Austin Young porta lo stile dei Fallen Fruit a Venezia per la Biennale

Negli spazi del settecentesco Palazzo Cesari Marchesi, l’installazione immersiva dell’artista californiano copre pareti e finestre raccontando il legame di Venezia con l’Adriatico. E in occasione dell’opening, il 18 aprile, il pubblico sarà invitato a sposare il mare

In occasione della 60. Biennale d’Arte, Austin Young si presenta a Venezia senza il suo partner in crime. Con David Allen Burns, l’artista americano forma una delle coppie più celebrate nel panorama dell’arte internazionale. Ma a Palazzo Cesari Marchesi sono comunque i Fallen Fruit (formazione artistica nata a Los Angeles nel 2004) a firmare l’intervento site specific che sarà svelato il prossimo 18 aprile, inconfondibile per l’estetica adottata da Young nell’ideare la “scenografia” che rivestirà pareti e finestre dello storico edificio di Calle Rombiasio.

L’installazione di Austin Young a Palazzo Cesari Marchesi

Marriage of the Sea (The Rape of Venice) è il titolo della mostra personale con cui la galleria THE POOL NYC – fondata a New York nel 2009, ma dal 2017 presente anche in Italia con la sede milanese di Palazzo Fagnani Ronzoni – porta in Laguna il lavoro di Young, che per l’occasione ha scelto di intrecciare una sinergia profonda con Venezia. In città l’artista ha visitato musei, chiese e palazzi, scattando foto e incamerando suggestioni, che l’hanno portato a concentrarsi sul rapporto ancestrale della città con il mare. Il risultato è una celebrazione che è insieme ritratto di Venezia, tutto trasposto nell’approccio creativo che è più congeniale a Young, intenzionato a stupire con effetti speciali: “Come artista, cerco di creare un’esperienza sublime che cambia le sensazioni una volta entrati nella stanza. L’obiettivo è di condividere le mie percezioni attraverso un’avventura estetica”, spiega. Una modalità ben nota a chi segue il lavoro dei Fallen Fruit, da Londra al Messico, più volte visti all’opera anche in Italia – dall’Orto Botanico di Palermo (in città si ricorda anche l’intervento a Palazzo Butera, per Manifesta 12) al Chiostro del Bramante di Roma, all’Accademia Carrara di Bergamo, al murale per la cantina irpina Feudi di San Gregorio – sempre con installazioni immersive, coinvolgenti e colorate, che diventano di per sé esperienza, tra cultura pop, rielaborazione della storia dell’arte, ispirazioni underground.

Il rapporto tra Venezia e il mare

Per la mostra veneziana, Young ha dunque concepito un inedito wall covering in tende velate e tessuto, che “avvolgerà” il pubblico all’interno del palazzo. ll tema è, come detto, il racconto visivo e concettuale del rapporto ancestrale tra la Serenissima e l’Adriatico, attraverso un collage di foto dell’artista californiano e immagini d’archivio. La mostra si potrà visitare fino al 30 giugno 2024, ma solo in occasione dell’opening, il 18 aprile (dalle 18 alle 20), l’installazione sarà attivata da una performance di Irene Marchetti, che inviterà i visitatori a sposare il mare. Le origini di questa cerimonia le ricorda lo stesso Young, suggestionato dalle leggende lagunari: “Per centinaia di anni, nel giorno dell’Ascensione, è stato compiuto un sacrificio. Si gettava in acqua un glorioso anello d’oro che affermava il dominio di Venezia sull’Adriatico. La magia di questo sacrificio divino è stato così potente da durare per secoli. Tra la diminuzione della popolazione, l’incrostazione dei canali, le maree sempre più alte e la perdita della comunità a causa degli affitti a breve termine, è tempo di rievocare questo antico voto: “Desponsamus te, mare, in signum veri perpetuique dominii! Ti sposiamo, mare, come simbolo del vero e perpetuo dominio!”. C’è, infatti, nel lavoro proposto dall’artista, anche una forma di denuncia contro la dinamica che, negli ultimi decenni, ha portato Venezia a piegarsi al turismo di massa, rischiando di trascurare la sua profonda bellezza: “Questa installazione rappresenta un’immagine allegorica di Venezia sedotta dal turismo, una città che ha sacrificato il suo capitale culturale e l’ambiente per avidità. Un’accurata ricerca della bellezza, dell’identità e delle norme sociali permea invece il lavoro dell’artista”, spiegano Viola Romoli e Luigi Franchin, direttori di THE POOL NYC.

Livia Montagnoli

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