Un’esposizione in cui Nicola Samorì (Forlì, 1977) si discosta dalla produzione che porta avanti da dieci anni sbalordendo il pubblico, anche quello più restio, con un’abilità tecnica fuori dal comune. L’artista parte da questa traccia: Leonardo Cremonini, artista che stima, parlava dell’oscillazione “fra il duro e il tenero, escludendo quello stato del molle, per sua natura instabile”. Ecco che il lavoro si divide in due segmenti: il Manuale della mollezza e la tecnica dell’eclisse, nel primo caso la scultura La lingua dalle sembianze umane si curva fino al limite della duttilità del marmo, i piedi dalle dita appuntite sono poggiate in bilico su una testa, la forma è disossata, la pelle si apre in alcuni squarci.

ALTORILIEVI E OSSIDAZIONI NELLA MOSTRA DI NICOLA SAMORÌ
Due altorilievi gemelli, in marmo bianco e in marmo nero del Belgio, fanno da trait d’union fra le due sale. Su un’unica parete alcuni antichi lavori hanno subìto un’ossidazione forzata dall’artista/alchimista che ha applicato, come pellicola, una foglia di rame e sottoposta la superficie a diversi momenti di lavaggio con zolfo. Resta in tal modo solo il fantasma – dal termine greco che si traduce “apparire” –, un fioco riverbero dell’originaria rappresentazione. Si apprezza soprattutto Macello, la coppia di nature morte dipinte su Breccia di Vendôme: Samorì ha sfruttato le macchie variopinte, tipiche di questo marmo, per ricavare un doppio disegno, in positivo e negativo, seguendo ma non assecondando, anzi manipolando le forme affioranti. Ha enfatizzato i contorni e “piegato” la materia creando un’illusione pittorica.
– Giorgia Basili
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