Roma: le ambiguità del linguaggio nella mostra alla Fondazione Baruchello

Ultime ore di apertura della collettiva curata dall'artista Giulio Squillacciotti per la Fondazione Baruchello di Roma. Una mostra che insiste sulla capacità della lingua di plagiare, tradurre, interpretare, manipolare, restituire la realtà.

Not Quite Nearly Fine è la prima parte del progetto Summer Show della Fondazione Baruchello. La seconda parte, curata da Carlo Gabriele Tribbioli, Una stagione in Slemani, inaugurerà il 14 settembre per concludersi il 19 ottobre.
Il titolo è ripreso dalla definizione terminologica del mercato antiquario per descrivere la qualità e lo stato di conservazione di un libro antico. L’esposizione indaga le possibilità espressive della lingua nelle sue moltissime declinazioni, la responsabilità della e nella traduzione, gli incidenti e le sorprese che possono verificarsi durante questo atto metamorfico. Portare un dialogo da una lingua a un’altra significa “tradire”, lasciarsi alle spalle qualcosa di irrisolto, o solo tradurre in un diverso sistema sintattico?
Nel cortometraggio dell’artista-curatore Giulio Squillacciotti, What As Left Since We Left, tre rappresentanti politici di Belgio, Germania e Olanda si incontrano nella sala dove è stato firmato il Trattato di Maastricht e discutono di questioni private. L’affidamento dei figli, il divorzio, il fallimento finanziario scaricato sulle spalle della sorella si rivelano tutte metafore per alludere a problemi e questioni che affliggono l’Unione Europea e, in questo caso, la portano al collasso e allo scioglimento: Brexit, immigrazione e crisi economica della Grecia.
A fare da interprete dei traumi e delle voci interiori dei tre protagonisti, impersonati tutti dalla stessa attrice, è una donna inglese che suggerisce, media ma anche “corrompe” lo scambio di battute e si chiede retoricamente: “La lingua inglese è davvero neutrale?“. Se “ogni tanto per avere ragione bisogna perdere”, cos’è a determinare l’ago della bilancia e fino a che punto perdere è accettabile? E ancora, la soluzione è veramente “piantare un nuovo albero che faccia frutti meno amari”?

LINGUAGGIO E REALTÀ

Ad accogliere il visitatore, appena si entra alla Fondazione Baruchello, è una frase di Brautigan che fa da incipit a un racconto: si introducono elementi di scena come una porta ma questo stesso oggetto pare non esistere nella realtà. Un racconto può quindi “abbindolare”, inventare una versione falsa della realtà o forgiarne una del tutto nuova. Il linguaggio ha la capacità di suscitare fiducia e trascinare chi è dall’altra parte ‒ a leggere o ascoltare ‒ nella stessa traiettoria.
La mostra si interroga sul non detto ma anche sull’interpretazione, sulla customizzazione della lingua in considerazione dell’individuo, del suo background, delle sue radici, dei suoi incontri con culture diverse, simili, opposte, complementari.
Il curatore ha deciso di intervenire anche parzialmente sullo spazio, ad esempio impiegando il colore rosso, letteralmente il “fil rouge” che sostiene la trama ‒ connettendo un’opera con l’altra ‒ o applicando delle pellicole specchianti, filtranti, opacizzanti alle finestre.

Marie Claire Krell, 1951, 1955, 1983, 2008, 2020, 2020. Installazione. Carta pesta, legno e materiali vari, 140x90x125 cm

Marie Claire Krell, 1951, 1955, 1983, 2008, 2020, 2020. Installazione. Carta pesta, legno e materiali vari, 140x90x125 cm

LE OPERE IN MOSTRA ALLA FONDAZIONE BARUCHELLO

Daniel De Paula presenta tre cassette da trasporto merci, al proprio interno una fitta polvere di rame è l’esatto equivalente del suo peso corporeo, il materiale proviene da cavi di alta tensione usati per il trattamento dei big data. L’artista si chiede in tal modo se sia possibile superare il tranello che traduce le competenze personali in dati utilizzati dalle aziende per piazzare il proprio prodotto sul mercato, trasformando i dati sensibili in prodotti ambiti.
L’artista nord irlandese Ben Weir accende i riflettori su un caso urbanistico che ha sconvolto la sua città, Belfast: una corsa alla realizzazione di appartamenti di extra lusso, bruscamente interrotta dalla crisi del 2009. Nella registrazione lui stesso spiega con un forte accento irlandese l’accaduto, denunciando gli abusi e i ruderi lasciati da questa tendenza allo sfruttamento del territorio.
Nour Mobarak, invece, registra su un vinile la conversazione con il padre malato di Alzheimer e poliglotta (conosce italiano, inglese, francese e arabo); ogni 30 secondi perde il filo logico del discorso, ma in questo modo tratteggia una maniera inedita di parlare della propria storia.
L’artista turco Artun Alaska Arasli espone una fotografia dove delle mani aperte da ampie ferite sulle nocche sorreggono un foglio con stampato un testo privo di punteggiatura. Se da una parte il sangue non è altro che un trucco di scena, il testo si riferisce a una sua mostra passata e per essere letto induce a ruotare il capo fino a essere a testa in giù. Il ribaltamento della visione, gli elementi di finzione e illusione rientrano in un bagaglio in cui l’immedesimazione nell’altro deve passare attraverso compromessi e gestazioni, persino forzature.
Marwan Moujaes, artista libanese, raffigura il suo battesimo “traducendo” una fotografia in un dipinto a olio, commettendo già con questo atto una manipolazione della realtà e allo stesso tempo raccontando un momento storico attraverso un’interpretazione personale: il suo battesimo è stato sì rimandato, ma a causa della guerra civile. Compiuti i due anni, il bambino è troppo grande per entrare nella tinozza e ricevere regolarmente l’acqua santa, che potrebbe non aver toccato la testa, rendendo la celebrazione fittizia e nulla. Lo stesso display dell’opera, esposta su una parete dipinta di rosso, prende in giro l’usanza di alcuni musei nordeuropei di richiamare sulla parete il colore distintivo delle opere esposte.
Marie Claire Krell orchestra infine un’installazione dinamica nella sua immobilità: la statua di una donna osserva l’interno di una casa di bambole ma spinge lo sguardo oltre le finestre, verso l’esterno, dove idealmente e concretamente siamo noi, gli spettatori. Il vetro delle finestre è in realtà una lente che distorce la visione e, chinandoci accanto alla donna per seguire la direzione del suo sguardo, non troviamo alcuna risposta se non nell’ambiguità, in un gioco di incastri percettivi e di rimandi senza fine.

Giorgia Basili

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Giorgia Basili

Giorgia Basili

Giorgia Basili (Roma, 1992) è laureata in Scienze dei Beni Culturali con una tesi sulla Satira della Pittura di Salvator Rosa, che si snoda su un triplice interesse: letterario, artistico e iconologico. Si è spe-cializzata in Storia dell'Arte alla Sapienza…

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