
Il ristorante di ispirazione giapponese Zazà Ramen si arricchisce con un nuovo appuntamento, che vede al centro le opere di Marco Andrea Magni (Sorengo, Svizzera, 1975). Oggi sono proprio contento di stare al mondo è la mostra che l’artista, invitato dallo chef e collezionista Brendan Becht (qui avevamo parlato della sua storia), ha appositamente pensato per l’atmosfera intima di questo spazio, celebrando l’incontro, il convivio e quella fitta rete di relazioni che plasmano l’esistenza di ognuno. Il titolo della mostra è tratto dalle frasi di Lucio Fontana, il quale amava scrivere sul retro delle sue tele tagliate e bucate dediche ironiche o pensieri lapidari. Quelle stesse parole vengono impresse da Magni su ciotole e piatti in ceramica affissi sui muri del ristorante, diventando il racconto frammentato di una voce pensato per fondersi con quelle di chi sosterà in questo luogo.
LE FRASI DI LUCIO FONTANA PER ZAZÀ RAMEN
“Piuttosto che una mostra, preferisco definire questo spazio come un abbraccio architettonico in cui le opere si inseriscono in un proprio habitat senza urlare”, spiega Marco Andrea Magni durante la presentazione da Zazà Ramen, andando al cuore di ciò che per lui è il significato di convivialità sviluppato in questo progetto. “Oggi viviamo con una velocità liquida contro cui bisognerebbe opporre una differente dose di tempo e di attenzione, affinché la misura di tutte le cose diventi il nostro stare insieme”. La mostra, infatti, porta con sé l’esito di un incontro: quello tra Magni e Becht che, probabilmente riuniti attorno a un tavolo, hanno scoperto di condividere una catena di relazioni puntuali e insolite, passando dalla storia della cucina a quella dell’arte, da Gualtiero Marchesi a Lucio Fontana. Quest’ultimo, che l’artista di origini svizzere ha sempre amato e che lo chef olandese ha incontrato da bambino, si è posto come interlocutore invisibile tra i due. Ciò che ne è scaturito si può leggere alle pareti: “Quante fesserie sento nella giornata”, “Mi piacciono i seni di Lorena”, “Non avevo mai immaginato che il cielo fosse tanto bello”, “Non rompetemi le scatole sono stanco”. Attraverso un segno delicato sulla ceramica emerge un’autobiografia a puntate del padre dello Spazialismo, frammenti di una quotidianità personale in cui, però, viene naturale identificarsi.
– Giulia Ronchi