Tra prigionia e libertà. La giornalista e artista Zehra Doğan in mostra a Milano

Si intitola “Prigione N.5” la mostra ospitata negli spazi della galleria di Ida Pisani. La giornalista e artista curda Zehra Doğan fa dell’arte lo strumento della resistenza politica del popolo curdo e delle donne in particolare

Nella mostra di Zehra Doğan (Diyarbakır, 1989) alla galleria Ida Pisani di Milano le figure femminili sono ovunque, corpi esposti nella loro fisicità. Anatomie curve, seni grossi ed enormi occhi neri, i capelli corvini intrecciati a formare grandi orecchini. L’uniforme, poi, declina il ruolo della donna in Kurdistan, combattente costretta a imbracciare armi per difendersi e continuare la resistenza.

Il murale che Banksy ha dedicato a Zehra Dogan a New York nel 2018. Courtesy Prometeo Gallery, Milano

Il murale che Banksy ha dedicato a Zehra Dogan a New York nel 2018. Courtesy Prometeo Gallery, Milano

LA MOSTRA DI ZEHRA DOĞAN A MILANO

Nel primo spazio della galleria sono esposti tappeti sfibrati e laceri, coloratissimi, realizzati nel 2021: oggetti culturali antichi, di riconoscimento e consapevolezza. Su di essi fondi di caffè, tè, sangue mestruale, liquidi di vario tipo di cui Zehra continua a servirsi anche dopo essere stata scarcerata. Sono i materiali della resistenza in carcere, dove non esistono tele bianche d’atelier ma lenzuola, sacchi, se si ha fortuna una biro. Sui tappeti la rappresentazione di file e file di donne unite sotto il segno della sorellanza. Nella vicinanza, nella condivisione, (ri)trovano se stesse: in prigione nulla è tuo, tutto è in comune. Anche gli animali partecipano, perfino i pochi pezzi di carne nei piatti già poco proteici vengono dati ai gatti sui tetti.
Nel secondo spazio enormi fogli. Come icone rovesciate, sono immagini orrende che ingigantiscono le disumane torture delle prigioni turche che Zehra ha raccontato nel suo libro, Prigione N.5. È una graphic novel eccezionale, unica perché “evasa” proprio dal carcere, foglio per foglio: una serie di disegni-testimonianza incisi sul retro della carta delle lettere destinate alla sua amica Naz Oke. Raccontano la storia del popolo curdo: gli anni Ottanta, il sangue, le torture, le morti, molte delle quali non dichiarate; gli Anni Novanta, l’esilio ma anche il sorgere di forme riconosciute di disobbedienza civile, come quella delle Madri del sabato che da venticinque anni protestano ogni sabato in piazza Galatasaray a Istanbul, ricordando la scomparsa dei propri figli.

LA STORIA DI ZEHRA DOĞAN

Come raccontarvi questa prigione, queste mura popolate di storia dove mi sento così piccola?” Zehra è stata imprigionata nel 2017 per aver disegnato la distruzione della città di Nusaybin con bandiere e carri armati turchi rappresentati come enormi mostri informi sulle rovine. Un tribunale ritenne il disegno “oltre i limiti della critica”, sancendo la condanna a 2 anni, 9 mesi e 22 giorni di carcere da scontare nella prigione di Duyabarkir. La sua prigionia mobilitò l’opinione pubblica internazionale e la comunità degli artisti: Banksy le dedicò un murale, Gianluca Costantini un ritratto.
Dalle opere in mostra, dalle pagine del libro emerge misterioso l’impulso alla vita alla base della letteratura dal carcere. Eppure, da secoli, scritti, disegni continuano come fiotti a sgorgare dalle celle. Per la Doğan si tratta di “un riflesso di sopravvivenza. Il confinamento, l’isolamento hanno il preciso obiettivo di farti sentire come se fossi ormai morto. Qualcosa perciò ti impone l’azione, anche se sai che ciò che stai facendo verrà intercettato, esaminato, molto probabilmente distrutto. Quello che ho capito in prigione è che anche se l’oggetto finale è effimero, perfino se viene distrutto, ciò che conta è il processo con cui è creato, che è salvifico”.

‒ Silvia Zanni

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Silvia Zanni

Silvia Zanni

Nata a Milano nel 1997, si è laureata in Filosofia presso l’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano con una tesi in Estetica dal titolo “Il nuovo paradigma della forma: Thode, Warburg e la rappresentazione di Francesco nel XIX secolo”. Attualmente…

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