Al MAXXI l’installazione della più importante architetta italiana

Architetta pluripremiata, Maria Giuseppina Grasso Cannizzo partecipa al ciclo espositivo monografico promosso dal MAXXI con un'installazione capace di sovvertire la propria apparente natura, incoraggiando a rivalutare la dimensione del tempo. Il video del work in progress

Con la trasformazione di un asilo in abitazione nel catanese, “un progetto che restituisce alla vita della comunità un senso del tempo e di pluralità”, Maria Giuseppina Grasso Cannizzo è stata insignita nel 2021 del Premio Italiano di Architettura, nella categoria riservata al miglior edificio realizzato.

Si tratta del riconoscimento promosso congiuntamente da Triennale Milano e MAXXI, istituzione quest’ultima ha scelto di puntare proprio sulla pluripremiata architetta siciliana per l’ottavo atto del ciclo espositivo Nature.

Per Grasso Cannizzo, l’invito del museo romano equivale a una rinnovata occasione di confronto con il tema allestitivo e con la peculiare dimensione installativa, da sempre terreno d’elezione con cui i progettisti riescono a misurarsi in un asse temporale antitetico a quello dei processi edificatori tradizionale.

In Collisione di Maria Giuseppina Grasso Cannizzo al MAXXI
In Collisione di Maria Giuseppina Grasso Cannizzo al MAXXI – ph. Pinella

L’installazione In Collisione di Maria Giuseppina Grasso Cannizzo al MAXXI

Per la sala Gian Ferrari del MAXXI, Grasso Cannizzo ha concepito l’opera apparentemente insondabile, invalicabile e severa In Collisione.

Un enigmatico monolite metallico, dall’aspetto esterno riflettente e quasi prezioso, che sembra incapace di offrire all’osservatore spazi da esplorare, visionare, comprendere.

“Nessuno sa cosa sia: è una arma di assalto, un oggetto non identificato contenitore di una vita sconosciuta, l’involucro protettivo di una gigantesca crisalide in attesa della lacerazione che consentirà alla falena di dispiegare le ali e prendere il volo?”, osserva la stessa progettista, provando a vestire altri panni.

Ma è proprio sperimentando l’attesa che l’installazione finisce per rivelare la sua natura di dispositivo altamente mutevole. Darsi tempo equivale, infatti, a introdurre presenze impreviste in quella che sulle prime potrebbe essere considerata come un’esperienza quasi di contemplazione visiva.

Il suono poco rassicurante di un allarme precede il manifestarsi di un’azione fatidica: l’attivazione dell’opera stessa, che progressivamente “si schiude sotto l’azione di impulsi programmati e scomponendosi si estende nello spazio circostante, frantuma generando vuoti, dà origine a varchi di attraversamento, svela recessi in ombra e spazi esposti alla luce”.

E, finalmente, si concede per essere attraversata. Non senza rinunciare a imporre ulteriori e inattese accortezze a chi si spinge nei suoi inimmaginabili interni.

Valentina Silvestrini

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Valentina Silvestrini

Valentina Silvestrini

Dal 2016 coordina la sezione architettura di Artribune, piattaforma per la quale scrive da giugno 2012, occupandosi anche della scena culturale fiorentina. È cocuratrice della newsletter "Render". Ha studiato architettura all’Università La Sapienza di Roma, città in cui ha conseguito…

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