Il ruolo dei musei pubblici nel rilancio dell’arte italiana

Prosegue il dibattito attorno alla necessità di puntare sull’arte contemporanea italiana come base per un rilancio della cultura. Stavolta a parlare è Alessandra Mammì.

Qualche giorno fa Santa Nastro rifletteva su queste virtuali pagine su quanto e come molti bravi artisti italiani, vittime della nostra grave esterofilia, abbiano troppo presto interrotto o mai cominciato carriere che in altri Paesi sarebbero state promettenti.
E più ci penso, più queste sue considerazioni mi sembrano vere. Dagli arresti domiciliari in cui mi ha messo il COVID-19 son tornata a memoria a riflettere su quante grandi mostre di italiani ho visto nell’ultimi mesi: Maria Lai (ma ha dovuto morire per averne una) al MAXXI, Calzolari al Madre, Paolo Icaro alla GAM, Luisa Lambri al PAC.
A memoria, ho detto: non ricordo (spero di essere smentita) grandi mostre di mid career quarantenni o approfonditi focus su trentenni e confesso del resto che riguardo agli artisti trentenni mi vengono alla mente più nomi stranieri che italiani. Va un po’ meglio con i quarantenni e ancor di più se salgo parecchio di età, ma questo probabilmente per motivi generazionali.

Credo che sarà giusto ritornare a chiedere al museo pubblico di fare il suo mestiere pubblico, di punto di riferimento di una cultura, di un territorio”.

È vero dunque, come dice Santa, che tutti siamo colpevoli di iper-esterofilia e che a fronte di molte rassegne globali un pensiero strutturato che abbia anche la forza di imporsi all’estero da parte di un grande museo sulle attuali linee di ricerca italiane negli ultimi tempi non c’è stato (se si esclude l’ammirevole tentativo di Ennesima di De Bellis alla Triennale di Milano).
Quindi, non per campanilismo ma per necessità, sarebbe in fondo giunto il momento di rivolgere lo sguardo a quel che accade in patria, sopraffatti come ora siamo dai ricordi e dagli archivi che dalle nostre case tracimano sui social e nelle varie testimonianze web.
Ricordarsi per esempio del tempo in cui la Galleria Nazionale di Roma periodicamente organizzava mostre e schedature d’Arte e Critica italiana (copy Giorgio de Marchis), del tempo in cui le università producevano rassegne usando gli studenti come ricercatori (fui uno di quelli per le Linee della ricerca artistica italiana, 1980), del tempo in cui i musei avevano project room per artisti esordienti (ho ancora tutti i cataloghini di Rivoli) e dello stretto rapporto con le Accademie. Niente di trascendentale, ma semplicemente un sistema “pubblico” insisto sull’aggettivo) di museo-scuola- università, che produceva informazione, discussione, identità e a volte qualità.

IL RUOLO DEL MUSEO PUBBLICO

Per cui sono d’accordo nel dire che il giorno della ripartenza, tra le cose che ci dovremmo portare dietro da questo forzato, claustrofobico periodo di riflessione c’è anche il rivedere l’idea stessa di internazionalità, per riportarla a essere una piattaforma di incontro e discussione dove ognuno arrivi con le sue provviste cucinate a casa e non un fast food fatto di feste, incontri occasionali e globali small talk in inglese. E senza nulla togliere al ruolo delle fondazioni private, credo che sarà giusto ritornare a chiedere al museo pubblico di fare il suo mestiere pubblico, di punto di riferimento di una cultura, di un territorio, di garanzia di qualità, di crescita e di promozione dei nostri artisti.

Alessandra Mammì

LE PUNTATE PRECEDENTI

ARTISTI E CORONAVIRUS – l’intervento di Sergio Risaliti
ARTISTI E CORONAVIRUS – l’intervento di Santa Nastro
ARTISTI E CORONAVIRUS ‒ l’intervento di Ilaria Bernardi
ARTISTI E CORONAVIRUS ‒ l’intervento di Roberto Farneti
ARTISTI E CORONAVIRUS – l’intervento di Mariantonietta Firmani

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