Microrganismi, arte e odori nella mostra di Anicka Yi a Milano

Quanto è importante l’odore in una riflessione d’artista che chiama in causa migrazioni, identità e biologia? La risposta è nella mostra di Anicka Yi all’HangarBicocca di Milano

Metaspore di Anicka Yi (Seul, 1971) si accosta perfettamente al lungo saggio Il fungo alla fine del mondo di Anna Tsing (1952) tanto da poterli considerare lavori paralleli e senza contraddizioni. Anicka Yi è un’artista visiva radicale, Anna Tsing un‘antropologa e scrittrice altrettanto radicale: l’una e l’altra straordinariamente dotate. La loro sensibilità ha punti di contatto nella comune radice asiatica e la loro prassi altrettanto esplode sul terreno americano.
Tsing ‒ una cattedra presso l’università californiana di Santa Cruz ‒ nel suo libro dedica un capitolo alla percezione dell’odore: assai differente in un asiatico e in un occidentale. Un altro capitolo è dedicato alle spore, unità cellulari capaci di dare origine a entità viventi senza alcuna riproduzione sessuale. Anicka Yi ha individuato in questi organismi la metafora di questa esposizione. Yi è nata a Seul, ma a due anni si è trasferita negli Stati Uniti, padre pastore protestante e madre dipendente di una società biomedica. Con il termine Metaspore indica i processi di contaminazione attivati tra l’essere umano e la realtà circostante.

Anicka Yi. Courtesy the artist

Anicka Yi. Courtesy the artist

LE INSTALLAZIONI DI ANICKA YI A MILANO

La mostra comprende oltre venti installazioni. Sulla soglia dello spazio assegnato loro dall’HangarBicocca c’è Immigrant Caucus (2017). Tre diffusori a pressione sono posati a terra, pronti a emanare un “odore” ibrido, che comprende le componenti chimiche del sudore delle donne asiatico-americane e quelle delle formiche carpentiere. Si tratta di un commento politico sull’invisibilità del lavoro di questo gruppo etnico negli Stati Uniti.
All’interno dell’ambiente scuro dell’Hangar ci si imbatte in Auras, Orgasms and Nervous Peaches (2011). Una stanza nuda senza soffitto ma ricoperta di piastrelline bianche come quelle dei bagni pubblici. Da una parete trasuda olio di oliva: un odore sottile che evoca fluidi corporei.
All’estremo opposto del padiglione c’è Skype Sweater (2017). Un paracadute militare al centro è sollevato dal suolo grazie alla presenza di ventilatori interni. All’esterno tre piedistalli. Il primo dà risalto a una borsa trasparente identificabile come una Longchamp che contiene interiora bovine immerse in gel per capelli: facile individuare il riferimento ai processi di allevamento industriale e concia delle pelli tipici del fashion (Yi ha un passato da stylist).
Il secondo consiste in una teca di plexiglas contenente una busta di plastica fritta in tempura. Il terzo è un parallelepipedo di sapone che ingloba tubi di gomma e rasoi. Nel suo insieme l’opera adotta contemporaneamente un registro organico e uno politico. Il paracadute-tenda fa riferimento ai flussi migratori, in particolare a quelli illegali che negli Stati Uniti hanno fornito migliaia di unità di manodopera cinese a partire dagli Anni Ottanta.

LE OPERE ORGANICHE DI ANICKA YI

A fianco di Skype Sweater una parete nera ospita due oblò da lavatrice. L’opera in questione ha un titolo chilometrico New York’s A Bitch, But God Forbid The Bitch Divorce You (2014), ma uno svolgimento semplice. Aprendo gli sportelli due fragranze investono il visitatore. L’aspetto visivo ridotto al minimo sottolinea per converso come il sistema olfattivo sia in grado di attivare emozioni e memoria a lungo termine. L’opera è ispirata al brano Affirmative action, dove il rapper Nas evoca le emozioni contrastanti che accompagnano la fine di una relazione amorosa.
Le Pain Symbiotique (2014) è un’installazione imponente. Cinque sculture su piedistallo fatte di resina e glicerina sono posizionate all’interno di un gigantesco stomaco sintetico in pvc trasparente. Il pavimento è ricoperto da un impasto di pane e pigmento ocra, sopra le strutture si muovono, proiettate, immagini al microscopio di microrganismi. Elementi commestibili e tecniche culinarie come il processo di lievitazione sono un modo per sottolineare la nostra convivenza con organismi invisibili e di specie diversa.
Biologizing the Machine (spillover zoonotica) (2022) è un’opera che muta nel tempo. È stata realizzata con il dipartimento di Scienze dell’Ambiente dell’Università degli Studi Milano Bicocca. Sette teche di vetro appese ad altezza uomo ospitano ecosistemi di batteri e alghe che assumono colorazioni che mutano nel tempo. A un primo sguardo sono opere apparentabili sia al paesaggismo che all’Espressionismo astratto, l’effetto ottico è straordinariamente affascinante. Ma qui l’artista si avvale di intelligenze extra umane capaci di produrre variazioni continue lungo tutto l’arco temporale dell’esposizione.

Anicka Yi, Immigrant Caucus, 2017. Installation view at Pirelli HangarBicocca, Milano 2022. Courtesy the artist, Gladstone Gallery, 47 Canal, Pirelli HangarBicocca. Photo Agostino Osio

Anicka Yi, Immigrant Caucus, 2017. Installation view at Pirelli HangarBicocca, Milano 2022. Courtesy the artist, Gladstone Gallery, 47 Canal, Pirelli HangarBicocca. Photo Agostino Osio

ARTE E SCIENZA SECONDO YI

La pratica artistica di Anicka Yi si sviluppa intorno ad aree come la microbiologia, l’ibridazione tra organico e macchina, i concetti di identità e di ingiustizia sociale.
Yi utilizza l’olfatto, il tatto e il gusto, di solito trascurati nell’ambito delle culture visive. Le sue dichiarazioni a questo proposito non lasciano spazio a fraintendimenti. “Sono cresciuta in una casa coreano-americana e mia madre cucinava cibo coreano. Se si parla con un coreano-americano di odore, tanti associano i primi ricordi legati all’olfatto a un senso di vergogna e di rifiuto. E ancora. “Ci aspettiamo che gli spazi elitari legati al mondo della finanza, dalle banche, del governo e della vendita al dettaglio di fascia alta non posseggano aroma. Ci limitiamo a un’idea di odore garbato, che ha a che fare con i costrutti sociali relativi alle relazioni di potere…”. In quell’insieme fatto di patch (non più melting pot) che sono divenuti gli Stati Uniti, la presenza asiatica emerge come una nuova ‒ ancora sottovalutata ‒ forza trainante.

Aldo Premoli

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Aldo Premoli

Aldo Premoli

Milanese di nascita, dopo un lungo periodo trascorso in Sicilia ora risiede a Cernobbio. Lunghi periodi li trascorre a New York, dove lavorano i suoi figli. Tra il 1989 e il 2000 dirige “L’Uomo Vogue”. Nel 2001 fonda Apstudio e…

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