5 gallerie romane arrivano in un borgo dell’Abruzzo per una mostra diffusa

Magazzino, Gilda Lavia, Operativa, ADA, The Gallery Apart: alcune delle gallerie romane più attive, tra sperimentali e affermate, sono chiamate a raccolta dalla “collega” Monitor nella sua sede a Pereto

Torna per il suo secondo appuntamento Collettiva, la mostra di gruppo organizzata dalla galleria d’arte Monitor nella sua sede abruzzese, a Pereto. Sembra quasi che, per una serie di fortuite coincidenze, Collettiva#2 funzioni entro le briglie di una rete tematico-concettuale impostata a monte, eppure ogni galleria invitata ha scelto le opere e gli artisti da coinvolgere in maniera indipendente. Non è mancato però il vigile coordinamento di Monitor, la galleria romana con seconda sede a Lisbona e terza proprio a Pereto, capitanata da Paola Capata. Ma quali sono le altre gallerie capitoline coinvolte? Quali artisti e opere orchestrano questo delicato equilibrio visivo e concettuale? Vediamo come Magazzino (Via dei Prefetti), Gilda Lavia (San Lorenzo), Operativa (Via del Consolato), ADA (Via dei Genovesi), The Gallery Apart (Ostiense) hanno risposto all’invito.

Florian Neufeldt, Live Wires #1, 2017, fotografia bianco e nero su dibond in cornice senza vetro 60 x 40 cm, sedia 80 x 40 x 50 cm. Courtesy l’Artista e The Gallery Apart, Roma

Florian Neufeldt, Live Wires #1, 2017, fotografia bianco e nero su dibond in cornice senza vetro 60 x 40 cm, sedia 80 x 40 x 50 cm. Courtesy l’Artista e The Gallery Apart, Roma

THE GALLERY APART E GILDA LAVIA

Appena varcata la soglia ci si trova innanzi alle opere di Federica Di Pietrantonio e di Florian Neufeldt (The Gallery Apart). Le opere della prima giocano sul superamento della distinzione reale-virtuale, calandoci nel videogioco simulatore di vita The Sims. Di Pietrantonio ha creato Foxy ‒ suo primo avatar o alter ego artistico ‒ nel 2017 sulla piattaforma Second Life, mentre, in un recente progetto, ha traslato l’esperienza del videogioco Myst nei paesaggi della Tuscia. Nell’installazione peretana la versione Sims dell’artista è “catturata” in un momento di privacy, nello spazio domestico dell’intimità, il bagno. L’artista, che usa spesso anche la machinima o ripresa dello schermo, vuole enfatizzare il meccanismo sociale da cui scaturisce la “generalizzazione degli spazi privati e la loro conversione in spazi pubblici”. I frame-screenshot dall’opera video but I wanna keep my head above water, convertiti in stampe tangibili, sono installati come fossero incorniciati da alcune tubature di gomma ‒ tubature che richiamano alla mente il sistema idraulico delle toilette. Non è un caso che il video rappresenti una figura androgina alle prese con un water otturato e che la visione frammentata, unita allo sforzo compiuto dal personaggio, crei associazioni con la masturbazione. Emozioni come frustrazione, disagio, misantropia, malinconia vengono filtrate dall’artista nel suo microcosmo digitale in qualità di esperienze comuni, avvolte da un luccichio insieme glamour e fatiscente.
Pamela Diamante (Gilda Lavia) in 5 minuti per indurre un’assenza (2015) parte da una ricerca sulle crisi di assenza epilettiche. Chi ne è affetto non ha delle convulsioni ma, per brevissimi istanti, perde la coscienza varcando la soglia di una nuova realtà percettiva.
Provo a capire cosa accade tramite una tecnica di respirazione che si chiama iperapnea ‒respiro forzatamente per 5 minuti provando a indurmi un’assenza epilettica ‒ ma, non essendo un soggetto che soffre di questa patologia, il gesto si trasforma in puro atto estetico-poetico. Risulto intrappolata nella mia normalità percettiva. La mia azione sarebbe un pretesto per creare una possibilità di sconfinamento, eppure il corpo diventa un limite invalicabile e il respiro un urlo muto dell’esistenza. Così l’operazione di Diamante si inscrive nel solco dell’esistenzialismo, il binomio inspirare-espirare diventa la chiave per dimenticarsi del sé, dissolvere la pesantezza e meditare.

