Nel novero delle ricerche cinetiche sul suono e sulla luce, il percorso di Piero Fogliati (Canelli, 1930 ‒ Torino, 2016) occupa una posizione eccentrica e fino a ora ampiamente sottovalutata. La mostra ospitata da Lorenzelli Arte a Milano ne conclama una volta di più l’assoluta originalità, inassimilabile alle implicazioni tecnicistiche e alle algide architetture dei filoni principali dell’indagine artistica sul movimento. Luce e suono. L’utopia di Piero Fogliati, a cura di Roberto Borghi e Matteo Lorenzelli, con la presenza di una trentina di lavori e di numerosi disegni, si presenta come una retrospettiva che illumina tutto l’arco dell’opera dell’artista piemontese, rimarcandone il prodigioso e lievitante spirito inventivo e confermandone il carattere di poetica intensità.

LE OPERE DI PIERO FOGLIATI IN MOSTRA A MILANO
Si potrebbe dire che le sue opere siano delle personalissime “macchine celibi”, fatte di imbuti, di rotori, di volani, di residui di carrozzeria, di molle e manovelle, di cannule e girandole, di eliche e carrucole. Basta enumerarne i titoli, senza neanche bisogno che vengano viste o descritte, per captarne il fascino e abbandonarci alle rêveries che i loro nomi, scientifici e fantastici al tempo stesso, sono capaci di evocare: Liquimofono (1965), Fiore sibilante (1966), Fleximofono (1968), Palpito di gocce (1968), Anemofono (1971), Luce fantastica (1974): tutti sufficienti a trasmettere l’idea di modulazioni di gorgoglii, vocalità liquide, flussi d’aria, fiati parlanti, domestici arcobaleni, pulsazioni misteriose.

I DISEGNI DI PIERO FOGLIATI
Attraverso condotti e membrane risonanti, attraverso questi respiri idromeccanici e queste proiezioni luminose, Fogliati si preoccupa di restituire voce e colore alla natura: i sussurri del vento e i mormorii delle acque, le trascolorazioni di un tramonto, lo stormire delle foglie, l’alternarsi delle stagioni, attraverso palpiti riecheggianti nel nostro io più profondo. Ma sempre con un piglio scanzonato e una fantasia aerea che si trasfondono anche nei disegni, i quali, lungi dal risolversi in frigide planimetrie progettuali, si profilano con grazia infantile, alludendo ad azioni paradossali, quasi patafisiche, come ad esempio in Strumenti per spazzolare i fantasmi (2005): macchine incorporee, niente più che grafismi sospesi nell’aria, geroglifici inneggianti al potere della fantasia e della leggerezza.
‒ Alberto Mugnaini
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