La forma come sintomo dell’epoca. Carla Accardi a Milano

Il Museo del Novecento di Milano dedica una grande antologica a Carla Accardi, artista che rivoluzionò la pittura rendendo il quadro trasparente e aperto. Dagli esordi col gruppo Forma alle ultime prove, un percorso strettamente legato allo spirito del tempo. Anche questa mostra è da mettere in agenda appena i musei riapriranno.

Non è per niente ovvio pensare all’astrazione come strumento di esplicita opposizione culturale e politica. In Italia, nel Secondo Dopoguerra, la diffusione di ideali progressisti e di impegno sociale è stata generalmente affidata, anche a causa delle direttive del PCI, alla figurazione. Per il gruppo Forma, invece, pur vicino al partito, le forme astratte non erano affatto autoreferenziali, ma lo strumento per un’arte “di lotta”.
A Carla Accardi (Trapani, 1924 ‒ Roma, 2014), unica esponente femminile del gruppo fondato nel 1947, il Museo del Novecento dedica un’antologica che attraversa in modo esaustivo tutte le fasi della sua carriera. Evidenziando, ciò che più conta, il rapporto tra le evoluzioni formali della sua opera e il mutamento nello spirito del tempo.

L’ARTE DI CARLA ACCARDI

Una delle sale più affascinanti è la prima, intitolata Un esordio corale: riunendo opere di tutti i protagonisti di Forma, consente di cogliere non solo le influenze reciproche, ma anche lo stile di Carla Accardi ancora in fase di cristallizzazione. Inizia poi il percorso monografico, con la stanza sui Negativi che testimonia la fase più “minimale” dell’artista e dei suoi rapporti eccentrici con la generale atmosfera dell’Informale.
Se il 1956 segna la presa di distanza dal PCI, gli anni successivi non portano al ripiego su un’arte puramente formalista. Anzi, l’esplosione di colori e forme che segna i tardi Anni Cinquanta e i Sessanta è come un commento sull’affermazione della società di massa.
La vera rivoluzione rimane però quella che scardina l’impianto del quadro. Dal 1965 entrano infatti in scena le plastiche, che rendono il quadro trasparente e aperto, oltre a dare la spinta per addentrarsi nel campo dell’installazione e degli ambienti. Una sorta di Spazialismo di segno differente, che introduce anche materiali industriali (vernici fluorescenti, sicofoil)   ̶  ulteriore commento sul epoca.

Benedetto Patera, Carla Accardi, 1950. Archivio Accardi Sanfilippo, Roma © Carla Accardi, by SIAE 2020

Benedetto Patera, Carla Accardi, 1950. Archivio Accardi Sanfilippo, Roma © Carla Accardi, by SIAE 2020

CARLA ACCARDI: FEMMINISTA E OGGETTIVA

Senza smorzarsi, anzi diventando oltranzista nella sperimentazione, l’opera dell’artista diventa poi femminista, con il periodo dell’“autocoscienza”, e oggettiva, con le accumulazioni di sicofoil prive di colore. Con puntualità, le sezioni della mostra attraversano tutte queste fasi, pur in spazi non particolarmente estesi ma intensi. Fino agli ultimi periodi, caratterizzati tra l’altro dall’autocitazione come rimedio all’impolitico tipico degli Anni Ottanta.
Il segno astratto e il modulo iterato in ripetizioni differenti sono bisturi che lasciano il segno sulla carne dell’epoca in cui l’opera viene realizzata. Senza cronachismi di sorta, ma puntando all’assoluto grazie a un’idea di forma non formalista.

‒ Stefano Castelli

ACQUISTA QUI il catalogo della mostra

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Stefano Castelli

Stefano Castelli

Stefano Castelli (nato a Milano nel 1979, dove vive e lavora) è critico d'arte, curatore indipendente e giornalista. Laureato in Scienze politiche con una tesi su Andy Warhol, adotta nei confronti dell'arte un approccio antiformalista che coniuga estetica ed etica.…

Scopri di più