Marco Emmanuele, ISO #14, 2019, polvere di vetro, sabbia e colla di coniglio su tela, 50 x 40 cm. Courtesy l’Artista e Operativa arte contemporanea, Roma

Marco Emmanuele, ISO #14, 2019, polvere di vetro, sabbia e colla di coniglio su tela, 50 x 40 cm. Courtesy l’Artista e Operativa arte contemporanea, Roma

MAGAZZINO, OPERATIVA E ADA

Domenico Mangano & Marieke van Rooy (per Magazzino) lavorano insieme come duo dal 2014 impiegando diversi media. In questo caso portano due sculture in ceramica smaltata, elevate da piedistalli in acciaio verniciato che sembrano sgabelli da bar. Infatti Twister Tree, 2021, è parte del progetto Diluition Cafeteria che si focalizza sull’antipsichiatria. Le “caffetterie sensoriali”, sviluppate negli Stati Uniti negli Anni Sessanta, erano luoghi dove i pazienti avevano modo di coinvolgere i cinque sensi in un tentativo di curare le loro disabilità “intellettive”. Dieci anni dopo nei Paesi Bassi ci si concentrò sugli aspetti positivi della stimolazione sensoriale e sul concetto utopistico di diluizione più che sulla pura efficacia della ricerca scientifica. Queste sculture, tattilmente appetibili, sono contraddistinte da parallelepipedi di diversi colori. Ricche di aperture labirintiche, possono essere attivate grazie a forellini che, incanalando e comprimendo l’aria, le trasformano in strumenti a fiato.
Marco Emmanuele, dello studio Paese Fortuna, è rappresentato dalla galleria Operativa. Porta il suo primo esperimento pittorico con la polvere di vetro (2019), ricavato da bottiglie raccolte sui litorali. Le polveri sono distribuite sulla superficie formando pattern astratti: essendo amalgamate a mano, non risultano piatte come nelle composizioni più recenti e trattengono così il fascino di un approccio più naïve ed écru. In Quanto silenzio nei giorni di festa (2022) Emmanuele pone un ostacolo al passaggio: si tratta di una delle ultime evoluzioni del suo lavoro in cui pannelli-separé vengono forati inserendo due fessure per gli occhi. Si crea un gioco di sguardi, un voyeurismo di gusto settecentesco che porta a considerare la storia dell’oggetto, dai primi paraventi cinesi alla loro esportazione in Europa. Quest’opera in particolare, tutta ricoperta di grani neri, è stata sagomata in piccole onde magmatiche.
Infine i dipinti del giovanissimo Andrea Mauti, classe 1999, per ADA sono composizioni che virano il prelievo archeologico (alla base delle sue prime opere) in un amalgama fantascientifico. Il lavoro è concepito come una serie di frammenti di una sequenza cinematografica. Così racconta Mauti ad Artribune: “L’espediente della fiction nasce dall’idea di sovrapporre la realtà oggettiva e la finzione fantascientifica. La mia pittura riprende elementi concreti e li accosta a presenze mostruose, in particolare allo zombie, perché mi interessa l’immaginario legato alla catastrofe e all’apocalisse. L’entità umana è messa in crisi, penso a Psychokinesis, ‘The Walking Dead’ o alla letteratura di Asimov. Ho inserito oggetti derivanti da modelli 3D estrapolati da videogame e manipolati attraverso Photoshop o Blender. Le velature si espandono sulla tela come fossero microrganismi, spillover che ostacolano una visione integrale. Preciado in ‘Can the monster speak?’ parla di un’essenza aliena che non può essere categorizzata, un ibrido non binario”.

Giorgia Basili

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Giorgia Basili

Giorgia Basili

Giorgia Basili (Roma, 1992) è laureata in Scienze dei Beni Culturali con una tesi sulla Satira della Pittura di Salvator Rosa, che si snoda su un triplice interesse: letterario, artistico e iconologico. Si è spe-cializzata in Storia dell'Arte alla Sapienza…

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