Morante — si apre oggi un nuovo capitolo nella storia di Palazzo d’Avalos, l’antico carcere borbonico affacciato sul mare di Procida. Un tempo luogo di reclusione e sospensione, oggi si fa spazio di memoria, narrazione e riappropriazione collettiva

Il progetto “Ecosistema Palazzo d’Avalos” a Procida 

Il progetto di riallestimento del piano terra, parte dell’ampio programma Ecosistema Palazzo d’Avalos, guidato dalla direzione artistica di Marco Lauro e Valentina Schiano Lomoriello, sostenuto da Fondazione CDP e promosso dalla Cooperativa Immaginaria, ha restituito voce e materia alle storie racchiuse entro le mura di questo imponente edificio. Ricostruite le camerate comuni e la sala del medico, il percorso museale si arricchisce di documenti inediti, grazie alla collaborazione con la casa circondariale di Poggioreale, e accoglie la mostra Non ho aspettato altro che il giorno pieno, a cura di Alberta Romano con Aurora Riviezzo

La citazione morantiana, che evoca l’attesa luminosa di una pienezza di vita non ancora vissuta, diventa qui chiave poetica e politica: non solo rimando letterario all’isola che fa da sfondo al romanzo, ma anche lente per rileggere le esistenze silenziose che hanno abitato il Palazzo durante i suoi anni più oscuri. I manufatti prodotti dai detenuti, le fotografie, i registri, gli oggetti quotidiani raccontano un’attività artigianale che, per lungo tempo, ha intrecciato isolamento e creatività, reclusione e possibilità. 

Palazzo d’Avalos a Procida, un luogo tra memoria e reinvenzione 

Passeggiare oggi nei corridoi del piano terra di Palazzo d’Avalos significa attraversare una soglia temporale: il passato penitenziario si manifesta non come reliquia, ma come racconto vivo, disseminato in oggetti che si caricano di senso, tra memoria e reinvenzione. A guidare il visitatore è l’allestimento curato dallo studio AIDNA, collettivo di giovani architetti che da anni lavora alla trasformazione di spazi complessi con un approccio che coniuga rispetto del contesto e vocazione al contemporaneo. Nel contesto di Palazzo d’Avalos, il loro intervento si muove con misura e profondità, facendo della materia del luogo un dispositivo narrativo che restituisce l’atmosfera sospesa di quegli spazi. 

La mostra “Non ho aspettato altro che il giorno pieno” a Palazzo d’Avalos di Procida 

La mostra Non ho aspettato altro che il giorno pieno si innesta su questo percorso come un affondo denso di significato. Attraverso fotografie storiche, racconti, cimeli e manufatti, le curatrici hanno pensato una topografia emotiva e culturale del carcere, capace di rispecchiare una comunità intera. Durante le cosiddette Mostre Mercato, infatti, i detenuti esponevano alla cittadinanza gli oggetti realizzati nei laboratori interni: chincaglierie preziose, tovaglie ricamate, segni silenziosi di una creatività che resisteva al tempo e alle sbarre

Ogni famiglia procidana, si racconta, conserva almeno un oggetto prodotto nei 140 anni di attività carceraria. Un dettaglio che trasforma l’allestimento in una sorta di “museo diffuso” della memoria affettiva dell’isola. E come suggerisce Alberta Romano, non si tratta di un elogio ingenuo del lavoro come via di riscatto, quanto piuttosto della messa in luce dello spirito creativo che ha abitato anche i luoghi della privazione. 

L’ex carcere di Procida: un laboratorio inatteso di contenuti e relazioni 

In questo contesto, il carcere non appare solo come spazio punitivo, ma come laboratorio inatteso di relazioni, espressioni, tentativi. La mostra restituisce anche testimonianze inedite di spettacoli teatrali, momenti di svago, visite illustri — frammenti di umanità che spezzano la narrazione univoca dell’istituzione penale. Tra i contenuti più preziosi, alcuni scatti documentaristici realizzati da Mimmo Jodice negli anni ’80 all’interno del carcere, che disvelano la poetica della luce e dell’ombra in cui questo spazio è immerso. 

Il nuovo allestimento si intreccia con i progetti sviluppati per Procida Capitale Italiana della Cultura 2022, come Fili d’ombra – Fili di luce e Procida Time Machine, contribuendo a una narrazione stratificata del Palazzo.  

Il documentario di Domenico Palma sul Palazzo d’Avalos di Procida

A completare l’esperienza di visita, una sala video ospiterà il documentario Terra Murata di Domenico Palma, girato nelle aree oggi ancora inaccessibili del complesso. 

“Con questo intervento il complesso di Palazzo d’Avalos continuerà a raccontarsi a tanti visitatori”, afferma il sindaco Dino Ambrosino, sottolineando la centralità culturale conquistata dal Palazzo nelle politiche dell’isola. Un racconto che passa anche per una nuova accessibilità del linguaggio espositivo, grazie a un progetto di comunicazione che uniforma e potenzia la fruizione, rendendo l’esperienza intuitiva e immersiva. 

Come scrive Morante, Arturo “non ha aspettato altro che il giorno pieno” — e in un certo senso, oggi, anche Palazzo d’Avalos sembra averlo finalmente raggiunto: un giorno fatto di luce, di voci che ritornano, di storie che possono essere raccontate. 

Diana Cava 
 
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