Enzo Cucchi poeta e mago. Un potente ritratto d’artista al MAXXI di Roma

È l’allestimento, frutto di uno spunto progettuale dell’artista, la prima sorpresa dell’omaggio che il museo romano dedica a Enzo Cucchi, concepito come un viaggio nella sua prolifica immaginazione

Ci sono Ezra Pound e Orson Welles, il Paolo Uccello di Achille Bonito Oliva e la Bibbia. E poi Dino Buzzati, la Divina Commedia, i disegni di Victor Hugo, Le vite parallele di Plutarco, le monografie su Seurat, Manet, Raffaello, Dalí e molti altri. Solo un estratto dalla biblioteca di Enzo Cucchi (Morro d’Alba, 1949), che ha acconsentito a condividere parte delle sue letture con il pubblico del MAXXI, invitato a visitare la mostra – non una retrospettiva, ma un omaggio che coinvolge Cucchi in prima persona – dedicata al suo essere artista visionario, enigmatico e affabulatore al contempo. Così sono i libri a introdurre le opere, sugli scaffali curati da Francesco Longhi, nella ricostruzione di una piccola biblioteca che si può scegliere di esplorare prima di procedere oltre, con la curiosità di scoprire come i riferimenti letterari e iconografici disseminati tra le pagine prenderanno forma nell’immaginario dell’artista (in occasione del finissage, i libri saranno protagonisti di una performance, narrati e poi donati al pubblico).

Enzo Cucchi. Photo Marco Deserto

Enzo Cucchi. Photo Marco Deserto

LA MOSTRA SU ENZO CUCCHI A ROMA

Enzo Cucchi, “il poeta e il mago”, perché sceglie cosa mostrarci e cosa invece nascondere alla vista, in attesa che sia lo spettatore a trovarlo. Nella Galleria 4, dove l’allestimento è stato curato da Claudia Reale seguendo uno spunto progettuale dell’artista, le opere prendono forma nello spazio, se ne appropriano ‒ invitando talvolta a guardare oltre, come il vascello in bronzo sospeso dietro una vetrata, fuori dall’edificio (Religione, 2013) –, lo trasformano e si trasformano, assecondando un’idea di metamorfosi continua, percepibile nelle sculture, come nelle vele dipinte che fluttuano dall’alto e nella miriade di disegni senza titolo (datati 2022 e affastellati su una parete sul modello della “cattedrale” elaborato da Cucchi), votati a rappresentare scenari in cui narrazione e allusione si confondono. Lo sottolineano i curatori Bartolomeo Pietromarchi e Luigia Lonardelli, questo “ritratto d’artista” – perché di mostra non si vuole parlare, almeno non nel senso convenzionale del termine – invita a perdersi nell’immaginazione di Cucchi, nella sua libertà espressiva, che l’ha portato, dagli Anni Settanta a oggi, a esplorare linguaggi e materiali diversi, da pensatore anticonvenzionale e – per sua stessa definizione – finanche amorale. In quel vicendevole scambio tra poesia e pittura – “La poesia e la pittura sono identiche […] Si tratta di fermare l’immagine e di farne istantaneamente la sintesi” – celebrato dal titolo della mostra, come pure dalla sezione dedicata alla carta, alla grafica e alla parola scritta, che riunisce decine di progetti editoriali, esperimenti tipografici, cataloghi di mostre, incisioni e libri d’artista che hanno scandito il percorso artistico di Cucchi, sempre attento nel curare la progettazione grafica e tipografica dei suoi lavori. La gradinata che li ospita in modo quasi disordinato – ma di un disordine generoso nell’offrirsi alla riflessione – culmina con La Biga di Giotto (1990), un grande carro trainato da una testa di pecora, allusione al racconto vasariano del giovane Giotto, ancora pastore, intento a disegnare su una roccia le sue pecore.

Enzo Cucchi, La Città Incantata, 1986. Photo Francesco Russomanno

Enzo Cucchi, La Città Incantata, 1986. Photo Francesco Russomanno

LE OPERE DI ENZO CUCCHI AL MAXXI

Sono oltre duecento le opere in mostra, molte delle quali, riferibili agli ultimi anni, mai esposte prima: volutamente non si procede con andamento cronologico, perché anche dal punto di vista visivo e spaziale chi guarda abbia sempre la possibilità di scegliere tra scorci e percorsi alternativi, frutto di una creatività che ribolle, magmatica e sorprendente. Percorrendo la galleria, si ha sempre l’idea che stia succedendo qualcosa. Che si tratti del gruppo di sculture in marmi neri, bianchi e rosa (a settembre 2023 saranno protagoniste di laboratori tattili con l’artista, ribattezzati Sculture interiori, per non vedenti o vedenti bendati) che esplorano il tema dello scorrere del tempo; o dei grandi dipinti che qua e là illuminano le pareti con accensioni di colore, come La Città incantata o il Miracolo della Neve (entrambi del 1986). Caratteristica comune sono le appendici in ceramica o metallo che espandono l’immagine al di là dello spazio pittorico, ibridandolo con la scultura. E il riferimento, sotteso a molta della produzione di Cucchi, a simbologie misteriche e miti, leggende e storie dell’antichità, che aiutano a liberare immagini, visioni, apparizioni, memorie, come in un flusso di coscienza atemporale, in cui composizione linguistica e visiva si confrontano sullo stesso piano, dando vita a una lettura estremamente personale di ciò che è stato e del tempo presente. È questa una costante nel lavoro ultradecennale di Enzo Cucchi, che nel condividere il proprio personale alfabeto, in uno spazio senza generi e limiti, ha saputo conquistare la critica (Achille Bonito Oliva, nel 1979, lo incluse nel gruppo della Transavanguardia) e diventare punto di riferimento per molte giovani generazioni di artisti.
Al centro della galleria corre una sorta di spina, che espone le terrecotte dipinte a freddo (2008) e bozzetti per un’opera in marmo; poco distante, su una parete di metallo nero, stanno i piccoli bronzi che evocano figurine devozionali o reperti di un’archeologia immaginata. In bronzo sono anche le formelle senza titolo (2005) che ripercorrono una storia dal fascino antico, anch’essa però frutto della ricostruzione creativa dell’artista. La chiusura del percorso è affidata, nuovamente, alle parole, con l’epigrafe ideata da Cucchi: La pittura raduna il peso delle cose. Una pittura è una cosa calda. Si vede da lontano che odi la pittura. Mostra e muori.

Livia Montagnoli

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