La poesia visiva di Mirella Bentivoglio alla Galleria Nazionale di Roma

A 100 anni dalla nascita, Roma rende omaggio a una delle artiste più rappresentative della cosiddetta poesia visiva. Un genere che non bisogna sottovalutare

Anche nell’arte contemporanea esistono pregiudizi e fraintendimenti. Uno di questi riguarda la cosiddetta “poesia visiva”, che si tende a considerare un filone astruso e concettoso della cosiddetta Neoavanguardia, ostico sul piano del godimento estetico. Neanche a dirlo, le cose non stanno esattamente così. Lo chiarisce una retrospettiva, ricca il giusto, dedicata a Mirella Bentivoglio (Klagenfurt, 1922 ‒ Roma, 2017), messa su alla Galleria Nazionale nel centenario della nascita dell’artista.

Mirella Bentivoglio, Nord, 1971. Photo Francesca Oro

Mirella Bentivoglio, Nord, 1971. Photo Francesca Oro

LA MOSTRA DI MIRELLA BENTIVOGLIO A ROMA

L’opera di Bentivoglio – universalmente considerata tra le esponenti più rappresentative della poesia visiva – si rivela, infatti, sbalorditiva, un vero e proprio choc, proprio perché sovverte completamente tale convinzione, essendo caratterizzata da un’impressionante immediatezza. Di più: la catchyness in questione si riscontra particolarmente nella produzione degli Anni Sessanta e Settanta, quella ritenuta più sperimentale, la quale è talmente d’impatto da rendere superflua ogni “spiegazione” volta ad accompagnarne la fruizione.
Sono illuminanti, in tal senso, le interviste proposte in un video inserito in mostra. Due passaggi spiccano. Quello in cui, con estrema sottigliezza, l’artista arriva a distinguere i “poeti visivi” dagli “artisti concettuali” per il fatto che ai primi (che definisce “ex poeti”) interesserebbe il significante, mentre ai secondi (che definisce “ex pittori”) il significato. E un altro, in cui invoca più spazio per le donne nell’arte non solo per ragioni socio-politiche, ma perché ritiene lo sguardo femminile, che definisce “fanciullo” – oggi parleremmo di fresh eye –, più libero e urgente rispetto a quello maschile, essendo quest’ultimo più incrostato storicamente da formalismo e tradizionalismi.

PAROLA E IMMAGINE SECONDO MIRELLA BENTIVOGLIO

Certo, a distanza di tanti anni qualcuno dei suoi calembour può risultare scontato. D’altronde è l’artista stessa ad ammettere che è stata poi la pubblicità ad arare il territorio esplorato in modo pionieristico dalla poesia visiva. Ma, detto questo, in più di un’occasione le fulminanti elaborazioni verbo-visuali di Bentivoglio stupiscono perché riescono a trasferire nella sfera del sublime l’incontro tra linguaggio e immagine. Succede, ad esempio, in un lavoro, splendido, del 1969, intitolato Bisogna farsi largo. Nel quale a incantare è la circolarità inscenata tra il metaforico avanzamento cui si riferisce la locuzione e il diventare “larghi” letteralmente, laddove la lettera iniziale dell’aggettivo non solo da verticale si ribalta in orizzontale, ma si fa anche super-estesa appunto nel senso della larghezza.
Come a indicare un punto preciso in cui la parola non può fare a meno dell’immagine, e viceversa.

Pericle Guaglianone

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Pericle Guaglianone

Pericle Guaglianone

Pericle Guaglianone è nato a Roma negli anni ’70. Da bambino riusciva a riconoscere tutte le automobili dalla forma dei fanali accesi la notte. Gli piacevano tanto anche gli atlanti, li studiava ore e ore. Le bandiere erano un’altra sua…

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