La storia del Novecento secondo il grande artista Emilio Vedova

L’arte contemporanea fa il suo ingresso al museo M9 di Mestre per ripercorrere la storia del nostro passato recente. Il fil rouge del viaggio sono le opere di Emilio Vedova

Gli spazi del Museo del 900 (M9) a Mestre ospitano la mostra Rivoluzione Vedova. Il fondamento che sostiene le 130 opere della rassegna, tra installazioni e lavori a parete, è la rivisitazione di cinquant’anni di storia del XX secolo con le sue guerre, le sue violenze, raccontati dall’energia segnica di Emilio Vedova (Venezia, 1919-2006).
Come agisce Vedova quando pensa un’opera, la progetta, la realizza? La sua poetica risente della liquidità che si respira a Venezia, trasfigurata dall’artista nell’intensità delle macchie, nei frammenti, nelle compresenze, negli accostamenti accesi delle campiture. Una poetica che testimonia un’idea della vita concepita come contrasto, spaccatura, mancanza di unità, scontro.

Nel disco Senza titolo del 1996-97, dopo un energico corpo a corpo con la pittura di Tintoretto che sfocia nella Crocifissione del 1942, Vedova riprende il soggetto, materializzandolo in un palo che lacera lo spazio dell’opera, procurandogli una ferita scomposta difficilissima da risanare. Sono tagli non accostabili a quelli di Fontana, che con un impatto chirurgico sfiorano dolcemente la tela. Quello di Vedova è un attacco, una devastazione che non lascia indifferenti. Di fronte alla contorsione delle linee, agli agglomerati convulsi dei segni, come scrive Massimo Recalcati, il centro si fa evanescente. L’io si destruttura, perde rilevanza.
Tutto ciò non vuol dire che il vitalismo energetico dell’artista veneziano scorra senza filtri sulla tela come una pulsione che abdichi a qualsiasi tipo di controllo linguistico. Ogni opera in quanto tale implica una necessaria mediazione formale. Anche in Vedova, lontano dal lirismo del dripping, la violenza traumatica del gesto non esclude la progettazione consapevole, senza la quale ci sarebbe il collasso dell’opera.

LA MOSTRA SU EMILIO VEDOVA A MESTRE

Sono questi i presupposti per seguire al meglio i due filoni narrativi, scelti dalla curatrice Gabriella Belli, che articolano l’iter espositivo. Al centro del salone di 1300 metri quadrati all’ultimo piano del museo mestrino, Belli ha voluto tre grandi installazioni, a richiamare la visione scelta da Vedova, nel secondo dopoguerra, che utilizza il linguaggio astratto giudicandolo il linguaggio della libertà e traducendolo nel gesto creativo che allude anche alla militanza per i diritti civili e il pacifismo, all’impegno contro l’inganno delle ideologie e la brutalità delle dittature.
Ecco quindi l’“assurdo diario” (Absurdes Berliner Tagebuch ’64), uno dei cicli più drammatici, testimonianza della decostruzione voluta da Vedova nei confronti dell’impostazione statuaria, piramidale, a favore di un’opera aperta nello spazio dalle forme irregolari e scomposte. Per esprimere la sua protesta politica e il suo malessere di fronte al muro di Berlino. Il ciclo comprende sette elementi realizzati con strutture a cerniera, di cui due sospesi, che occupano la sala.

Rivoluzione Vedova, installation view at M9, Mestre, 2023. Photo Vittorio Pavan

Rivoluzione Vedova, installation view at M9, Mestre, 2023. Photo Vittorio Pavan

VEDOVA E LA STORIA DEL NOVECENTO

È la volta poi dei Tondi e Dischi (1985-95), dove Vedova delinea, colora, incolla, in un apparente disordine, ricusando l’egemonia del centro. La terza installazione, in continuum, compenetrazioni/traslati 1987/1988, è un ciclo concepito e concretizzato tra il 1987 e il 1988. Dipinti bianco su nero e nero su bianco, creati con una particolare tecnica chiamata da Vedova pittura cieca, in una sorta di accumulazione senza inizio e senza fine. Immagini mutevoli per narrare la costante precarietà che caratterizza l’esserci.
Intorno alle tre installazioni sono state collocate le opere che evocano le idee di sofferenza e resistenza: il Diario del partigiano (Agguato, Fucilazione, Bivacco); il Diario di Corea, dettato dalla guerra che tra il 1950 e il ‘53 devasta la penisola asiatica, Varsavia del 1960 che rappresenta la città con pennellate fosche e inquiete.

Fausto Politino

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Fausto Politino

Fausto Politino

Laureato in Filosofia con una tesi sul pensiero di Sartre. Abilitato in Storia e Filosofia, già docente di ruolo nella secondaria di primo grado, ha superato un concorso nazionale per dirigente scolastico. Interessato alla ricerca pedagogico-didattica, ha contribuito alla diffusione…

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